Thelma, quando Carrie va in vacanza (al nord)

Thelma, quando Carrie va in vacanza (al nord)

Fin dalle primissime immagini, si capisce che qualcosa non è come sembra, nel mondo di Thelma, nuovo film di Joachim Trier. Fin da subito, una sottile ma perenne inquietudine si insinua dentro di noi, spiazzandoci con la prima scena per poi condurci piano piano nella mente della giovane Thelma (una bravissima Eili Harboe). La regia inizia dall’esterno, da lontano, con immagini corali e campi lunghi per poi stringere sulla protagonista e sulle persone accanto a lei. La minuscola figura spersa nell’enorme piazza davanti all’università, vista dall’alto, da lontanissimo, lascia preso spazio a inquadrature ristrette, primi piani e dettagli sempre più ravvicinati.

Il regista gioca coi generi e con l’inquietudine, creando un validissimo gotico al femminile moderno, che sfiora l’horror ed il thriller, il racconto di formazione e di emancipazione, e la storia d’amore. Tutto declinato secondo la modernità, con un ben riuscito miscuglio di elementi gotici classici e moderni (il cellulare, onnipresente eppure così distante). È difficile, alla fine, inquadrare Thelma, sia come film che come personaggio. Da un lato abbiamo l’impressione di trovarci di fronte ad una novella Carrie, ma raccontata con lo sguardo del profondo nord: come se Carrie fosse stata scritta da Bergman. Questo parallelismo viene accompagnato da una sensazione di stranezza, perché siamo poco abituati ad un “horror” così pacato e rarefatto, quasi freddo a tratti. La stessa sensazione che si prova guardando Lasciami entrare di Tomas Alfredson ed equiparandolo alle produzioni americane sui vampiri. Questa sensazione è ulteriormente rafforzata dall’inquietudine crescente: da un momento all’altro i poteri di Thelma potrebbero esplodere, creando immani danni; da un momento all’altro la sua mente potrebbe cedere, così come il suo fisico; tutto il film è raccontato sul bordo del precipizio. E quando qualcosa succede (ma succede per davvero?), si insinua il dubbio che nulla sia reale, se non nella testa della protagonista. Anche nei momenti in cui i poteri psichici di Thelma si esprimono, infatti, le immagini sono filtrate da una luce nordica, che rende tutto estremamente astratto e poco concreto.

L’eterno dubbio fra il bruciare tutti e farsi una scopata
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Dall’altro lato, abbiamo una storia d’amore che è prima di tutto una storia di emancipazione e di formazione, di affrancamento dai valori ipercattolici della famiglia e di crescita personale. È questo secondo aspetto a rivelare la parte “calda” della protagonista e del film stesso, usando immagini e metafore già sperimentate, ma sicuramente efficaci, soprattutto se controbilanciate dalla visione nordica e fredda che prevale nel racconto. In questa seconda faccia, il film ricorda, soprattutto per il rapporto fra le due protagoniste, Il Cigno Nero di Aronofsky, dove di nuovo si avevano contrapposti nettamente due aspetti (freddo/caldo), esplicitati tramite i colori dei che le protagoniste interpretavano. È nella storia d’amore che ritroviamo l’empatia nei confronti della protagonista che manca spesso nel film. Si è, a tratti, portati addirittura a pensare che Thelma possa essere in fondo cattiva. Eppure non ci sono le passioni dirompenti ed adolescenziali di Carrie, ed anche queste sono rarefatte, sia per Thelma che per noi spettatori.

Ciò che più colpisce rimane l’atmosfera molto ben caratterizzata, che prende il meglio delle due componenti per fonderle insieme. Pur usando linguaggi già visti e immagini note, il risultato è tutt’altro che scontato e influenzato da una visione globale estremante particolare ed autorale. Ricorda in questo il recente Lady Machbeth, sia per la femminilità repressa ma esplosiva (almeno potenzialmente), sia per il rapporto fra la protagonista e l’atmosfera con cui la sua storia viene narrata. Non siamo, però, di fronte ad una emancipazione al femminile, che scardini e sovverta la morale della società e della famiglia, ma più semplicemente ad una affermazione della propria personalità e della propria autonomia. È proprio il finale “freudiano” (anche troppo, ma qui si entra nella deformazione professionale… NdS) che il racconto trova la sua dimensione di autoaffermazione e di passaggio all’età adulta. Poco importa se i poteri di Thelma siano reali o solo metaforici.

 

Voto: 7.5

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