Tom Waits | Drunk on the Moon
“Una voce come se fosse stata immersa in un tino di whiskey, poi appesa in un affumicatoio per qualche mese e infine portata fuori e investita con una macchina”
Heart of Saturday Night (1974) è il secondo album di Tom Waits, la voce irriverente e sanguinante delle mille sfaccettature delle serate sole. E a me piace per questo, per il sax che accompagna la dolcezza dei fari di una notte affogata nella pigrizia della sbronza e nella nicotina di una sigaretta. Un piano e un contrabbasso a descrivere le ore calme di una tarda primavera, ammorbidite da qualche sostanza illecita, jazz e blues inclusi.
Ci sono tali fertilità e rotondità in un decennio di musica (il SuperSound anni ’70 di Tarantiniana memoria), che diventa difficile superarne i risultati di varietà tematica ed espressiva.
La luna, nelle ballate di Van Morrison e nella Bad Moon Rising dei Creedence Clearwater Revival è il fondale di sospiri e di un romanticismo avvinazzato o della furia e della polvere della strada. Gli artisti sono cantastorie nella migliore delle ipotesi, cani sciolti e rain dogs più verosimilmente. Sono animali a tutto tondo svezzati e feriti dalle esperienze.
Positivismo di Springsteen, ciao, Waits ha costruito su di sé l’immaginario di un antieroe, basandolo sui limiti dell’ottimismo fiducioso dell’ american way e in sintonico accordo con la beat generation (vedi, per dire, l’amicizia con Charles Bukowski e Jack & Neal -(Foreign Affairs 1977-), dedicato al duo Kerouac e Cassidy).
e la luna e le stelle e il mondo:
lunghe passeggiate
notturne –
ecco che cosa
rasserena
l’anima:
sbirciare nelle finestre
guardare stanche
donne di casa
che cercano
di tenere a bada
i mariti
imbestiati dalla birra.
– Charles Bukowski –
I primi album di Waits (Closing Time e Heart of Saturday Night) sono quelli in cui la voce catramosa non è ancora impostata e l’accompagnamento con un’istrionica orchestra jazz deve aspettare l’uscita di Nighthawks At The Diner (1975) per vedere la scena.
Album strettamente lirici che in un certo senso, mettono meno soggezione l’ascoltatore/spettatore e perdono in spettacolo quello che guadagnano in spontaneità.
La passeggiata al chiaro di luna, la bocca impastata dall’alcol e l’allegria chimica della sbronza cullano le dissertazioni di un uomo solo, il devils blues (citando Mingus), che inciampa nelle sue scarpe ma dipinge con puntuale esattezza e realismo le fantasie, gli incontri della notte.