Il violoncellista Gōshu e altri scritti ǀ Il suono della speranza
Un amore è inaspettatamente sbocciato: quello tra me e la letteratura giapponese.
Un amore che cresce e si consolida giorno dopo giorno. In una sorta di estasi febbrile, ben fedele al mio caos interiore, ho infatti iniziato ad apprezzare molti autori giapponesi diversi tra loro per stile, epoca e genere. Uno di loro è riuscito a regalarmi nuovi occhi. Dal momento in cui ho chiuso quel libro è cambiato drasticamente il modo in cui guardo alle cose, alle cose di tutti i giorni fino a quelle che credevo insignificanti.
Si tratta di Miyazawa Kenji, autore che, in vita, fu beatamente ignorato.
Poeta, scrittore di favole per bambini, agronomo e fervente buddista, entra a far parte della mia libreria ma soprattutto della mia vita grazie alla raccolta Il violoncellista Gōshu e altri scritti. In questo libro è proprio il primo racconto, del genere dōwa, a permettere al lettore, seppure neofita, di entrare in contatto con l’autore poiché qui Kenji mette molto di sé, fino a far percepire un senso quasi di autobiografia. Kenji, infatti, desiderava diventare un musicista senza esserci mai riuscito. Così in questa sua opera, come si legge nella splendida prefazione di Muramatsu Mariko, sceglie di dare al “suo” violoncellista un nome parlante: Gōshu, una parola che viene dal francese gauche – “sinistra” ma anche “imbranato”.
Gōshu è un musicista che si impegna moltissimo ma resta mediocre, redarguito e spesso umiliato dal direttore d’orchestra. Tornando a casa distrutto dopo l’ennesimo fallimento decide di mettersi a suonare con tutta la forza che ha quando, all’improvviso, viene disturbato da un ospite alquanto singolare, un gatto maculato che gli chiede di eseguire Il sogno di Schumann. Senza la sua musica, infatti, il gatto ammette di non riuscire ad addormentarsi. L’uomo, però, lo scaccia e torna ai suoi esercizi.
Gōshu fronteggia nuovi ospiti inattesi anche le due sere successive: un cuculo che vorrebbe prendere lezioni di musica e un piccolo procione che gli chiede di accompagnarlo col violoncello mentre suona il tamburino.
L’ultima sera riceve la visita di un topo campagnolo che gli chiede di intervenire per curare con la sua musica il proprio cucciolo, spiegando che grazie alle note del suo strumento ma soprattutto al vigore col quale suona molti animali sono guariti. Gōshu accetta sbalordito e, ritemprato dal singolare incontro, è pronto a tornare sul palco con l’Orchestra Venere.
Quello del personaggio maldestro ma anche pieno di volontà e capace di slanci generosi verso gli altri, incarnato alla perfezione da Gōshu, è un filo rosso che lega il primo racconto agli altri due: Il bosco del Parco Kenjū e Il generale della guardia del Nord e i tre fratelli medici. I testi sono accomunati anche da una cifra stilistica unica che riflette l’eclettismo dell’autore capace di prendere spunto dalle sue personali e innumerevoli passioni, comprese quelle scientifiche. Kenji riesce infatti a trasfigurare e rendere poetico il mondo che ci circonda fondendo il suo amore per la natura ma anche per l’umanità.
Per questo motivo i suoi racconti e i suoi personaggi, seppure circondati da elementi fantastici e magici, riescono a trasmettere un’idea di realtà e di quotidianità e a veicolare un messaggio positivo di resistenza di fronte alle difficoltà.
Per esempio nel racconto Il bosco del Parco Kenjū il protagonista, nonostante le derisioni, decide di portare avanti una sua idea e Kenji ce lo descrive non come un combattente ostinato quanto piuttosto come un uomo con tutti suoi limiti ma con una grande e serena forza interiore. Questo è il vero fulcro della sua scrittura, mostrare la fragilità umana e allo stesso tempo i grandi risultati che si possono ottenere con determinazione e costanza. La stessa atmosfera magica ma ancorata alla realtà si rintraccia nelle poesie in versi liberi, shinshō sukecchi e cioè “schizzi dell’immaginario” o “schizzi mentali”, definizione che Kenji stesso dà delle poesie pubblicate nella raccolta La Primavera e gli Asura in cui riesce a cristallizzare una precisa fase di immaginazione esprimendo la forte tensione dell’essere umano in bilico tra volontà e circostanze pratiche della vita.
I testi di Kenji hanno, quindi, la capacità di trasportare il lettore in una dimensione altra o meglio nella nostra dimensione di tutti i giorni ma diversamente interpretabile e piena di sfaccettature e sorprese, difficile restare indifferenti al tremolio di una foglia che si prepara, ingiallita, a cadere o al sorriso sincero di una persona capace di trasmetterci l’infinito dono dell’empatia dopo aver “mangiato” i suoi scritti e, in effetti, questo è anche l’augurio che Kenji fa ai suoi lettori:
“Mi auguro comunque di cuore che alcuni pezzetti di queste storie diventino per te veri cibi trasparenti.”
In alcuni momenti della vita i libri ci scelgono per lasciarci un messaggio sta a noi riuscire a coglierlo e interiorizzarlo, in questo caso un piccolo libro dalla copertina ocra è riuscito a fare anche di più mi ha regalato un suono interiore… quello della speranza. Con uno stile unico carico di armonia Kenji riesce a far sentire questa musica travalicando lo spazio e il tempo: il suo destinatario ultimo è l’animo umano senza età né sesso, universale e singolare insieme.
titolo | Il violoncellista Gōshu e altri scritti
autore | Kenji Miyazawa
editore | La vita felice
anno | 1997 (edizione italiana)
Veronica Di Gregorio