Il quartiere Zaspa di Danzica | Un tempio della street art tra i venti del Baltico
La domenica mattina il centro di Danzica è semi deserto. Se non fosse per i turisti, probabilmente, il silenzio sarebbe totale. La recente politica del Governo sulle chiusure domenicali ha un effetto eloquente. C’è un silenzio quasi surreale. Il freddo pungente di un inverno senza neve condensa il respiro in nuvole di vapore.
Ma Danzica non è solo il gioiellino di case colorate riflesse nei canali che la fanno sembrare la Copenaghen della Polonia. Con un Uber recuperato appena fuori dall’area pedonale del centro storico, si raggiunge in dieci minuti il quartiere di Zaspa (si arriva comunque anche in una ventina di minuti di tram).
Danzica è anche osservare, lungo la strada, il mutare repentino del profilo urbano. Le gru dei famosi cantieri dove ha originato Solidanosc. Le lunghe sequele di edifici in mattoncini rossi. Il Baltico che si sente ma non si vede. Le persone e gli artisti che da anni stanno ridando nuova vita a zone che sarebbero nient’altro che dormitori e deserto.
Ecco. Zaspa è un vero e proprio ecosistema. Il quartiere operaio degli anni ’70 all’ennesima potenza. Una lunga serie di edifici frutto dell’assembramento di grandi pannelli di calcestruzzo. Un luogo di palazzoni dove vivono poco meno di ventimila persone che sorge sulle rovine di un vecchio aeroporto. Walesa, durante gli anni di Solidarnosc, viveva qui.
Nella visione utopistica degli architetti dell’epoca, doveva diventare un luogo quasi autosufficiente. Ma non è andata così. Negli anni ’80 e ’90 Zaspa è diventato luogo di difficoltà sociali di vario genere. Ed è anche per questa ragione che un gruppo di attivisti locali ha avuto l’idea, l’intuizione, l’ardire di usare l’arte come strumento di riscatto urbano.
Le prime opere di steet art sono state dipinte alla fine degli anni ’90 dall’artista polacco Rafał Roskowiński che ha organizzato un festival internazionale in occasione del millesimo compleanno della città.
Oggi i graffiti sono una sessantina. Nel 2009, infatti, l’artista Piotr Szwabe vel Pisz ha dato il via alla prima edizione del Monumental Art Festival che ha lasciato sulle pareti dei palazzoni una nuova quarantina di opere realizzate da artisti provenienti da tutto il mondo.
E’ così che nasce la “Collection of Monumental Painting” di Zaspa a Danzica.
Scendendo dalla macchina resto nuovamente colpito dal silenzio. L’edilizia post sovietica la fa, appunto, da padrone. I colori delle pareti sono tenui, acquerello. Alcuni spiccano di più, sul giallo acceso e l’arancione. Il cielo è azzurrissimo.
Ogni tot metri piccoli bungalow per la raccolta differenziata. C’è ordine. Lungo i vialetti che separano i palazzoni sono parcheggiate macchine di ogni genere e valore. Sui vetri e sulle carrozzerie, schizzi di neve ghiacciata, un miracolo di pochi minuti della pioggia di ieri, tramutata in brevi raffiche bianche dal vento.
Una trentina di nodi che sapevano di inverno e salsedine. Uno di quei venti che scorrono lungo le depressioni dei mari del nord portando quei cieli ora grigi e bassissimi, ora trasparenti ed altissimi e una luna dai contorni incredibilmente definiti.
E ancora silenzio. Silenzio dappertutto. Ogni tanto una tapparella che sale, un corvo che gracchia o una rara automobile di passaggio.
Ed eccole le opere che cercavo. E’ incredibile. Non c’è altro aggettivo. In questa distesa infinita di palazzoni, quasi ogni facciata laterale dei condomini ospita giganti lavori di street art.
Le costruzioni sono tutte numerate. Hanno un nome, che è quello della via, e una cifra. Gelida matematica. Ordini e discipline sovietiche. Sulle pareti che non ospitano opere troneggiano giganti il nome e il numero del palazzo.
Ci sono tantissime aree verdi. Dei campi da tennis in cui due coraggiosissimi polacchi stanno sfidando il gelo. Un campo da calcio coperto di brina. Una collinetta, probabilmente risulta dei lavori di costruzione che furono. Ci salgo per provare ad avere un’idea migliore dell’area. L’erba ghiacciata scricchiola sotto i piedi.
Alcuni palazzi sono stati recentemente ristrutturati. Altri sembrano addirittura di nuova costruzione: balconi di vetro e giochi di linee verticali che riprendono le costruzioni adiacenti. Non siamo affatto in uno slum. Zaspa sembra una periferia che cresce. O almeno ci prova. Biciclettine e passeggini negli ingressi.
C’è una chiesa dall’aspetto brutale. Svetta ma non super l’altezza dei palazzi. “Come in cielo così in terra”, sembra dire. Tutti uguali.
Guardandola riesci a immaginarti gli operai in coda la domenica mattina. Incrocio per puro caso il flusso di uscita. Sono ancora loro. Trenta o quarant’anni dopo. Si accompagnano a braccetto lungo i marciapiedi ghiacciati. Lui e lei. Poi ci sono i figli. E i figli dei figli.
Mi fa specie il contrasto tra le opere di street art iper moderne dal design spesso fumettistico (è un’espressione esistente? Va beh, ci siamo capiti) e queste coppie di anziani imbacuccati nei loro cappelli di pelo.
Sono abituati ai turisti che vengono a vedere le pareti delle loro case. Eppure mi sento osservato. Sarà che di solito i gruppi si presentano d’estate. E non nella forma di un viaggiatore solitario armato di zaino e cellulare, alle prime luci di gennaio.
Il comitato di quartiere in estate organizza visite guidate tre volte a settimana per scoprire il trionfo di murales della zona. Se si vuole essere accompagnati anche nelle stagioni più ostili alla vita umana, però, è possibile contattarli tramite questo sito. Rispondono molto rapidamente offrendo il servizio di una guida locale (a pagamento).
Visitarli da soli è impresa ardua ma assolutamente fattibile. A fine camminata scoprirò di avere percorso circa 8,5 km a piedi. Il sito, peraltro, offre una mappa molto chiara della collocazione delle opere:
E’ difficile spiegare la bellezza dei contrasti di queste cascate di colore con il rigore di cemento dei palazzi. Eppure sembra quasi che questo quartiere sia stato pensato proprio per ospitare tutto questo.
Come se le pareti bianche e cieche laterali, curiosamente senza alcuna finestra, fossero tavole bianche che aspettavano solo un racconto da ospitare. Una rivendicazione. Un messaggio politico. Una storia. Un protagonista. Un animale. Oppure tutto questo, tutto insieme.
Finito di gironzolare tra questi condomini – accento a piacere – è bellissimo risalire i 2,5 km che separano dal molo w brzeźnie. E’ qui che ho ritrovato il vociare che mi è mancato tra le vie deserte del centro e di Zaspa. Ecco dove si nascondono i polacchi la domenica mattina.
Un fiume di persone sfida le temperature rigidissime e i venti del Baltico per godersi il sole di una giornata tersa. Qualche pazzo fa il bagno. I bambini intabarrati nei loro cappotti giocano con la sabbia. All’orizzonte, verso la città, i profili delle gru dei cantieri. Il porto. Un pezzo di storia di Europa.
Le acque gelide sfiorano la punta degli scarponi. Gli schizzi delle onde gelano negli angoli in ombra del molo. Magari presto tornerà anche la neve.