Viaggio in Islanda | Sulla luna, ma con il 4G

Viaggio in Islanda | Sulla luna, ma con il 4G

Islanda, Ring Road

Andare in Islanda è come fare un viaggio sulla Luna, ma a sole quattro ore di aereo da casa.

Certo, sarebbe un viaggio sulla Luna se la Luna fosse già una meta alla portata del turismo di massa e parzialmente invasa da americani con thermos di caffè e asiatici con occhiali da sole sgargianti. E dove il 4G prende OVUNQUE. Ma ci arriviamo.

Tutto ciò che immagini di vedere in Islanda, lo vedrai. Ma sarà molto meglio delle aspettative. Percorrendo tutta la Ring Road, la strada che circumnaviga l’intero Paese, lunga 1.300 chilometri (che nel nostro caso sono diventati oltre 2.000 grazie alle numerose deviazioni) ci si accorge di quanto questa nazione sia un incredibile insieme di paesaggi differenti. Mai lo stesso scenario.

Non solo ghiaccio, terra, acqua e lava. Ci sono le cascate. Tante, tantissime cascate che a un certo punto ti chiedi: “Ma è possibile esista così tanta acqua nel mondo?”. Ci sono lunghi campi di lupini, bellissimi fiori simili a lavanda, che corrono a lato della strada e poi si interrompono d’improvviso lasciando spazio a distese desertiche di terra nera. Ci sono le montagne o, per meglio dire, i vulcani che sonnecchiando ti osservano da lontano e sanno che tu sai che loro sono vivi; in totale ci sono 130 vulcani attivi in Islanda! Poi ci sono le fattorie, sparse qua e là nel paesaggio, che quando le guardi ti viene da chiederti: “Ma come fanno a vivere qui, isolati dal mondo!”. E subito dopo: “Beh, però, quasi quasi…”.

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C’è ogni tanto una cittadina dove vedi parchetti e giochi per bambini bellissimi e un numero non meglio precisato di uffici KPMG o Accenture (devo ancora capire il perché). Ci sono i cavalli, le renne selvatiche, decine di specie diverse di uccelli mai viste prima. Ci sono migliaia, o forse milioni, di pecore e agnellini che pascolano su immensi prati e ti guardano mentre passi in macchina e tu realizzi il motivo del piatto nazionale. È sicuramente a chilometro zero e ha vissuto benissimo, libero e felice, ma l’agnello alla brace non me la sentirò di assaggiarlo.

A proposito di animali. Un incontro che non scorderemo mai lo facciamo a metà viaggio, nel Nord. Siamo a Húsavík, una cittadina di pescatori che da qualche anno è diventata la capitale islandese per l’avvistamento delle balene (oltre che il set di un demenziale film sull’Eurovision girato qui nel 2020 di cui vanno MOLTO fieri. Vedetelo, è su Netflix, Eurovision Song Contest – La storia dei Fire Saga).

Il giorno in cui arriviamo noi la fortuna ci assiste e il cielo è azzurrissimo, il mare calmo. Le compagnie che ti portano a fare il giro in barca ti spiegano che vedere i cetacei non è assicurato: non è un’attrazione turistica, sono libere e non rispettano gli appuntamenti. Ma anche in questo, siamo fortunati. Ne vediamo in totale forse una decina. Le seguiamo per quasi un’ora. L’emozione è forte perché mentre le guardiamo salire in superficie per respirare e poi alzare la coda per darsi lo slancio necessario a ritornare in profondità, pensiamo a quanto sia bello questo mondo.

Sarà retorico, ma in Islanda la natura ti parla, ti costringe ad ascoltarla, ti smuove, ti emoziona. Le balene – quelle che vediamo noi sono megattere, più precisamente – sono gli animali più gentili del pianeta: non fanno male a nessuna altra specie, anzi, le difendono. Migrano d’estate dalle acque troppo calde dei Caraibi fino a qui, che siamo a pochi chilometri dal Circolo Polare Artico. È un equilibrio perfetto e a guardarle te ne accorgi. Il giorno dopo nello stesso punto di mare vedranno anche una balena blu, l’animale più grande del Pianeta Terra. Noi non siamo stati COSÌ fortunati, ma va bene lo stesso. È casa loro, noi eravamo ospiti.

Da un punto all’altro del Paese si percorre la mitica Ring Road per chilometri e chilometri. A guardare fuori dal finestrino non ci si annoia mai, specie nella zona dei fiordi a Est del Paese. Magnifica. A me capita però di addormentarmi (narcolettici delle auto ne abbiamo?) e quando mi risveglio ci metto qualche secondo a rendermi conto che nessuna navicella aliena ci ha trasportato improvvisamente sulla Route66 degli Stati Uniti. Sembra incredibile per un Paese che è grande un centesimo degli USA ma l’effetto della strada che si allunga davanti a te a perdita d’occhio è lo stesso, per chi sa cosa intendo. Il motivo è la quasi totale assenza di persone, edifici e industrie per molti chilometri.

Quando arriviamo dove il navigatore indica la nostra guest house per la notte (il più delle volte si tratta di mini-casette prefabbricate, curatissime e dotate di ogni comfort) ci accorgiamo che quello che sulla mappa avevamo scambiato per un “paesino” in realtà sono due case. Al massimo quattro. Però hanno anche un’insegna stradale dedicata.

Eppure… quanto è facile sentirsi a casa qui!

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Fuori il vento è forte e gelido, ma non si sente un rumore. Dentro, una cena con il riso portato dall’Italia e il pane comprato al supermercato (due trucchi per risparmiare un po’ in un viaggio che sì, è costoso, non mentiamo), una birra comprata nel negozio statale aperto solo poche ore al giorno (a occhio l’alcolismo è un problema), un po’ di musica da Spotify (dicevamo: il 4G in Islanda prende OVUNQUE, anche nel nulla, anche dove preferiresti non ti riuscisse a trovare quella mail del commercialista) e poi una serata sul divano leggendo i libri che ci siamo portati (Luce d’estate ed è subito notte di Jón Kalman Stefánsson). Aspettiamo mezzanotte, quando il sonno non arriva, ed è bellissimo. D’estate rinunci all’aurora boreale ma nessuno ti ha detto quanto è bello il sole di mezzanotte. Quanto è straniante. Quanto è nostalgico.

Ogni mattina per vestirci gli stessi gesti: pantaloni e maglia termica, t-shirt a maniche corte, pile, pantaloni idrorepellenti e nello zaino anche gli overpants anti-pioggia, mai usati in realtà, calzettoni pesanti, scaldacollo, cappellino, giubbino intermedio, giubbotto anti-pioggia e anti-vento. Sì: era giugno quando ci siamo andati. I gradi non erano pochissimi ma il vento è freddo e i cambi di meteo improvvisi. In questo viaggio ho capito che il motto degli scout “non è bello o cattivo tempo, ma buono o cattivo equipaggiamento” è molto vero. E pensare che io sono/ero meteoropatica. Dopo l’Islanda, giuro, ho iniziato ad amare anche quelle giornate grigie, con la pioggia, le nuvole basse. Il freddo. Ok, forse le amo ma solo in Islanda.

Comunque, è con un clima così ho conosciuto per la prima volta un ghiacciaio. Per la precisione, il ghiacciaio più grande d’Europa. Il Vatnajökull, infatti, si estende per circa 8.100 chilometri quadrati e quello che riusciamo ad “assaggiare” noi (letteralmente, l’ho bevuto) è solo un milionesimo di tutta la sua massa gigantesca. Ci saliamo con un gruppo di turisti imbranati e poco rispettosi del ghiacciaio. Noi lo incontriamo in silenzio e stando alle sue regole. È ghiaccio in movimento, anche se non ce ne accorgiamo. Ogni anno si sposta per centinaia di metri e ogni anno un pezzetto di lui scompare. Anche qui, come ovunque, il ghiaccio si sta sciogliendo. Ce ne accorgiamo guardando le fotografie degli anni ‘20 e ‘30 esposte nel campo base. Anche qui, è una “gita” per vedere con i nostri occhi che faccia abbia il cambiamento climatico.

Dopo il ghiacciaio e gli iceberg (che sono incredibilmente belli anche se nella nostra testa iceberg = Titanic = cattivi), le acque a 38 gradi dei bagni termali di Myvatin, nel Nord, o della più famosa Laguna Blu nel Sud sono una goduria. Sono acque “di scarto” delle centrali geotermiche e anche qui il pensiero di quanto sia incredibile la natura sorge spontaneo: ci siamo fatti il bagno dentro acqua scaldata dal calore della Terra stessa.

L’Islanda, ormai l’avrete capito, è un posto magico. Dove ti aspetti da un momento all’altro di veder spuntare un drago al di là di una montagna o di vedere Jon Snow a cavallo di un destriero andare a uccidere qualcuno al di là della barriera. Fan di Game of Thrones: l’Islanda offre pane per i vostri denti e set da scoprire in gran quantità. Ma di magico, nella cultura islandese, c’è molto altro. A partire dal fatto che la lingua parlata dalla popolazione è sostanzialmente la stessa di mille anni fa e per questo motivo gli islandesi sono in grado di leggere nella lingua in cui sono state scritte le saghe dei loro antenati. Saghe = racconti che narrano storie legate al periodo della colonizzazione in Islanda, fino ai primi secoli dello stato libero. Sono vicende con protagonisti re, regine, persone comuni, eroi. Storie d’amore, di guerra, di famiglia, di potere. Tipo Beautiful ma di mille e più anni fa. Bellissimo.

Un altro appunto: tra il 1654 e il 1863 furono mandate al rogo 20 persone accusate di stregoneria. 18 di queste erano uomini. Così, come nota di colore. Ci stava.

Una menzione, infine, la meritano gli islandesi. Sicuramente semplici co-protagonisti di una terra in cui è la natura a ricoprire il ruolo della star. In totale, la popolazione islandese è composta da 351mila persone di cui 212mila vivono nella Grande Reykiavik, la capitale e i suoi dintorni. In sostanza il resto del Paese è quasi disabitato. Incontrarli in un viaggio breve come il nostro è difficile. Conoscerli del tutto impossibile. Aiuta quella Sacra Bibbia delle non-guide turistiche che è The Passenger. Grazie a lei scopriamo che anche qui le contraddizioni sono tante e vanno dall’attenzione prestata all’ambiente (oltre il 70% di energia in Islanda è rinnovabile) alla “complicità” delle comunità locali con le multinazionali dell’alluminio, altamente inquinanti, che mettono mano su ampie fette dell’interno del Paese in cambio di un po’ di “progresso” e promesse di lavoro.

Gli islandesi ci offrono esempi virtuosi: ad esempio, è l’unico Paese al mondo a contrastare efficacemente il sovrasfruttamento dei mari limitando la pesca e un panorama musicale ricco e conosciuto all’estero – Björkdo you remember? Ma sul futuro c’è da tenere i sensi all’erta, essendo l’Islanda divisa tra il rapporto con gli Stati Uniti, che qui hanno fatto base (militare) a lungo, e la Cina, desiderosa di espandersi sempre più verso l’Artico.

Ma dicevamo: gli islandesi sono pochi? Paura di sentirsi soli? Nessun problema! Ci pensano i turisti! Nel 2022 hanno visitato l’Islanda 1 milione e 700 mila turisti. Mica male per un Paese grande come il Kentucky (per dirne uno). Quindi, per chiudere con una nota semi-negativa e non dare l’idea che siano tutte rose e fiori (o meglio, lava e ghiaccio): il rischio di trovarsi a fare la fila per il bagno con un gruppo di pensionati americani o giapponesi appena scesi da una crociera, soprattutto nei luoghi più turistici del Sud, esiste.

Ma visto quanta bellezza ci ha regalato questo Paese, siamo disposti a correrlo.

 

Ambra Orengo




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