Zone | Anche i bresciani hanno le piramidi
I bresciani hanno le piramidi come gli antichi egizi, io le ho viste e posso raccontarlo.
Va detto che non sto parlando dei bresciani della bassa, così vicini ma così diversi da noi cremonesi nella lingua e nell’abbigliamento, parlo dei severi abitanti delle scalcinate valli erose dal vento e dall’acqua che si affacciano sul lago d’Iseo. È un sabato di gennaio e mi sono vestita davvero male, faccio così ogni volta che non so se mi aspetta una borghese passeggiata nella natura o una lotta primordiale con il fango fino alle ginocchia. Ho fatto voto ormai da tempo di non rassegnarmi all’abbigliamento tecnico, meglio insistere con i leggins usati in maniera impropria per omaggiare la natura che è selvaggia, inappropriata e per nulla tecnica. Internet non è chiaro a proposito di quello che troverò e come sempre nessuno asseconda le mie folli esplorazioni naturalistiche del week-end, quindi saluto la foschia cremonese e salgo sola sulla mia malandata Modus con la curiosità mista a vago senso del pericolo che anima ogni mia avventura.
Ai margini dell’autostrada pianura, cascine, capannoni, grigiore e infinita noia che inganno approfittando dell’acustica del povero veicolo e dell’illusione di non essere vista da nessuno mentre canto e gesticolo come se fossi sul palco della Royal Albert Hall. Il mio concerto personale con orchestra prosegue fino ad arrivare alle dannate gallerie del lago.
Se le montagne sono l’unica possibile gioia del week end le gallerie del lago sono il prezzo da pagare per giungervi perché sono tante, lunghe e buie, non c’è campo e si arriva a dimenticare che fuori esiste la luce, sempre che a gennaio ci sia.
Con gesto felino, tra un tunnel e l’altro cerco di imboccare l’uscita per Zone, la manco clamorosamente, perdo un sacco di tempo, invoco molti santi, infine riesco a inerpicarmi per una serie di tornanti che la Modus, moribonda, affronta con stoicismo e rumori sinistri che fingo di non sentire, alzando la musica. Il lago d’Iseo scintilla dietro di me e mi domando se sia davvero possibile trovare delle piramidi qui, nel grigio-verde-marrone-spento che tinge la Val Camonica in inverno. All’improvviso, su un tornante, mi appare un paesaggio inverosimile, da lontano sembra una grossa cava che ha divorato il versante della montagna.
Parcheggio pericolosamente e dietro di me un anziano signore fa lo stesso, lascia la moglie in macchina e attraversiamo la strada di corsa per affacciarci alla staccionata di legno, lui si mette a fotografare e parlarmi di questo posto e dei possibili sentieri mentre guarda la vallata incantato e sembra esserci scordato totalmente la compagna in auto.
Abbiamo davanti le piramidi di Zone, strane formazioni dette anche “fate di pietra”, alte fino a 30 metri sovrastate da sasso tondo e scuro, frutto di un processo geologico di dilavamento della valle che la mia scarsa propensione per la scienza mi impedisce di comprendere a fondo.
Gli scarponi scalpitano, devo andare a vedere da vicino, mi butto a capofitto per il sentiero e in pochi minuti sono ai piedi della più alta e più accessibile tra le piramidi, non mi pare vero, non smetto di fotografarla. Dietro a questa ci sono almeno altre venti piramidi, alcune ancora ancorate alla montagna, altre oramai solitarie e destinate lentamente a sgretolarsi, una volta caduto il cappello scuro. Credo di essere sola in questo pomeriggio d’inverno ma dai rami del bosco emergono due giovani innamorati bresciani, sembrano concordi sul fatto che io stia facendo il giro sbagliato e che il percorso ad anello sia da prendere un po’ più su in paese.
Faccio giusto in tempo a vergognarmi del mio abbigliamento a cipolla e dei miei leggins impropri, mentre lei, l’innamorata, è perfettamente vestita e truccata, anche nella fanghiglia. Risalgo, recupero il veicolo e vado a parcheggiare a Zone dove molte frecce e una buona cartellonistica mi indicano la via e mi raccontano di dinosauri, anzi arcosauri, che dominavano queste valli e che qui hanno lasciato 70 grosse orme. Imbocco finalmente il giro ad anello e scendo nuovamente tra le piramidi affacciandomi dall’alto e poi risalendo dal basso mentre mi domando se questo incredibile monumento naturale reggerà per tutto il pomeriggio o cadrà sulla la mia testa come qualcuno ha voluto paventare alla mia partenza. Mi accorgo di essere circondata di giovani innamorati ben vestiti che salgono e scendono ansimando, qui fa davvero caldo e tutto il terreno intorno è costellato di primule selvatiche e altri fiori di cui vorrei tanto conoscere il nome: dovranno farlo, prima o poi, lo Shazam delle piante.
In questa parentesi di primavera mi accorgo che è quasi buio ed è tempo di tornare alla macchina. Mi fermo per una tappa al bar che sorveglia dall’alto la strana valle. Qui una signora bionda ben vestita tiene banco con i clienti commentando i fatti del giorno e le sue vicende personali, ogni tanti butta lì un “pota” che contraddistingue la lingua dei bresciani, così vicini, così diversi, così vestiti meglio. So che lei ha visto i miei abiti scombinati e di certo non le sono sfuggiti i miei scarponi infangati… pago e scappo, scendendo piano verso il lago con le piramidi bresciane alle spalle che almeno per oggi, al mio passaggio, non sono crollate.