Untitled (Perfect Lovers) | Félix Gonzáles-Torres
TAR, cap. III - Sull’amore, il tempo e la rivoluzione
Titolo: Untitled (Perfect Lovers)
Artista: Félix Gonzáles-Torres
TAR: Installazione
Anno: 1991
Collezione: MoMA Museum of Modern Art, New York
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All’improvviso – che fretta c’era – è Primavera e davvero non si poteva parlar d’altro se non d’Amore e di rivoluzione (che poi, nell’arte, a farla breve, quasi sempre di questo si tratta).
In Untitled (Perfect Lovers) di Félix Gonzáles-Torres c’è il racconto di una storia d’amore, o meglio, di una e tutte le storie d’amore. L’artista di origine cubana raccoglie in un’immagine nitida, pura, la semplicità di qualcosa che a spiegarlo a parole non si riuscirebbe così bene. Ma sono solo due orologi, mi si dirà. Indubbiamente.
Due orologi da muro, uno accanto all’altro, che segnano la stessa ora.
Il tempo è eletto a misura, la coreografia, l’armonia, il ritmo diventano elemento fondante dell’amore tra due persone; come in una delle scene più belle del film The Lobster (2015) quando i due protagonisti devono coordinarsi per ballare su una musica che l’altro non può sentire. L’amore è una questione di sincronismo, di tempo, di quello che ci vuole per conoscersi, che ci si dedica l’un l’altro. Una coppia Senza Titolo di orologi sincronizzati diventa allora gli Amanti Perfetti. Il ticchettio delle lancette come battiti del cuore.
Ci sono davvero poche parole che si possono aggiungere davanti a opere così evidenti nella loro semplicità, opere che non espongono il proprio processo di costruzione, ma la forma della loro presenza e ci costringono a prendere atto della nostra. Dove quasi niente ci viene detto o mostrato, siamo liberi di immaginare o di portare il nostro vissuto. <<È una metafora. Non pretendo sia niente oltre che questo […] in questo modo il mio lavoro diventa parte dei corpi di tante altre persone>> dirà l’artista in più di una occasione. Di fronte a Untitled (Perfect Lovers) non è ai due orologi che guardiamo, ma a noi stessi, forse ci scorrono davanti i visi dei nostri amanti passati e presenti.
Che poi – anche per previsione dell’artista – quello che succede ai due orologi, che per quanto uguali non sono macchine infallibili (noi sì?), è che a lungo andare inizieranno ad accumulare uno scarto per cui per qualche frazione di secondo perderanno la loro coincidenza. Struggente, quel perdersi delle lancette e continuo inseguirsi. E forse ancora è lì, in quel frammento, quel momento sospeso tra un tic e un tac che rende l’attimo perfetto, questi amanti ancora più veri. È nell’errore che ci riconosciamo umani, quella zona di silenzio, in quel non-incontrarsi che il Calvino degli Amori difficili afferra come essenza del rapporto amoroso. L’erotismo della pausa, del respiro, del quasi toccarsi. C’è tutto questo, e di più, in quei due orologi.
E allora non ce ne importa più (non me ne vogliano gli accademici) della vita dell’autore, della sua morte prematura e tragica, della critica sociale e/o politica e di tutte quelle meta-letture e sovrastrutture che vanno poi a essere appioppate postume a un artista controverso. Chi conosce la biografia di Gonzáles-Torres va oltre l’opera, vede le sfumature politiche implicite nel suo lavoro, di denuncia nei confronti dei rapporti che la società ha con l’AIDS e l’omosessualità; il rifiuto di riprodurre mimeticamente il corpo nella sua opera è stato letto come un tentativo deliberato di de-fallizzare la percezione estetica, resistere al dominio della visione, alla pornografia della pubblicità, per così dire.
Tutte cose importati e interessantissime, per carità. Ma la forza, e la grazia e la poesia, di Félix Gonzáles-Torres sta nella sua abilità a strumentalizzare delle forme e nella sua capacità di sfuggire alle identificazioni comunitarie per raggiungere il cuore dell’esperienza umana, prendere degli oggetti quotidiani e nel modo più semplice possibile parlare in modo universale di cose difficili. Come l’Amore. O meglio, forse farci rendere conto di come le cose che pensiamo complicate non lo siano poi così tanto. Nei suoi lavori non è mai presente il minimo sovraccarico, la minima insistenza su un effetto. Tutto è implicito, fluido e discreto. In questa discrezione, sottigliezza d’immagini, troviamo noi stessi, insieme con l’assoluto.
Scrisse nel 1988 in una lettera privata (pubblicata eccezionalmente per la monografia curata da Julie Ault) che anticipa l’opera:
Trovare il tempo di amare è l’ultimo atto di resistenza e, anche se dura un attimo, tanto basta.
Giulia Meloni