Triumphs and Laments – Roma svela il mito
Me ne sono accorto con la coda dell’occhio passando in bici qualche giorno fa sul Lungotevere. Un percorso che sa di immersione nella bellezza più profonda, quella della Capitale vista dal basso, che si lascia intravedere appena nei suoi punti più alti.
Un’imponente opera si staglia sui muraglioni che circondano e imprigionano il fiume. Più di 500 metri di un fregio che va da Ponte Sisto a Ponte Mazzini. Il racconto della storia di Roma, una storia grande nei temi e nell’opera stessa. Più di 80 figure alte una decina di metri ottenute attraverso la pulizia selettiva della patina che il tempo ha accumulato sul travertino delle mura.
È il TRIUMPHS AND LAMENTS di William Kentridge, il prodotto più ambizioso di sempre per l’artista sudafricano noto per i caratteri evocative delle sue opere. Autore di stampe, disegni e film di animazione. La celebrazione delle più grandi vittorie e sconfitte dal tempo del mito a oggi. Un corteo disegnato che accompagna lo sguardo e il passaggio. L’urlo di Remo ucciso per mano di Romolo. La forza di Ercole. La Dolce Vita di Mastroianni che bacia Anita Ekberg. Ombre impresse su muro. Non c’è colore, non c’è pittura. È solo tempo grattato via. Un’opera di svelamento.
Lo guardi nel silenzio del giorno, mentre la città rumoreggia una decina di metri più su, e ti immagini l’artista guardare il muro annerito dagli anni. Pensi al tempo dell’immaginazione, allo sguardo che ha intravisto la narrazione sotto la patina e non ha fatto altro che svelarla. Che ha liberato gli eroi buoni e quelli cattivi. Che in fondo sono sempre stati lì, ad accompagnare Roma nei suoi trionfi e nei suoi lamenti. Pensi che è bello vedere una città che restituisce un suo angolo ai suoi cittadini che ne avevano un bisogno estremo. Il bisogno di sentirsi parte di un progetto di bellezza. Il desiderio di un circolo virtuoso che riparte.
È stato inaugurato giovedì 21 aprile sulle note della kora africana e della zampogna, sui ritmi delle danze del sud e i canti di battaglia degli Zulu. È stato celebrato così il Natale di Roma, la festa legata alla fondazione della città che risalirebbe al 753 aC.
Un piccolo peccato per la gestione del punto di fruizione, però, non può essere taciuto. Sulla banchina opposta, punto di osservazione migliore, in alcuni punti piccole infiltrazioni d’acqua si mischiavano al mai ripulito terriccio sollevato dal fiume in piena l’inverno. Ma in fondo fa parte del luogo, del Tevere che si (ri)prende i suoi spazi nel suo essere così profondamente romano. Anche l’opera sarà destinata a essere inghiottita dai suoi vapori. Ci vorranno 3 – 4 anni, infatti, perché la patina di (più o meno) naturale sporcizia si riprenda le pareti di travertino nascondendo i contorni strappati al tempo da Kentridge.
Due processioni musicali per l’apertura ufficiale. Più di 100 musicisti e comparse. Giochi di ombre cinesi che accompagnano in processione i personaggi del racconto imprigionati nel muro. Sullo sfondo il profilo della cupola che, abbandonata dal tramonto, si illumina per la notte. C’è da ritornare quando la folla sarà scemata, per sentirsi sopraffatti dai giganti e rincorrerli passeggiando in quest’angolo restituito ai romani.
Per chi vuole approfondire, in questi giorni il Maxxi di Roma ospita il focus About William Kentridge e il Macro la mostra Triumphs and Laments: a project for Rome. Il progetto è promosso dall’associazione TEVERETERNO ONLUS. Gli eventi sono gratis e aperti al pubblico.
Tutte le informazioni sull’opera, sugli eventi correlati e sulle curiosità si trovano qui: www.triumphsandlaments.com