Veloce come il vento, di Matteo Rovere
Si sta formando una nuova generazione di cinema italiano, che non ha paura di confrontarsi con modelli più “grandi” (all’apparenza), né di discostarsi da ingombranti passati. Dopo aver dimostrato che sappiamo fare cinema di supereroi come (e meglio) dei colleghi d’oltreoceno, l’Italia si confronta anche sul cinema sportivo.
Veloce come il vento di Matteo Rovere è una classica storia di redenzione sportiva, che potrebbe essere nata in qualche suburbs americana. E invece parla romagnolo. La grande forza di questa nuova generazione di cinema all’italiana è proprio questa: la capacità di affrontare un genere e trascenderlo, o meglio rivestirlo di una sensibilità tutta nostrana, che lo rende qualcosa di diverso. Ci sono tutti gli ingredienti del cinema di genere: le corse clandestine alla Fast and Furious (solo che alle luci di Los Angeles vengono sostituite quelle di Matera…), un debito impossibile da pagare se non vincendo il campionato, un ex campione ormai decaduto che trova il suo riscatto in un gesto quasi eroico (boh, scegliete voi il modello: Rocky, The Wrestler…). E questi ingrediente sono amalgamati con maestria ad un sentimento tutto italiano, ad una lingua che affonda le sue radici nella terra polverosa che si alza sgommando.
Stefano Accorsi recita perennemente sopra le righe e lo fa bene. Da una iniziale gigioneria, riesce a creare un personaggio a tutto tondo, con una sua complessità ed un suo proprio afflato tragico. La giovane Matilda De Angelis è pura rabbia adolescenziale: la sua Giulia romba più forte di qualunque macchina, il suo sguardo infuriato col mondo buca parabrezza e schermo. Paolo Graziosi, come sempre ottimo caratterista, completa il quadro. Matteo Rovere dirige un ottimo film di genere, con cura e passione, sorretto da una buona sceneggiatura. Anche le riprese delle corse sono di buona fattura, artigianale quanto basta (la quasi totale assenza di CGI è un altro pregio caratteristico di questa nuova rinascita di genere italiana).
Veloce come il vento non è un film perfetto, anzi ci sono molte sbavature ed imperfezioni. Ma ci ricorda che il cinema deve anche prendersi dei rischi, correre sul cordolo, procedere per passione e non per ragionamento. Insomma, fa ben sperare sul futuro del cinema italiano.
Voto: 7.5