Un’uscita di scena memorabile: La Signorina Else
Forse al mondo non esiste nessun altro. Esistono telegrammi e alberghi e montagne e stazioni e boschi, ma non esistono esseri umani.
Mi domandavo, nel dormiveglia:
Ma a voi viene mai da pensare all’Impero austro-ungarico?
Strudel con violente spolverate di cannella e tremolanti nudi di Schiele da un momento all’altro vi intasano tutti e cinque i sensi. Contemporaneamente. Poi cadete svenuti ma ne è valsa la pena.
Siete sicuri?
A me sì, non so bene perché.
È un’immagine simile al tarlo della decadenza imminente fatto di pruriginosi guanti in pizzo color avorio scaloni da scendere lampadari da far lucidare sonate di Schumann in fa diesis minore da ascoltare la minaccia di suddivisioni geopolitiche tracciate con la squadra a 60° e d’improvviso nel tuo pensare a niente ti senti in colpa e allora mentre scendi l’ennesimo sontuoso scalone di marmo bianco freddo scivolosissimo sollevandoti con l’indice e il pollice lo strascico in tulle blu notte la tua congenita political incorrectness ti fa pensare, sì, ma solamente all’umidità da residenza invernale altoatesina che aleggia furtiva nel salone e che farà dannatamente arricciare i morbidi peli dell’ermellino trapassato che ti porti al collo. Probabilmente aveva già famiglia prima di… Aaah che bellezza! Champagne?
L’aria, persino l’aria è frizzante come Champagne e con qualche goccia di Champagne dicono che passi tutto anche la monarchia, a volte.
Il penultino paio di calze di seta. Quella piccola smagliatura sotto il ginocchio non la vedrà nessuno. Nessuno? Chi lo sa. Non essere spudorata, Else.
Quando La Signorina Else fu pubblicato a Vienna nel 1924 l’Impero austro-ungarico era finito da cinque anni ma la frivolezza è un comodo passatempo che fatica ad andarsene. La società viennese si sforzava di allontanare a suon di valzer il confronto con la grigia realtà – l’essere precipitata in un solitario baratro infernale, semplicemente. La propria vanità nazionale, c’è da dirlo, stava però sfornando oltre ogni aspettativa un PIL artistico di tutto rispetto, basti menzionare Klimt, Musil, Schiele, Wittgenstein. Niente aguzza la mente più di un disastro condiviso, sempre importante ribadirlo.
Arthur Schnitzler è sei anni più giovane dell’amico Freud e con il loquace portatore sano di pipa più famoso d’occidente condivide la città d’origine, la famiglia ebraica, la passione per le maschere – quelle che gli esseri umani, tutti gli esseri umani, indossano per nascondersi e allo stesso tempo implorare di essere svelati.
Negli stessi anni, Schnitzler e Freud sono probabilmente i primi ad avventurarsi – in ambiti diversi – in quel vorticoso Triangolo delle Bermude che è il mondo psichico delle donne. Faticando a capirci qualcosa.
Il romanzo più famoso di Schnitzler è probabilmente il successivo Doppio Sogno reso celebre, una settantina d’anni dopo la sua prima pubblicazione, da quel c-a-p-o-l-a-v-o-r-o di Kubrick nel quale – tra le altre cose – durante un’iniziazione filomassonica un coro invisibile intona un canto bizantino in rumeno al contrario, Eyes Wide Shut.
La maschera è anche qui il leitmotiv perché i romanzi di Schnitzler sono pieni di maschere essendo Schnitzler il romanziere della decadenza europea che fatica a svelarsi. Si nasconde nella sua ingombranza imbarazzata.
Lo scatafascio dei merletti e dei fili di perle di fiume.
“Vuoi davvero smettere di giocare, Else?”
Ma Else, chi è Else?
Fräulein Else, diciannove anni, è una giovane viennese di buona famiglia borghese in vacanza nel Grand Hotel di San Martino di Castrozza, Trentino.
Else sa fare tante cose, certo, Else gioca a tennis Else suona il pianoforte Else ha frequentato diversi corsi di storia dell’arte Else conosce il francese l’inglese un po’ di italiano e insomma, sì, Else venendo al sodo utilitaristico non sa fare proprio niente. Altroché. Niente che la renda indipendente. Else è suo malgrado una pedina in cerca del miglior offerente.
Else non sa fare niente ma ha un’esagerata consapevolezza linguistica che utilizza come discutibile metro di giudizio per inquadrare il prossimo ma Else non è altezzosa. Else è altera.
Ma quante volte ho già fatto il giro dell’albergo?
Else passa le giornate in villeggiatura oziando contornata da questo clima di calma apparente prima della tempesta – e che tempesta, una tempesta mondiale – di Belle époque con i suoi grandi alberghi la sua rassicurante ritualità tennis-tramezzino al salmone-fuga di Beethoven, il suo clima pre-bellico ancora privo di confini.
Else ha un’immaginazione fervida, impazzita, come un’ape che svolazza alla continua ricerca del nettare più dolce ma non riesce mai a decidere su quale fiore fermarsi perché di fiori ce ne sono sempre troppi e sicuramente c’è qualcosa di meglio che rischia di lasciarsi sfuggire perché teme sarà usurpato presto da qualcun altro.
Il fumo della mia sigaretta gli si impiglia nei capelli ma in questo momento non so cosa farmene.
Ma la caduta è dietro l’angolo perché la caduta non è solo nazionale, la caduta è personale, soggettiva, tocca tutti facendoci oscillare e cadere come birilli e così, come due linee parallele, Vienna e Else sono destinate a cadere all’unisono. Lo sfacelo è un cerchio che si chiude e si apre di continuo e non c’è modo di evitare né l’una né l’altra cosa.
Else al rientro da una delle sue partite di tennis con l’amato cugino Paul, interrotte sul più bello, riceve un telegramma da parte di sua madre e già prima di aprirlo Else sa che non leggerà nulla di buono e per questo continua a rimandare il momento della verità che è sempre un momento del diavolo.
Non sono a Vienna, sono ancor a San Martino di Castrozza. Non è ancora successo niente. E allora come, come, che cosa? Ecco il telegramma. Che cosa faccio con questo telegramma?
Il telegramma, una volta aperto, svela l’imminente scandalo che coinvolgerà la loro famiglia a causa di illeciti finanziari del padre con il vizio del gioco: Else deve procurarsi subito il denaro per riparare al danno perché la circolarità della disgrazia riguarda anche l’istituzione familiare ovvero ai danni dei genitori pongono rimedio i figli, e viceversa. In che altro modo se ne esce, altrimenti?
Else si fa prestare da Schnitzler il suo background scientifico, da medico, per analizzare dettagliatamente la situazione e trovare una soluzione indolore. Si guarda nel grande specchio della sua camera d’albergo e capisce subito che l’unica soluzione è proprio lì a portata di mano perché la sola merce di scambio che Else possiede è Else stessa.
Il signor von Dorsday – che parla come un pessimo attore – entra subito in scena perché proprio non può farsi scappare l’occasione di dimostrarsi uno dei personaggi letterari più sgradevoli che vi capiterà di incontrare e il prezzo che Else pagherà per evitare una gogna mediatica ante litteram ai suoi familiari non è proprio quello che avete in mente voi. È peggio.
Else è in bilico nell’accettare la proposta indecente e quello che segue è un monologo interiore, un flusso di coscienza degno erede dei migliori romanzi epistolari femminili della tradizione. Noi siamo i voyeur di una crisi di nervi esemplare il che è sempre una situazione tanto comoda quanto imbarazzante, guardo non guardo, fino alle lacrime.
La montagna diventa il luogo ideale di collisione tra malattia (perlopiù mentale) ed erotismo.
No, signor Dorsday, la sua eleganza non mi convince, e nemmeno il suo titolo nobiliare.
Schnitzler svestendo Else smaschera la vacuità dei valori borghesi che illudono la protagonista di avere possibilità di scelta e di controllo della sua zampillante esistenza quando in realtà non può fare altro che lasciarsi strattonare dal burrascoso flusso degli eventi e arrivare al capolinea sarà doloroso e chi lo sa se davvero ne sarà valsa la pena. Chi lo sa, davvero.
Devo essere bella da vedere, così sola nella vastità del paesaggio.
Questo romanzo breve che si legge in una sola claustrofobica seduta vi costerà come un aperitivo che rischiereste di trascorrere con la persona sbagliata e anche se fosse quella giusta ricordate che i buffet sono pericolosamente antigenici non ho idea del perché nessuno faccia qualcosa per limitare il rischio di un’evidente epidemia globale imminente quindi voi fate la scelta giusta scegliete l’ipocondria viscerale scegliete la struggente descrizione dell’ascolto del Carnaval di Schumann prima del tracollo finale di una povera e nuda anima in pena disintegrata dalle infauste circostanze. Proprio come voi, che coincidenza.
Vorrei lanciare un saluto in cielo prima di tornare giù in mezzo alla marmaglia. Ma a chi dovrebbe andare il mio saluto? Ti saluto. Chi sei? Io ti saluto. Ma tu chi sei? Chi?… Nemmeno per sogno. Bene, lasciamo la finestra aperta. Se farà freddo, pazienza. Spegniamo la luce. Ecco.
Ora non c’è più niente da guardare.
Dove sono tutti?
*
Titolo: La Signorina Else
Autore: Arthur Schnitzler
Anno: 1988 (1924)
Editore: Adelphi
Pagine: 123