Negli sporchi sobborghi de L’Avana, con Pedro Juan Gutiérrez
Pianificate le ferie? Navigate distrattamente sul profilo Instagram dell’amico tornato dalle vacanze? Discutete di quel viaggio assolutamente da fare?
Se si, difficile che Cuba non sia stata citata; vuoi per il bisogna andare prima che la modernità cambi il volto dell’isola (dopo il concerto degli Stones siamo ufficialmente in ritardo); o per il è così affascinante vedere la realizzazione del regime comunista (argomento valido fino al Novembre 2016, Fidel R.I.P.), o per il più prosaico bellissime spiagge e resort 5 stelle molto cheap (o lettore, dimmi che non lo hai pensato!).
Battute a parte, non mancano di certo le buoni ragioni per partire, ma serve l’equipaggiamento giusto: immancabile la reflex; utile la crema solare; indispensabile una guida. Per l’esattezza, una guida non-turistica su una Cuba passata, i cui segni, però, sono ancora visibili oggi sugli edifici divorati dalla salsedine, negli sguardi maliziosi lungo il Malecón de L’Avana, o nei rituali di qualche Santera di periferia. No, non è edita Lonely Planet; stiamo parlando della “Trilogia sporca dell’Avana” di Pedro Juan Gutiérrez.
La Trilogia ci guida lontano da quel parco giochi a tema anni ’60 che è la Cuba turistica. Ci lasciamo alle spalle il gusto vintage delle Cadillac d’epoca e i colori pastello delle case coloniche, per addentrarci nelle vicende “sporche” di esseri umani ridotti ai minimi termini dalla crisi economica e sociale degli anni ‘90 (c.d. período especial). Scopriremo una realtà primitiva e brutalmente fisica, fatta di sesso, violenza, sporcizia, finanche di cannibalismo; realtà che prende corpo in un insieme di racconti su Cuba ed i suoi abitanti, con lo stesso Gutiérrez spesso protagonista. Egli, con il tagliente realismo del buon giornalista (uno dei tanti mestieri che svolse oltre al bracciante, al netturbino, allo strillone, ecc.), scrive di famiglie ammassate in case derelitte, che puzzano di sudore ed urina; di rum scadente o della promiscuità come antidoti alle giornate vuote ed identiche; degli assurdi espedienti per tirare a campare o della rassegnazione assoluta ad una condizione di miseria. Sentite qua:
“(…) dopo quattordici ore di pioggia e vento, la parete è crollata. La vecchia era terrorizzata. (…) Era sconcertante, perché accanto alla porta si apriva l’abisso e trenta metri sotto c’era la strada. (…) Poi mi sono dimenticato di lei. (…) Un mese dopo sono venuto a sapere che la vecchia era morta. (…) Dopo il crollo della parete ha smesso di mangiare e si è rintanata là dietro. Si è lasciata morire su quella seda (…).
La cosa non mi ha toccato più di tanto. Magari ci arrivassi io a ottantatré anni, con qualche speranza. Anche solo la stupida speranza di trovarmi una fidanzata e di sposarmi, convinto che l’amore esista e che la miseria e la fame stiano per finire.”
Insomma, più che ad un’isola rimasta felicemente indietro di qualche decennio, sembra di tornare allo stato di natura e all’assoluta prevalenza dell’istinto animale sulla ragione o sulle filosofie, al punto da perdere le tracce della retorica comunista o degli eroi rivoluzionari che il viaggiatore contemporaneo viene ad ammirare – a proposito, il viaggiatore smart e un po’ poser deve sapere che il Che è iconico, ma nel cuore del cubano DOC c’è in realtà Camilo Cienfuegos!
Portandoci “dietro le quinte”, la Trilogia ha lo straordinario merito di scuotere le certezze del nostro immaginario, spingendo così il turista a cercare qualcosa che vada oltre le raccomandazioni della Lonely o i top rated di TripAdvisor. La sua attenzione allora si sposterà dagli edifici restaurati ad hoc del centro ai segni del tempo sui palazzi un tempo maestosi. Potrebbe sopraggiungere la voglia di passeggiare nelle periferie (peraltro assolutamente sicure) e di sbirciare nelle case popolari per scoprirle tristemente spoglie, o anche di osservare i locali che tentano di vendere una manciata di frutta seduti per terra terra davanti alla porta di casa; in breve, di battere sentieri meno convenzionali. In questo senso, la Trilogia Sporca dell’Avana ci consegna chiavi di lettura atipiche dell’isola rivelandosi una guida in piena regola!
Il nostro Virgilio caraibico ci accompagna nella sua Cuba narrandola con disillusione e cinico distacco, con l’istinto da reporter che si mescola all’impotenza di fronte alla propria drammatica contemporaneità:
“Una volta anch’io classificavo tutto così. Certe cose erano importanti e altre no. Certe cose andavano bene e altre no. Ma non più. Ora mi era tutto indifferente”
Eppure, tra le macerie de L’Avana, resiste un’ironia spiazzante: che sia lo spirito latinoamericano, o l’uso dell’ironia stessa come massima forma di resistenza, Gutiérrez sorride bonariamente alla miseria che lo circonda e mette su carta una commedia umana caraibica, scandalosa, rude, ma di enorme fascino letterario. Una lettura consigliatissima quindi, oltre che un’ottima preparazione all’eventuale viaggio.
A questo punto il turista obietterà: “Ma il mare cristallino? E i ristorantini dove mangiare aragosta a pochi euro?” Questo è materiale da Lonely, un po’ come la pesca d’altura o il mojito (o meglio ancora il daiquirì) sono materiale da Hemingway, seppure restino aspetti non trascurabili. La Trilogia è semplicemente un’ulteriore faccia di Cuba, che si dischiude al turista stanco di guardare il paesaggio attraverso l’obiettivo della Nikon e l’irrealtà della vacanza per volgersi verso un’autenticità “scomoda” e spesso sfuggente.
Titolo: Trilogia Sporca de L’Avana
Autore: P. J. Gutiérrez
Editore: E/O
Anno: 2006
Pagine: 408