Trans Europa Express: la frontiera di Paolo Rumiz
6.000 km da Rovaniemi a Odessa, inseguendo una frontiera. Paolo Rumiz ci conduce in luoghi remoti, alla scoperta del senso profondo del viaggio.
Con agosto alle porte e le imminenti partenze vi parlo di un libro quanto mai tempestivo la cui lettura troppe volte – sbagliando – ho rimandato: Trans Europa Express, di Paolo Rumiz.
I miei lettori abituali – se ne stimano 6 – già sanno quanto io consideri la letteratura un essenziale strumento di indagine della realtà, in particolare la letteratura di viaggio, genere orizzontale nel suo spaziare geografico e verticale nel disvelare il mistero di un luogo. Genere importantissimo oggi che il viaggio è divenuto un dovere borghese prima ancora che esperienza conoscitiva.
Quando cominciarono a cadere le frontiere e la retorica dello spazio globale si mise a smantellare il senso dell’Altrove, lentamente, per spirito di contraddizione, mi era cresciuta senza che lo sapessi la nostalgia di un confine vero, di quelli di una volta, con reticolati, occhiate arcigne, bagagli passati al setaccio e un silenzio teso davanti all’uomo in divisa col tuo passaporto.
Questo il movente per farsi 6.000 km da Rovaniemi a Odessa: rincorrere una frontiera, concetto ormai sconosciuto alla generazione che scorrazza libera per Schengen o che tutt’al più se la cava con due scartoffie e un timbro sul passaporto da esibire compiaciuti.
Cosa significa dunque frontiera? Significa presenza militare, contrabbando, minoranze che una linea politica pone al di qua o al di là dell’effettiva cultura di appartenenza; frontiera può significare periferia, spopolamento, migrazioni; infine frontiera è la geografia di monti, foreste e specchi d’acqua, a ricordarci che la natura è direttrice e limite delle vicende umane, non viceversa.
Pregio di Rumiz è far emergere questi significati dalla vegetazione che cambia, da una musica suonata per strada, da pesce secco e pane nero, dalle cabine dei treni russi, ma soprattutto dai ritratti di chi questo limes lo abita e ne conserva la memoria: Vitaly, Alja “maga delle bline”, Viktor, Nikolaj, comparse tanto fugaci quanto difficili da dimenticare.
Trans Europa Express ci guida attraverso la Carelia, la Bucovina, la Polesia, regioni che sembrano appartenere ad un altro tempo, ma c’è anche un po’ di Estonia, Polonia o Lituania, apparentemente meno “esotiche” o inaspettate eppure mostrate per aspetti periferici e sfuggenti, a dimostrare che il viaggio non è solo una questione di “dove”, ma anche di “come” lo si affronta.
Incontrare gli abitanti, approfondire storia, cultura e – fattore da non trascurare – religione di un luogo: questo è il senso profondo di viaggiare ed il cuore della sua dimensione conoscitiva – vedi alla voce “viaggiare apre la mente”. Difficile poi dire se ci sia un modo più o meno “giusto” di farlo, ma è comunque buona prassi riflettere su come ci muoviamo in questo mondo, cosa ci sospinge a farlo, cosa ci resta una volta tornati. Trans Europa Express è un eccellente fonte di spunti in tal senso…
Mettiamo nero su bianco alcune equazioni-base del viaggio. Per esempio: meno peso = più incontri. Andatura = metrica = narrazione. E soprattutto: più difficoltà = più racconto. E chi se ne frega se ci troveremo appiedati in mezzo ai Carpazi. Avremo più cose da raccontare.
Ora, perdermi tra i Carpazi non è in cima alla mia to-do list, ma se penso che all’estremo opposto c’è chi scambia il viaggio per un “veni, vidi, fotografai” scandito da tappe serrate e dalla paura di perdersi qualcosa – come se una manciata di giorni bastassero per conoscere un luogo – allora la riflessione diventa impellente.
Personalmente ho capito che se mi nominate un fiume difficilmente saprò collocarlo su una mappa, e già questo mi allontana dalle civiltà che lungo quel fiume si sono sviluppate. Ho dovuto incontrare il Danubio per intuirlo e Trans Europa Express per averne conferma.
Poi il senso dell’attesa, treni che non passano, ritardi, controlli lenti: il me-turista impazzirebbe, mentre Rumiz ne mostra il valore segnaletico e politico.
Potrei anche parlare della preparazione “culturale” al viaggio, sempre inadeguata; o della questione itinerari, con quelli “classici” che, sì, mostrano i luoghi-simbolo ma troppo spesso si basano quanto su ciò che ci si aspetta da un territorio a discapito di ciò che esso è. Paradossalmente pretendiamo di inseguire la chimera dell’”autentico” senza mai lasciare il sentiero battuto.
C’è anche qualche difettuccio, come l’auto-compiacimento dell’autore di impersonare la figura romantica dell’avventuriero – in modo comunque più discreto rispetto ad un Terzani – o la troppo zuccherosa epica bucolico-contadina di cui spesso i ritratti agresti di Rumiz si tingono, ma è poca cosa rispetto allo spessore dell’opera.
Ho voluto parlare di Trans Europa Express perché è una letture che fa venire voglia di partire, non necessariamente per l’ex-URSS, pure per la strada dietro casa, facendolo però con sguardo diverso, più attento, intimamente curioso. Leggerlo per dialogare con luoghi lontani e con il senso stesso del viaggio; leggerlo per spingere il proprio immaginario verso l’Altrove.
Titolo | Trans Europa Express
Autore | Paolo Rumiz
Casa editrice | Feltrinelli
Anno | 2012