What The Water Gave Me | sei fiumi dell’anima
Tentare di fluire in tempi che non lo consentono. Questo mi ha portata nell’ultimo anno a vivere la mia vita sui fiumi, risalendo la corrente di ogni corso d’acqua che si è lasciato conoscere ed esplorare, o che è stato legalmente raggiungibile in bici o a piedi. Un anno a conoscere luoghi passo per passo, a vederli cambiare con le stagioni, a ritrovare solo le mie impronte settimana dopo settimana.
Posti che sono stati come persone, che hanno sostituito le persone quando le persone non potevano esserci. Posti che forse davvero in quei giorni non interessavano a nessuno ma che io conoscevo molto bene, anche solo per averci passato una parte della mia vita a caccia di paesaggi e di risposte.
Tra i molti fiumi e torrenti che da sempre mi accompagnano questi sono i sei dell’anima:
IL SARCA
Il Sarca è pura magia. È il fiume della mia infanzia e delle mie Dolomiti e per me nasce dal ghiacciaio del Mandrone cioè da una parte di Adamello che venero fin da bambina. Prima di arrivare, poco più che dodicenne, in quel paradiso terrestre che si trova tra il Rifugio Mandron città di Trento e il sentiero che porta verso il Rifugio ai Caduti dell’Adamello, ho passato intere estati con la mia famiglia nella sottostante verdissima Val di Genova dove il Sarca scorre potente tra piccole e grandi cascate, molti porcini e qualche orso. Per me il Sarca è di un azzurro quasi biancastro, è gelido e mi racconta di tutta quella parte di ghiacciaio che ancora non conosco e che da sempre mi chiama.
Aspettami Adamello, e porta pazienza che prima o poi ti affronto.
IL CAFFARO
Il Caffaro mi ricorda la terra. Tutta la valle sembra fatta di fango, legno e ombra. Per questo, anche se il Caffaro è un fiume azzurro e rigoglioso, mi fa pensare alle tinte marroni della terra scura, alla roccia scura del monte Blumone, al fango tra i larici che portano ai laghetti del Bruffione, alle malghe, alle mucche marroni di quelle zone. Al marrone antico del Carnevale di Bagolino, alle cataste di legna salendo verso Valle Dorizzo, ai ponticelli di legno della piana di Gaver. La Valle del Caffaro sovrasta di poco il lago d’Idro e non è poi così distante da Brescia ma sembra un posto cristallizzato nel tempo, una specie di piccola culla della natura dove non c’è campo, non c’è moda e probabilmente non c’è tempo. Si vive come gli alberi in un eterno presente.
IL DEZZO
Il Dezzo è roccia, il Dezzo per me è la via Mala, un lungo e incredibile orrido percorribile a piedi sulla vecchia strada carrozzabile che un tempo univa la Val d’Angolo, tributaria della Valcamonica (Bs), con la Val di Scalve. Quella zona rimane tutto l’anno gelida e aspra come le Orobie, splendide ma con vette da guadagnarsi a fatica, un mondo di rocce e dislivelli potenti, ghiaoni, neve e ghiacci. Il Dezzo per me è grigio come sono grigie le pietre di quella remota valle bergamasca.
L’OGLIO
L’Oglio è la mia infanzia, storie di feste, di grigliate, di chitarre. Sono i tempi spensierati di chi cresce in provincia e prima o poi con una canna da pesca deve fare i conti. Magari di notte o magari, molto peggio, al tramonto, quando le zanzare sembrano volerti mangiare viva. Per me l’Oglio è Isola Dovarese, Monticelli Ripa D’Oglio e Pessina Cremonese e mi fa pensare al verde, al colore delle piante, delle rive, delle estati senza pensieri in cui ci si domandava solo quando sarebbe arrivato il momento di cantare tutti insieme.
IL TREBBIA
Del Trebbia ho detto davvero troppo ma la verità è che per molti anni ne ho conosciuto solo una piccolissima parte vicino alla foce. Con la famiglia ci fermavamo a Rivergaro, io prendevo il mio lettore CD e partivo in un pericolosissimo guado fino ad un’isola centrale con un’enorme pietra bianca, fatta a letto, che ora non c’è quasi più. Stavo ore, parzialmente a mollo, a guardare quell’acqua che già lì mi pareva azzurrissima e non mi capacitavo di tanta bellezza. Inutile dire che anni dopo ho imparato a guadarlo molto più a monte e ho scoperto la vera meraviglia.
Il Trebbia è azzurro, forse il migliore azzurro che io conosca.
IL PO
Il Po è il Grande Fiume della Pianura ma è un fiume deserto. In questi mesi infami mi ha accolta e si è fatto conoscere, mi ha mostrato quelle infinite terre che stanno tra gli argini e la riva e ospitano spiaggioni, lanche, uccelli, pesci che guizzano all’improvviso, sabbie mobili e boschi. È incredibile essere al centro della Pianura Padana, non incontrare esseri umani per ore e vedere tanta bellezza, tanto da scoprire tanti colori nei riflessi dell’acqua e tanto spazio ancora da conoscere ed esplorare. Il Po, che spesso è color catrame, per me è rosa come i più di cento tramonti che mi ha regalato in quest’anno e che in qualche modo mi hanno salvata.