The End of the Tour
Se pensate di andare a vedere The End of the Tour per conoscere David Foster Wallace senza fare la fatica di leggere i suoi libri, sono spiacente di deludervi, ma ne uscirete più confusi di prima.
Il film infatti non è un biopic. È tratto dal libro “Come diventare se stessi”, scritto da David Lipsky, che all’epoca dei fatti narrati era un giovane scrittore e reporter di Rolling Stone, incaricato di intervistare Wallace.
Diretto da James Ponsoldt e sceneggiato dal premio Pulitzer Donald Margulies, il film lascia sì ampio spazio alla figura di Wallace, ma si concentra maggiormente sul rapporto tra i due protagonisti: da un lato lo scrittore geniale, inarrivabile, che ha però un rapporto conflittuale con il successo (“più la gente ti ritiene grande, più aumenta la paura di essere una frode”), dall’altra Lipsky, un giovane scrittore ambizioso ma meno dotato, combattuto tra l’ammirazione e l’invidia.
Ponsoldt sceglie una struttura narrativa fluida: la storia sembra crearsi da sé, mentre lo spettatore assiste all’incontro / scontro tra i due David. Wallace e Lipsky sono due uomini colti, intelligenti, con interessi comuni, ma la loro conoscenza non sfocia in un’amicizia sincera. Sono troppo frenati dalle loro paure, troppo poco spontanei: è il tema dell’incomunicabilità e della solitudine, presente anche nelle opere di Wallace. Entrambi gli attori protagonisti riescono a calarsi nel proprio ruolo, dando una buona interpretazione: Jesse Eisenberg è perfettamente a suo agio nel personaggio del giovane Lipsky, mentre stupisce di più l’interpretazione di Jason Segel, generalmente associato a ruoli comici, che qui riesce a restituire la fragilità e la complessità di David Foster Wallace con grande sensibilità. Bellissima in questo senso la scena finale (non uscite appena partono i titoli di colda!)
The End of the Tour è un film fatto prevalentemente di parole: le immagini sono subordinate ai dialoghi, la parola diventa lo strumento principale per conoscere e indagare, ma anche la barriera dietro cui i personaggi si nascondono. Paure, ambizioni, segreti e speranze vengono detti e non-detti, creando un gioco di specchi dove alle immagini si sostituiscono le parole.
Forse questo è il modo migliore per realizzare un film su Wallace, tanto ossessionato dalla dipendenza che le immagini possono creare e dal tema dell’autenticità, ma indubbiamente richiede un elevato grado di attenzione da parte dello spettatore e una capacità di cogliere le riflessioni e le tematiche che sono alla base della sua opera, ma che in un film non possono essere sviluppate come in letteratura.
Voto: 7
Controindicazioni: il film potrebbe farvi venire voglia di leggere Infinite Jest. E allora dimenticate quello che sapete su come si leggono i libri, armatevi di due segnalibri e di uno zaino se avete l’abitudine di leggere sui mezzi pubblici. Perché sono più di 1200 pagine, un chilo e mezzo di carta. Io sono arrivata a pagina 300 (e non senza fatica, lo ammetto), ma una volta capito come funziona, la strada è in discesa. Insomma, prevedo di finirlo entro Natale.