Ultima Neve di Arno Camenisch | Una storia silenziosa e malinconica come la neve che si scioglie
La storia del “ho trovato un libro per caso in libreria, mi sono lanciato, l’ho preso senza conoscerlo” è carina ma finisce quasi sempre male e -ammettiamolo- è anche un po’ passata di moda. Dai, sicuramente lo avrai visto da qualche parte sul profilo di qualche bookstagrammer. Ma devo fare ammenda: ho conosciuto così Ultima Neve, un libricino di un centinaio di pagine pubblicato in Italia dalla casa editrice Keller. L’autore è Arno Camenisch, originario del Cantone dei Grigioni, un romanziere e poeta profondamente legato al suo territorio che ha scritto gran parte delle sue opere in romancio, ma si è cimentato anche in pastiches mischiando la lingua della sua valle con l’italiano e il tedesco.
La storia del “mi sono lanciato anche se non lo conoscevo” questa volta è finita più che bene e ho scoperto un autore che avrei dovuto scoprire prima, oltre che un piccolo tesoro che merita di sicuro una sera di fine inverno in cui essere letto.
L’angolo di mondo in cui ci porta Camenisch è un vecchio skilift su un pendio dimenticato, in una valle svizzera non specificata verso il confine austriaco. A gestire l’impianto sono rimasti il Georg e il Paul, due amici di lunga data che passano le giornate a sistemare l’impianto sgangherato che dà sempre problemi, a chiacchierare del meteo che non è più quello di una volta, di persone del paese che se ne sono andate e che poi sono tornate cambiate, aspettando che qualcuno si faccia vivo per farsi una sciata su quella pista spelacchiata.
La prosa è asciutta, umile, verace come lo sono i due protagonisti: uomini che hanno sempre vissuto lì, sotto il loro skilift vicino al paesino, fermi mentre il mondo gira e la neve si scioglie. Ma gli strumenti immediati e semplici di un linguaggio così scabro ci avvicinano maggiormente all’atmosfera sospesa di quella baita di fianco all’impianto. Siamo lì con loro a osservare il mutare del meteo, a constatare la temperatura e il colore delle cime impassibili che fanno da sfondo alla non-vicenda. La montagna raccontata da Camenisch tramite gli occhi di Georg e Paul non è quella sublime degli sturmer né quella magica di Buzzati o quella bonaria e familiare di Cognetti; è invece una montagna tanto vicina e quotidiana quanto muta, inanimata. I due non hanno mai visto altro se non quei pendii, è la loro casa, non qualcosa da scalare o da ammirare: conta che nevichi e che poi faccia bello, conta che nessuno si perda su per i ghiacciai, conta che tutto vada come è sempre andato, conta che lo skilift continui a girare e che la gente venga su a sciare.
Camenisch ci accompagna con cautela e rispetto nell’Arcadia dello skilift: iniziamo a seguire questa versione invernale e moderna di Titiro e Melibeo in un momento come un altro della loro vita, assistiamo senza aspettative allo scorrere delle loro giornate, giornate in cui il tempo sembra ora fermarsi e ora andare troppo veloce. Giorni che si susseguono, sempre uguali, tra il conteggio degli skipass da vendere, la manutenzione dei motori dell’impianto, la cura della baita, mentre fuori tutto cambia e lì sull’alpe, nella calma, tutto invecchia. Di chiacchiera in chiacchiera, tra numerose e lunghe pause accompagnate dal cigolare della ruota dello skilift, scopriamo piccoli sprazzi della vita di Paul e Georg: un figlio, una moglie, qualche abitudine; vite semplici, ridotte al minimo indispensabile, come quella del Thoreau di Walden.
Paul e Georg, amici da chissà quanto, non sembrano essere interessati a parlare di loro stessi, non si raccontano troppo, non drammatizzano. È però fondamentale ricordare i tempi che furono, lasciarsi trasportare dal “com’era una volta”. Ne scaturisce una mitopoiesi della valle: le gare di sci di quando erano ragazzi, i turisti che venivano in massa, le vite assurde di alcuni compaesani, la neve che non mancava mai, gli inverni lunghi e freddi, il paese che fremeva di vita, in contrasto con quello tratteggiato nel presente, che pare vuoto, ingrigito come il cielo, obsoleto.
Ultima neve di Camenisch non può che ricordare Aspettando Godot e soprattutto Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati: anche qui due uomini passano la vita ad aspettare qualcuno o qualcosa, che sia il primo sciatore della giornata, l’ultima nevicata della stagione o semplicemente che lo skilift smetta di funzionare una volta per tutte, sancendo la fine di quella loro vita così monotona eppure estremamente preziosa.
Su questa vita però grava un fantasma a cui non viene dato un nome, ma che lascia indizi, che fa drizzare le orecchie anche a due anime semplici come Paul e Georg: una neve che non ne vuole sapere di arrivare, inverni sempre più caldi e corti, e la consapevolezza che ci sia qualcosa che non sta andando come deve andare. Il tema del surriscaldamento globale entra nella narrazione solo tramite lo sguardo ingenuo di due uomini che hanno passato la vita a osservare quella fetta di cielo. Sentono che il loro angolo di mondo è cambiato e non tornerà più come prima e si chiedono se, quando si sarà sciolta questa neve, ne scenderà ancora l’anno seguente.
Il lettore si sente impotente come Paul e Georg, lì di fianco a loro con le mani nella tuta da sci, a guardare le cose che vanno nella direzione sbagliata, mentre la felicità sembra tutta rimasta là giù indietro, nelle scatole impolverate della memoria; rimane però la bellezza della quiete, la possibilità di una vita semplice, un lathe biosas lontano dall’angoscia contemporanea e dalla crudeltà della storia, come nelle Bucoliche virgiliane, ma solo finché lo skilift continuerà a funzionare e la neve continuerà ad arrivare.
titolo | Ultima Neve
autore | Arno Camenisch
editore | Keller
anno | 2018