La mia casa. Tre giorni sotto ai palchi del TOdays 2019

La mia casa. Tre giorni sotto ai palchi del TOdays 2019

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Dal TOdays Festival 2018, una fotografia di Luigi De Palma (https://rumoremag.com/author/de-palma/)

Me lo ricordo come fosse ieri, il TOdays Festival 2018. Per chi era con me (“io non ti cerco / io non ti aspetto / ma non ti dimentico”, direbbe qualcuno); per chi ho incontrato per le strade di Torino, di giorno e di notte; per il clima familiare ed elettrico insieme, così inusuale qui da noi. Soprattutto, per tutta la musica splendida che incendiava SPAZIO 211 e INCET.

Una gioiosa macchina da guerra, quella tre-giorni. C’erano i volumi assordanti ed estatici dei Mogwai accanto ai ritmi monocordi dell’Americana evoluta dei War On Drugs; c’erano il delirio kraut-psych dei geniali King Gizzard And The Lizard Wizard, l’eccitazione r’n’r dei Bud Spencer Blues Explosion, la grandeur da stadio non proprio delicata degli Editors; c’erano i salti three-feet-high-and-rising di Cosmo e i piccoli inni urban dei Coma Cose, i mille travestimenti di Colapesce (con l’adorata Adele Nigro alla chitarra e ai cori) e gli occhiali da sole perenni dei leggendari Echo & The Bunnymen. Così tanto da vedere che in certi momenti sarebbe stato necessario sdoppiarsi.

Insomma: visti i trascorsi, la lineup di quest’anno l’aspettavo con ansia, e già i primi nomi degli headliner mi avevano fatto sobbalzare; qualche minuto fa ne sono arrivati ancora quattro, e la gioia si è trasformata in pura e semplice esaltazione. Altri ne arriveranno, dicono: ma intanto già non riesco a immaginare un modo migliore di salutare l’arrivo della prossima estate.

I primi (grandi) nomi del TOdays 2019

E allora: cosa ci aspetta, a Torino, il 23, 24 e 25 agosto? Da dove partire per raccontarvi questo nuovo TOdays? Il cuore ci spinge dalle parti di Jason Pierce e dei suoi Spiritualized: un’ossessione lunga ormai trent’anni per melodie ampie e limpidissime, suonate come sospesi nello spazio profondo; e l’ultimo And Nothing Hurt è già un piccolo classico: nove, semplici canzoni che rivelano dettagli preziosi e preziose emozioni a ogni ascolto.

È sempre il cuore a portarci a Jarvis Cocker, che presenta il nuovo progetto Jarv is… e che seguiamo con fede cieca dai tempi dei Pulp e degli indimenticati His ‘N’ Hers, Different Class e This Is Hardcore fino all’esordio in proprio (ormai vecchio di 12 anni, accidenti). Date retta: ameremo fino alla morte le vignette ironiche e argute di Damon Albarn, ma è Jarvis – lo diceva Simon Reynolds, mica io – la voce che ha raccontato dal basso e senza altezzoso distacco gli scompensi sociali del sistema britannico dal thatcherismo in avanti, accompagnando una generazione lungo la strada impervia e imprevedibile che dal brit-pop è arrivata a Brexit.




Un ritorno in grande stile come quello della Cinematic Orchestra, che da qualche settimana è tornata sulle scene con un nuovo album, To Believe, a dodici anni di distanza (ancora!) dal precedente: ed è un disco notevolissimo, intriso di jazz e soul ed emozioni a bassa intensità, che avvolge più che travolgere anche grazie a interventi vocali di straordinario spessore emotivo (Moses Sumney, a stendervi proprio in apertura). La stessa attenzione alle tessiture e alle microvariazioni che ci aspettiamo di ascoltare anche dalle composizioni piano-meets-electronic di Nils Frahm, che l’anno scorso ci ha regalato il ricchissimo All Melody; e poi c’è Hozier con il suo Wasteland, Baby!, a cinque anni dal successo planetario – ma che dico, intergalattico! – del tormentone soul/gospel/pop Take Me To Church, uno di quei singoli inevitabili a meno di non vivere in un eremo (non che non ci abbia provato).

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Siete arrivati fin qui e avete già letto di singoli pop che hanno segnato questi anni e di capolavori che hanno ispirato almeno due generazioni di musicisti e ascoltatori. A noi – che, da buoni indie-kids, di solito detestiamo cordialmente gli headliner dei festival – già sarebbe bastato per immaginarci a premere contro le transenne dei palchi del TOdays. Ma oggi sono arrivati gli altri nomi e il cuore ha saltato più di un battito.

Foste passati dal mio monolocale bolognese, fino a un paio di settimane fa ci avreste trovato Set The Boy Free, l’autobiografia di Johnny Marr: quattrocento pagine di storie di un artista che ha fatto la storia del pop e che con Morrissey e gli altri Smiths si è inventato capolavori come Hatful Of Hollow, The Queen Is Dead, Strangeways Here We Come. Lo ritroviamo nel 2019 – dopo una parentesi nei Modest Mouse e alcuni lavori solisti – in forma come un ventenne, a portare in tour quello scintillante gioiellino di Call The Comet. E magari, perché no, a tirar fuori qualche vecchia pepita.

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Foste passati dalle pagine di SALT, invece, un paio di mesi fa vi sareste beccati una mia recensione di Why Hasn’t Everything Already Disappeared? dei Deerhunter di Bradford Cox. Tra suggestioni dream, pop, kraut, shoegaze, post e qualche altro prefisso che sicuramente adesso sto dimenticando, una band che è una stella polare per la mia generazione; una band che ancora usa le chitarre per raccontare il preciso senso di smarrimento che si prova mentre si guardano i propri simili correre a testa bassa verso il baratro. Una versione “facile” di quello che fanno i Low, che con l’acclamatissimo Double Negative – per qualcuno, uno dei dischi del decennio – hanno portato il proprio classico suono slow-core dalle parti della fine del mondo, sminuzzando le canzoni in effetti elettronici fino a farne polvere di stelle.

Per finire in bellezza ci sarebbe da dire anche di Beirut, tornato di recente con il bel Gallipoli, ma di fronte a tutto questo bendidìo abbiamo finito le parole. Vi gira un po’ la testa? Eh, pure a noi.

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BONUS

Dove: Torino, SPAZIO 211 e INCET
Quando: 23-24-25 agosto 2019
Biglietti e abbonamenti: http://tidd.ly/7c73e5ea

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