The Favourite, sesso e potere alla corte di Yorgos Lanthimos
Non capita di frequente, specialmente agli amanti del cinema incostanti e spesso capricciosi come me, capaci di lasciare un film dopo i primi dieci minuti, di trovarsi di fronte ad un film così perfetto ed intrigante fin dalla prima inquadratura come The Favourite, l’ultima brillante fatica del regista greco Yorgos Lanthimos.
Con una trama semplicissima, sviluppata attorno ad un tema caro ai film in costume, The Favourite riesce in poco meno di due ore a risucchiarci nel suo mondo, a giocare abilmente con noi, e stupisce, incanta, sconvolge, e fa pensare.
Mentre il suo paese è impegnato in un lungo sforzo bellico contro la Francia (la guerra è quella di successione spagnola), la regina Anna d’Inghilterra (Olivia Colman) non pensa tanto alla politica, e cerca piuttosto di dimenticare il costante deteriorarsi della propria salute con insulsi passatempi, circondandosi di coniglietti bianchi e neri che rappresentano per lei ogni figlio perso ed ingozzandosi di dolciumi che non dovrebbe mangiare; infantile ed insicura, Anna è vulnerabile e sofferente, preda ideale per gli affamati di potere, dai quali Sarah (Rachel Weisz) si prende strenuamente cura di difenderla. Dama di compagnia e consigliere della regina, Sarah è bella, forte e volitiva, compagna ideale di una donna così perseguitata e rovinata dalla sorte. Le due sono inseparabili, tanto che la regina è completamente persa senza Sarah – al punto da indurci a dubitare fin da subito del disinteressamento della dama, peraltro moglie del primo ministro Tory, fautore della guerra contro la Francia: l’opposizione non ha vero potere in questa situazione che sembra inamovibile. Ma tale equilibrio è naturalmente destinato a breve vita, possiamo immaginare, in quanto una guerra può scatenare eventi imprevedibili in un paese, e scompigliarne la vita politica in un istante. Invece la causa scatenante della rottura della quiete a corte, è la venuta della cugina di Sarah, Abigail (Emma Stone), ex nobile caduta in disgrazia, giunta a palazzo per chiedere lavoro. L’aria dolce e umile della giovane donna, messa inizialmente a lavorare in cucina e crudelmente maltrattata dalle altre governanti, maschera alla perfezione la sua cheta ma indomabile volontà di risorgere dalle proprie ceneri.
Senza spoilerare troppo dell’incredibile sviluppo psicologico dei personaggi di queste tre donne, si potrebbe cercare di riassumere The Favourite come una storia di giochi di potere ed intrighi di corte. Eppure la discreta ma innegabile tensione erotica che fa da cornice al film dalle prime scene, darà vita sullo schermo ad un’eccezionale narrazione psicologica, sentimentale e sessuale, ed esistenziale, che mette quasi del tutto in ombra la (seppur molto interessante in teoria) componente politica del racconto. Quello che la stupenda scenografia di Deborah Davis e Tony McNamara vuole davvero raccontarci (e se ci riesce a tal punto è solo grazie alla magistrale, a tratti disturbante regia di Lathimos) è una storia dal respiro universale, di esseri umani comuni seppur agghindati in modo spesso ridicolo, di anime semplici, perdute, sole e disperate. Una storia d’amore in tutti i sensi possibili.
Le tre protagoniste, la cui bravura e complicità è disarmante, danno vita ad un triangolo che domina lo schermo in ogni istante, completato dalle bizzarre, riuscitissime scelte artistiche del regista, e dall’ammaliante fotografia*, che fa passare il film da thriller a commedia grottesca a documentario a dramma storico senza nessuno sforzo apparente – scene dinamiche catturate con il fish eye (che aumenta il senso straniente del grottesco quotidiano) seguono lunghe sequenze statiche dominate da primi piani drammatici; inquadrature calme e quasi idilliche sono seguite da momenti in cui la macchina da presa si muove in maniera così vorticosa da dare il capogiro. Per non parlare dei dialoghi! L’accento britannico dell’americana Emma Stone è adorabile, e calza a pennello al suo ruolo; le battute scarne, fredde, orgogliose di una Rachel Weisz padrona assoluta del ruolo più bello e “suo” in cui la abbia mai vista, incorniciano impeccabilmente il suo personaggio; e la regina in tutto e per tutto Olivia Colman, che ci dona una performance di rara complessità, innalza l’uso della voce al livello di co-protagonista.
Doversi mordere la lingua per non dire troppo è più difficile del solito, scrivendo di questo capolavoro; ci sarebbe così tanto da discutere, commentare, tentare di interpretare. Mi ha catturato, ipnotizzato, e commosso profondamente, ma anche fatto ridere di un risolino cinico, a tratti, e ha giocato con i miei sentimenti come neanche la più calcolatrice delle arrampicatrici sociali di tutti i tempi avrebbe potuto fare. Non ho molto da dire, se non chapeau.
*non ne sono sicura, non trovo conferma da nessuna parte, ma credo (o voglio credere) che pochissima se non nessuna luce artificiale sia stata usata – in pieno stile Barry Lindon.
Va bene, dopo questa recensione so cosa fare sabato pomeriggio. Fermo restando che non potrò vederlo in inglese, stanti i limiti della programmazione cittadina. Quel dommage! Vabbè, sopporterò. Grazie, Vassilissa