The Zen Circus | Ilenia

The Zen Circus | Ilenia

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Ilenia Zen Circus

Ci sono momenti in cui improvvisamente ti trovi davanti a quello che volevi, e per una frazione di secondo non sei pronto. Inaspettatamente spaesato perché preso in contropiede dal profilo imprevedibile della terra promessa e dalla redistribuzione dei fluidi ematici nei più disparati distretti corporei: è arrivato Godot.

Se ancora non te la senti di darti la sospirata pacca sulla spalla e dirti quel “grande” che decenni di drastica e feroce autocritica hanno reso così faticoso, puoi sempre guardarti indietro e fissare la strada battuta, rognosa, lontana (la carestia, il deserto) e sussurrarti un meritato “sticazzi, è finita”.

Ilenia degli Zen Circus mi fa questo proprio effetto, perché rivivo una certa disordinata adolescenza di avventure e squallori in piazzetta e una certa voglia di andare via (vedi Vent’anni, Postumia, Andate tutti a fanculo) che tutto sommato era più che pacatamente affrontabile con un po’ di sangue freddo e pazienza.

Ma vabbè, la versione futura è sempre più savia e coscienziosa di quella presente.

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Zen Circus

Gli Zen Circus riprovano e riescono a dar voce agli impulsi ignoranti e semplici delle chitarre estreme (Canzoni Contro La Natura sono canzoni per guidare in autostrada) e alle tenerezze ruvide degli entusiasmi poco trattenuti. Vecchia scuola di birra e sudore, e se Sestri Levante rimane tra le mie preferite (di cammini, di spritz Campari e di ritrovi) c’è in Ilenia la descrizione familiare di sentimenti che non provo, ma che conosco e ho superato.

Come sempre, per gli Zen, la musica è una forma di comunicazione immediata, in cui tutto è evidente e poco ricercato, dall’accordo semplice al tema comune. La spina dorsale e il pretesto è la carica stessa della ribellione genitoriale: una certa maleducata, scoglionata irriverenza, eredità di Gennaio dei Diaframma e del punk italiano con un occhiolino ai primi Negrita.




Scrivere mi riesce meglioMa non voglio farmi leggereNon riesco nemmeno io a leggermiAspetto la rivoluzioneMa aspettare è non agireScegliere di non scegliereUna scelta obbligataMa i problemi degli altri mi hanno sempre affascinatoO forse distrattaOdio il giorno del mio compleannoIo volevo andare viaCamminare sui vetri con le scarpeMentre sono ancora quaA compiacere tutti quantiCompiacere qualcuno che dice di amarmiIl mondo non ha unicorniNon ha foglie a sette punteHa voci ma non visiSempre le stesse vociDi una donna in silenzio e di uomini confusiE i padron ‘ntoni della nostra epoca non possono capireLa mia adolescenza è stata la prima a fuggireIleniaLa piazza è vuotaIleniaLa piazza è mutaSe mi tocchi l’ombelico c’è un filo che mi arriva in golaHo una madre che vorrebbe fossi un’altra personaIo non so parlare il mio viso narra per meSono un po’ bestia un po’ dannoE vorrei vivere nudaSento il mondo con il nasoOdio avercelo tappatoMi affeziono facilmenteMa non ho voglia di spiegareChe poi in realtà so anche parlareMa non si capisce beneE quindi un po’ mi dispiaceAnzi non mi dispiaceDi averti conosciuto in un brutto periodoPerché sei stato più belloHai brillato di piùUna scopata un pesoNon so cosa è stato per teMa ma non voglio saperlo il perchéMi piace fantasticare e mettere alla fine delle frasi il perchéIlenia qui le piazze sono affollateMa innocueOrmai le piazze fanno rivoluzioni solo quando sono vuoteIleniaLa piazza è vuotaIleniaLa piazza è mutaIleniaLa piazza è vuotaIleniaLa piazza è mutaQui le bare sono stretteMa le vogliono abitareLe chitarre senza cordeL’avere senza il dareQui confondono il dolore con le lacrime di gioiaPochi brividi o sussultiMolta prosa troppa noiaQui non puoi fuggire perché tu sei il carceriereQui tutto è razionaleSolo obbligo e dovereQui dove vivi adessoIn un anelito del cuoreIn attesa di un qualcosaDi un qualcunoDi un errore

Il testo di Ilenia, semplice, immediato, comunica del precario equilibrio (una fase?) in cui sbarellano le ragazze che si percepiscono come un po’ danno e che tutto sommato non vogliono nemmeno saperne il perché. Il troppo che ha fatto da sfondo alla loro crescita è diventato un rumore di fondo a cui non hanno voglia di dare una risposta (troppo sensibili? troppo distratte? troppo emotive? troppo intelligenti? troppo impegnative?) rendendole ipercineticamente arrabbiate contro un nemico che è invisibile quanto la loro stessa solitudine.

Un nemico che prende forma ciclicamente di una piazza troppo stretta, un fertility day a caso, di un ragazzo che non chiama, un posto che non cambia.

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