Utopia Editore: una bella novità sul fronte editoriale
Utopia Editore si presenta con l'idea chiara ed ambiziosa di non proporre i libri che si vendono, ma vendere i libri che si devono proporre: vi si scorge l'urgenza di portare al lettore opere segnanti, capaci di sopravvivere al tempo. "Oltre la polvere", quella che ricopre le opere effimere inesorabilmente dimenticate sugli scaffali.
Gennaio 2020, il placido sismografo dell’editoria italiana registra una scossa: viene fondata Utopia Editore. Ben lungi dall’essere l’ennesima casa editrice indipendente la cui mission è invadere di cartaccia librerie già stracolme, Utopia Editore si presenta con la visione chiara ed ambiziosa di non proporre i libri che si vendono, ma vendere i libri che si devono proporre: vi si scorge l’urgenza di portare al lettore opere segnanti, capaci di sopravvivere al tempo. “Oltre la polvere”, per dirla con le parole di Utopia, quella polvere che copre le opere effimere inesorabilmente dimenticate sugli scaffali.
Chi sin qui si sia occupato di Utopia Editore ne ha parlato – con una certa approssimazione – come della casa editrice nata nei giorni del Covid, neanche pubblicassero le istruzioni su come indossare la mascherina o lavarsi le mani. Chi scrive è invece convinto che non tutti i fenomeni siano da ricondurre alla pandemia, specie quelli culturali, nel caso di un editore dunque, bisogna guardare anzitutto al panorama editoriale italiano.
Proprio da qui inizia la mia conversazione con Gerardo Masuccio, poeta ed editor di Utopia, al quale ho rivolto qualche domanda in occasione dell’uscita in libreria dei primi titoli di Utopia Editore.
[Pietro – SALT] Utopia Editore si affaccia in un contesto, quello nazionale, che abbonda di case editrici indipendenti al punto che per un lettore può risultare difficile orientarsi. Come intende, Utopia, distinguersi dalla massa?
[Gerardo] Le case editrici indipendenti sono poche, a mio avviso. E meravigliose. Abbondano invece le tipografie indipendenti. Si rimprovera alla grande editoria di interessarsi a tutto fuorché ai libri. All’editoria indipendente talvolta va rimproverato di interessarsi solo ai libri, senza curare passaggi essenziali della filiera. Lo scouting, certo, la stampa. Ma la promozione? La distribuzione? Le derivazioni creative? Sono importanti quanto la ricerca e il confezionamento del libro. In questo Utopia ha voluto distinguersi. È nata e immediatamente i suoi titoli sono arrivati in tutte le librerie di catena, grazie a un’intesa con Goodfellas e Messaggerie, e nella maggior parte delle librerie indipendenti, grazie al contributo attento del nostro ufficio commerciale. Bookrepublic segue la distribuzione degli e-book e Storytel quella degli audiolibri. La presenza deve essere capillare. Essere è essere percepiti: se si ama un buon libro, bisogna segnalarlo al lettore, altrimenti non pubblicarlo è esattamente lo stesso.
Tra le ragioni per fondare una casa editrice dovremmo probabilmente includere l’insoddisfazione per l’offerta attuale. A tuo avviso, cosa manca all’editoria italiana?
Manca l’identità. Libri interessanti e libroidi convivono nei cataloghi della quasi totalità delle case editrici, con poche nobili eccezioni. Sembra che la coerenza sia superflua, invece i lettori non si fidano più dell’editore.
Singoli libri possono avere meriti e successo, ma i progetti? non ce n’è traccia. Si oscilla nella confusione, e i funzionari hanno preso il posto degli intellettuali. Strategia vincente nel breve termine, insignificante nel lungo periodo. Interessarsi alla letteratura significa andare ben oltre l’analisi dell’immediato.
Difatti leggo dal vostro sito che “ogni libro è un tassello del mosaico di Utopia” o, ancora, “Utopia (…) intende trasformare ciascun volume che pubblica in un capitolo di un’opera più grande, il proprio catalogo, perché il mestiere di scegliere i libri è un’espressione artistica”. Ciò mi fa pensare al concetto adelphiano di “libri unici” come tratto unificante di un catalogo inteso appunto come opera in sé. Vi riconoscete in questo approccio?
Riconosco in Roberto Calasso un maestro. La sua teoria dell’editoria mi ha influenzato profondamente. Adelphi è però solo una delle case editrici che hanno fatto della coerenza il proprio nucleo fondante. Ne seguo molte altre, ad esempio Iperborea, Keller, Safarà, Fazi, tutte indipendenti, piccole e di classe.
Perché puntare sulla carta in un paese dove notoriamente si legge pochissimo e in un momento storico in cui forme alternative di intrattenimento sono sempre più pervasive e diffuse?
Non credo di aver scelto il mio mestiere. Ho solo assecondato una vocazione. Sono però convinto che esista un nucleo di persone che ha bisogno della letteratura. Sono presuntuoso e ritengo che si tratti di una minoranza più consapevole e colta, custode di questa civiltà, una minoranza che vive, tra molti che esistono. Evviva l’intrattenimento, purché si accompagni a un costante esercizio di consapevolezza. L’arte ricorda all’uomo la sua finitezza. E l’uomo consapevole vive in maniera diversa dall’uomo ignorante. Perché pensa, parla e agisce nella piena contezza dei propri limiti. A quell’uomo io parlo, e ne avverto l’attenzione.
Nella pratica invece, come si manda avanti una casa editrice? Qual è la tua giornata tipo?
Non si pensi che l’editor trascorra le giornate al parco leggendo in anteprima l’ultimo romanzo del suo scrittore preferito, in vista della traduzione in italiano. A me capita sempre più spesso di leggere durante la pausa pranzo, di notte, nei fine settimana. La mia giornata oscilla tra il confronto con gli scout e gli agenti, il lavoro redazionale, le conversazioni con i traduttori, la cura della comunicazione, dell’ufficio stampa, dei social e la strategia commerciale, che coinvolge molti interlocutori, dal promotore al distributore, dal tipografo al libraio. Lavorano con me ragazzi attenti, per cui mi limito al coordinamento, ma non c’è un contratto, una copertina, una bozza, un accordo commerciale o un post che io non legga, per il senso di responsabilità nei confronti del lettore. Beninteso, non è un lavoro per me. È un gioco meraviglioso. Non avrei potuto però giocare se, mentre affinavo il gusto letterario, non avessi studiato il diritto d’autore, l’economia aziendale, il marketing. Senza, non si può fondare una casa editrice.
Come editor, c’è quale grande libro nella storia della letteratura che ti sarebbe piaciuto scoprire e pubblicare?
Lavoro come editor da qualche anno e mi è già capitato di indovinare libri che hanno poi ottenuto premi internazionali. Mi ha appena raggiunto la notizia che uno dei romanzi in traduzione per Utopia, un libro indiano di lingua tamil, è in finale al Nation Book Award. È una consacrazione nell’olimpo della letteratura internazionale. La storia a volta rallenta il proprio flusso e permette all’uomo di sfiorarla. Sono andato vicino, in passato, all’acquisizione di tutte le opere di Gerald Murnane, un gigante. Ma Utopia non esisteva ancora. Le ha tradotte un’altra casa editrice, piccola e forte, che rappresenta il futuro.
Torniamo alle vostre pubblicazioni. Dal 17 settembre Utopia Editore è nelle librerie con “La famiglia di Pascual Duarte” di Camilo José Cela e “Gente nel tempo” di Massimo Bontempelli.
Diciamo due parole su questi autori: come siete arrivati a loro e perché, a tuo avviso, l’editoria li ha accantonati nonostante abbiano vinto rispettivamente un Nobel e uno Strega?
Sono autori che avevo letto in biblioteca. Cela e Bontempelli sono menti illuminate che hanno segnato la storia della letteratura e, per pigrizia e trascuratezza, l’editoria maggiore ha ignorato per vent’anni. Non mi stupirei se questi libri diventassero dei best-seller.
Sono dei capolavori di immediatezza. Perseguono la semplicità, si snodano su diversi piani di lettura, preservano una poetica. Sono felice che altri li abbiano ignorati e fiero di averli riportati con Utopia in tutte le librerie.
Di Piero Scanziani invece hai detto di voler fare uno dei pilastri di Utopia Editore. Come mai questo autore è cosi centrale per la casa editrice e perché il lettore contemporaneo dovrebbe riscoprirlo?
Scanziani è un saggista e un romanziere che ho scoperto studiando le carte di Eliade e Cioran. I due intellettuali amarono i suoi libri, tanto da sostenerlo per due volte nella corsa al Nobel. Mi sono chiesto subito come mai un autore che scrivesse nella mia lingua madre e che avesse intercettato la stima di personalità di quel calibro fosse stato trascurato in Italia. L’ho cercato, l’ho letto. Ne sono uscito trasognato. Ho cercato la vedova di Piero, Magì, una fine poetessa. L’intesa è stata immediata. Adesso, sei mesi dopo, migliaia di librai hanno già ordinato il primo dei suoi libri, quello più diretto, “Avventura dell’uomo”. Ma è solo l’inizio.
Di fianco a grandi autori del passato, che spazio riservate a contemporanei ed esordienti?
Stiamo traducendo scrittori contemporanei da quindici lingue diverse, tra cui il tamil, l’arabo, il farsi, il russo, il turco. Nei prossimi sei mesi, alterneremo grandi recuperi (ancora un paio, a gennaio e ad aprile) con traduzioni di testi inediti. Molti degli autori sono esordienti in Italia, ma sono già acclamatissimi nelle rispettive aree linguistiche.
Ho trovato molto accattivante sostituire la quarta di copertina con una lettera al lettore. Puoi dirmi di più su questa intuizione?
Non sono un editore, sono un lettore che sceglie e cura libri per altri lettori. Non pretendo che intercettino i gusti di tutti, ma vorrei che tutti percepissero il serio lavoro di ricerca e selezione che porta Utopia a pubblicare ogni singolo libro. Le sinossi sono così noiose. Le si può leggere ovunque, ormai, anche in rete, e possono al massimo stemperare le attese. Ho voluto invece esprimere, da lettore, le ragioni che mi spingono a proporre un libro. Me ne assumo la responsabilità. Ricevo ogni giorno i messaggi di circa trenta lettori: rispondo a tutti, con tutti dialogo, a volte fino alla discussione. Utopia è nata per questo.
Pochissime case editrici riescono ad instaurare un rapporto con il lettore inteso non tanto come fidelizzare un cliente quanto fare sì che il lettore si affidi all’editore acquistando anche senza conoscere titolo o autore. Che tipo di rapporto vorreste costruire con i vostri lettori?
Vorrei che i lettori acquistassero i libri di Utopia Editore senza leggerne le sinossi sulla stampa o in rete, che li collezionassero percependo l’unità del progetto. Fin dalla grafica i libri di Utopia si richiamano reciprocamente, come i capitoli di un unico volume. Io sono un lettore tra i lettori. E lettori sono i ragazzi della squadra editoriale. Vorrei che Utopia ci rendesse, tutti, una sola moltitudine.