What Did Jack Do? L’assurdità destrutturata di David Lynch
Nel giorno del suo 74esimo compleanno, il 20 Gennaio 2020, in sordina e senza dir nulla alla stampa, David Lynch ha rilasciato su Netflix il suo nuovo cortometraggio: What Did Jack do?. I cortometraggi sono una materia strana ed instabile e questo più di altri. Sembra il prodotto di una sperimentazione, nata per essere custodita e proiettata al MOMA di New York e distante da altri prodotti di simile durata sulla piattaforma streaming per eccellenza. Eppure è stato rilasciato proprio su Netflix, per la diffusione di massa, per poter colpire tutti quanti e non solo gli appassionati di istallazioni audiovideo.
In un bianco e nero anticato da continui graffi sulla “pellicola”, un agente di polizia interpretato da David Lynch stesso interroga un sospettato di omicidio, tra una sigaretta e un caffè. Il sospettato, però, è una scimmia cappuccino dagli occhi enormi e sempre spalancati, che parla attravero una bocca umana inserita in deep-fake sul suo volto e con una voce rotta e gracchiante (sempre dello stesso Lynch). Un omicidio passionale, a quanto pare.
Ad aumentare il senso di assurdità contribuisce la destrutturazione dei dialoghi e delle scene. La regia si riduce ad una alternanza fra campo e controcampo, con primipiani ripresi quasi sempre dalla stessa angolazione. Con pochissime variazioni, che insistono sul caffè (Twin Peaks, ma anche Jim Jarmush) e su pochi altri dettagli. Solo nella scena finale l’inquadratura cambia, lasciandoci un’impressione quasi espressionista, ma tenendo lo spettatore in ogni caso lontano dall’azione.
Alla stessa maniera, i dialoghi sono ridotti ad una serie (insensata?) di frasi fatte e modi di dire, quasi tutti con animali come protagonisti. Le domande non hanno risposte e le risposte spesso non hanno domande. Un destrutturazione del contesto sia cinematografico che linguistico che David Lynch insegue da sempre, a partire dai cortrometraggi della gioventù e da Eraserhead, che ricorda molto What Did Jack do? sia per i toni che per la compresenza di aspetti animal(esch)i. E tuttavia la storia sembra avere un senso, ma è reale o è semplicemente quello che la nostra fantasia alla ricerca di un appiglio logico mette insieme, riempiendo arbitrariamente i buchi?
La sensazione complessiva è di spaesamento e di grottesca assurdità. E di divertimento, a tratti, quando l’assurdo travalica ogni confine. Lynch gioca con noi, con se stesso e col suo stesso cinema. La componente animale è spesso presente nelle sue opere (e pure la scimmia non gli è nuova…) e rappresenta quella parte di noi animalesca e spesso non del tutto accettata. Lynch interroga se stesso, come farebbe immaginare la doppia voce da lui interpretata? Oppure si tratta solo di un sogno, che mette in piedi un divertissement tanto bello quanto privo di senso? Forse un esercizio di stile. Ma in ogni caso, uno stile magnifico.