Una biciclettata sull’oceano Atlantico
Della più grande delle isole Aran e di scogliere a picco sull'oceano
Quando si viaggia davvero, quando si viaggia con il cuore, la mente e il corpo, non si torna mai realmente, non si riesce proprio a riprendersi il pezzo di sé abbandonato in un determinato spazio di un determinato tempo. È una cosa che dico (e scrivo) innumerevoli volte eppure ancora oggi mi stupisco al pensiero di una piccola parte di me ancora dispersa su una delle tre isole che compongono le Isole Aran, la Inis Mór o più semplicemente Aran. A distanza di più di un anno sono ancora là, nella baia di Galway, un’ampia insenatura della costa irlandese occidentale, quella dove ogni giorno si infrangono le onde dell’oceano Atlantico. Ed è proprio l’oceano il protagonista di questa storia perché mai prima di quel momento lo vidi e lo toccai con mano, mai prima di quel momento capii cosa significasse affacciarsi su una distesa di mare immensa con il vento forte a scompigliare i capelli.
Dal centro di Galway (una cittadina meravigliosa dai colori sgargianti e la musica dal vivo sempre protagonista) presi un pullman che, sfrecciando lungo le coste irlandesi e deviando qua e là nell’aperta campagna, mi portò alla fermata del traghetto pronto a cavalcare le onde dell’Atlantico. Arrivare alle isole Aran, infatti, non è mica da tutti: i mezzi sembrano minuscoli se paragonati alle immense onde dell’oceano tanto che il viaggio diventa un continuo sobbalzare e sperare che le onde si plachino almeno per qualche minuto, giusto per riprendere fiato e mangiarsi quel piccolo dolcetto che si era messo nello zaino per poter fare uno spuntino veloce prima dell’arrivo.
Perché quando si arriva ad Aran, l’isola più grande e popolata delle tre, non è che ci sia molto tempo per il mangiare e il bivaccare: un caffè veloce al porto, giusto per scaldarsi l’animo e dire al proprio stomaco che le turbolenze sono finite, un poco di riscaldamento e poi via a scegliere la bicicletta più bella. Stupiti, eh? Pensavate davvero di sfruttare il pulmino turistico? E invece no! Per arrivare all’oceano e alla parte più occidentale dell’isola bisogna pedalare, affrontare i dolci e continui saliscendi che affiancano distese di pascoli e prati, è solo salutando le mucche e poi le foche che si arriva alla parte più stupefacente di Aran, quella che dall’alto osserva l’oceano come fosse un antico guardiano.
Si chiama Dún Aonghasa e descriverlo è praticamente impossibile. Sull’enciclopedia è un forte di pietra preistorico costruito sulla parte più alta e affascinante della scogliera a picco della costa sud-occidentale dell’isola Aran, composto da tre muri circolari e da grossi pilastri difensivi. Nella realtà, invece, è una salita su un sentiero acciottolato, è una scarpinata dopo una biciclettata su e giù per le alture dell’isola, che raggiungere la cima è veramente una faticaccia. Quando si arriva in alto, però, è una meraviglia: il vento è talmente forte che sembra quasi di spiccare il volo ma a far tremare le gambe è soprattutto l’oceano che a cento metri sotto i nostri piedi gioca a rimbalzare contro la scogliera che si affaccia direttamente sul mare. La vista è da mozzare il fiato, si è completamente circondati da vento e mare, ma il vero brivido lo si prova ad avvicinarsi al bordo della scogliera, a sdraiarsi e scivolare sempre più avanti fino a ritrovarsi a guardare il vuoto sotto di sé, scrutando la forza delle onde rimanendone esterrefatti. È un’emozione assurda, una di quelle che bisogna provare perché a spiegarle a parole non si riesce realmente a trasmettere il tremolio alle gambe, l’assurdità del vento che continua a giocare con i capelli e il rumore dell’oceano che continua a sussurrare sotto di voi.
Tornare al traghetto che vi riporterà sulla terraferma non sarà semplice: ci si continuerà a voltare, si vorrà vedere l’isola sparire all’orizzonte, non ci si vorrà rassegnare a vederla solo come un puntino lontano, vorrete continuare a spiarla e convincervi che è lì, ancora sotto i vostri occhi. Le isole Aran sono un posto speciale, immerso nella natura selvaggia e nelle tradizioni più semplici. Ancora oggi, a distanza di più di un anno, ancora mi volto per tentare di intravederla e la notte, quando ci penso, mi pare ancora di sentire le onde dell’oceano infrangersi sotto il Dún Aonghasa. Che magia.
[…] (Articolo per Salt Editions) […]