The Warriors (ovvero come spiegare la Crisi col cinema francese)
Oramai da qualche anno il cinema francese sta mostrato un fermento ed una voglia di rinnovamento molto interessanti, sia nelle commedie commerciali ma non stupide, che nei film dal tono più impegnato. Ciò che forse più colpisce, è la volontà di parlare di temi seri ammantandoli con toni miti e apparentemente disimpegnati, facendo cioè passare il messaggio con leggerezza e senza alcuna pedanteria. Les Combattants, dell’esordiente Thomas Cailley, non fa differenza e ci racconta la crisi attraverso il rapporto irto di ostacoli di due ragazzi sulla soglia dell’età adulta.
Arnaud e Madeleine sono due ventenni, molto diversi fra di loro. Una adolescenza lunga, malattia e forse salvezza della nostra epoca, li avvolge, determinando una completa insicurezza sull’avvenire nel ragazzo ed una tenacia quasi fanciullesca nella ragazza. Arnaud non ha idee sul futuro, si lascia vivere ed aiuta il fratello nell’impresa di famiglia; Madeleine si sta addestrando per l’apocalisse nella piscina di casa, temprando il proprio corpo alla sopravvivenza più estrema. Insieme, si incontrano per caso, si scontrano prima per caso e poi per desiderio e si iscrivono ad un corso estivo dell’esercito. Per poi disertarlo e provare a sopravvivere nei boschi da soli, fino alle estreme conseguenze.
Sotto le mentite spoglie di una commedia sentimentale giovanile (in cui sono cascati a pieno gli americani, che lo hanno titolato con un straordinariamente orrendo e trash Love at first fight – per una volta non siamo noi i peggiori titolisti! -), si nasconde una riflessione importante sulla crisi che colpisce l’occidente e sulle sue cause o forse conseguenze. I due protagonisti sono i prototipi di una società appiattita. Arnaud, interpretato con giusta indolenza da Kévin Azaïs, non sa cosa fare della sua vita, ma non se ne preoccupa neppure. Aiuta il fratello nella ditta di famiglia per abitudine ed inerzia, senza provarne alcun piacere né alcun fastidio. È la rappresentazione di un’apatia comune, che nasconde una insoddisfazione difficilmente quantificabile contro qualcosa che forse neppure esiste. Madeleine, col broncio di una strepitosa Adele Haenel, è la figlia arrabbiata di una ricca famiglia borghese, solitaria ed introversa. Pensa che la fine del monda si stia appressando e si sottopone a prove ed allenamenti per prepararsi ad affrontarla. Da sola. Maschera una difficoltà relazionale ed una fragilità emotiva con la forza quasi mascolina e la faccia sempre contratta da una smorfia oppositiva. Il regista li fa muovere con partecipe ironia, alzando ad ogni scena la tensione fra i due opposti e la reciproca attrattiva.
Alle spalle di entrambi le famiglie, o le loro assenze, ed il lavoro. Il film si apre con Arnaud e suo fratello alle prese con la scelta di una bara per il padre appena deceduto. Arnaud non ha opinioni, mentre per il fratello è tutta una questione di prezzi e di buon legname (con cui loro stessi lavorano). Finiranno per costruire loro stessi la cassa per il defunto, come fosse un omaggio al padre che col legno ha sempre lavorato, quasi a ricordare Mentre Morivo di Faulkner. L’ironia del regista Cailley si estrinseca con il ritorno in scena della bara nel garage di casa, a metà film: alla fine non hanno potuto usarla perché non omologata e hanno dovuto ripiegare sui modelli in legno scadente offerti dalle pompe funebri. La famiglia di Arnaud è la tipica famiglia lavoratrice. Non c’è spazio per fantasticherie né per grossolane debolezze, il primo pensiero è il prezzo del legname. Il cruccio maggiore della madre è l’indecisione del figlio. Madeleine, al contrario, vive in una famiglia borghese rarefatta, perennemente invisibile, che non si cruccia delle stranezze di una figlia cresciuta sola. Il lavoro non esiste, tutto è già a disposizione, il futuro non preoccupa. Per questo Madeleine è costretta a riempirlo di catastrofi ed apocalissi.
I protagonisti sono il prodotto della crisi e forse ne sono anche una delle cause. Perdita di interesse, apatia, ma anche fanatismo ideologico, surreale e a tratti quasi buffo, sono gli ingrediente per una nuova generazione critica. Il periodo di prova nell’esercito è una sorta di periodo di prova nella vita reale. Madeleine si iscrive per imparare nuove tecniche di sopravvivenza, Arnaud per noia e per seguire la ragazza (nell’esercito, come sempre, si arruolano solo due categorie di persone: gli esaltati ed i disperati, entrambi pericolosi). Madeleine scoprirà fin da subito che la vita nell’esercito non era quella da lei attesa: prima della forza e dell’addestramento, viene una cosa che lei non ha mai contemplato, la collaborazione e l’aiuto reciproco. I due ragazzi decidono di “disertare” per proseguire il loro addestramento quando la tensione fra i due è al limite, tanto da far convergere in qualche maniera le loro traiettorie e punti di vista.
Cailley ci parla prima di tutto di due corpi e della tensione elettrica che creano. La conoscenza fra Arnaud e Madeleine avviene col contatto fisico di una lotta. Prosegue con la spiegazione su come colpire l’avversario e con la delicata stesura del trucco mimetico, in una delle scene dove più il rapporto fra i due viene scolpito: lo svelamento tramite l’apposizione di una maschera per nascondersi, da parte di chi aveva sempre vissuto nascosto. Termina con un bacio violento, che rompe la tensione accumulata. Il processo conoscitivo che il regista fa intraprendere ai protagonisti è contrario ai soliti percorsi amorosi e prosegue per sottrazione sia di contatto fisico che di ambiente. In un mondo percepito per differenti ragioni come ostile, è difficile trovare lo spazio per se stessi. Ancora più difficile trovarlo per due persone, scomode dentro un unico sacco a pelo.
Il regista è bravo a costruire l’eccitazione sugli attriti, tra inavvertenza ed urgenza. Ogni dialogo, complice la sceneggiatura asciutta, butta nuova benzina sul fuoco, crea tensione emotiva ed erotica, in un climax. Giunto al culmine, inizia la discesa dove lo scontro fa spazio all’incontro. Arnaud impara da Madeleine la necessità della risoluzione; Madeleine capisce con Arnaud che da soli non si sopravvive. Il broncio di Adele Haenel si scioglie piano piano in un sorriso, che mostra finalmente gli occhi chiari. Il corpo della giovane attrice sembra sciogliersi contestualmente, perdendo quelle pose forzose che si era imposta nel suo addestramento (emotivo) antiapocalisse.
Pur con l’idea di rinnovamento in testa, il cinema francese rimane un cinema di finali mancati e di attese, dove lo spazio aperto oltre la pellicola è vasto e sconosciuto. Nel dialogo finale, per la prima volta dall’inizio del film, la giovane protagonista usa il pronome plurale “noi”. Convinta che forse non è il peggiore dei mondi possibili (c’è sempre quello in cui il film si chiama Love at first fight… NdR), ha lasciato entrare Arnaud nella sua vita. Ed insieme si preparano ad affrontare l’apocalisse del mondo reale, dell’età adulta, in questo tempo così critico ed ostile. Vogliamo vederci una metafora anche della politica dei nostri giorni, della Grecia? Certo è che da soli non si sopravvive; insieme, forse, una speranza c’è.
Titolo: The Fighters – addestramento di vita (Les Combattants)
Regia: Thomas Cailley
Interpreti: Kévin Azaïs, Adele Haenel
Durata: 98 minuti
Anno: 2014