The Dissident | Un film, perché Jamal Khashoggi non c’è più
“Mohammed Bin Salman ha approvato l’operazione a Istanbul per catturare o uccidere il giornalista saudita Jamal Khashoggi”
Intelligence USA – Rapporto sull’uccisione di Jamal Khashoggi desecretato dall’amministrazione Biden a Febbraio 2021.
Stacco. Riavvolgiamo il nastro degli eventi e delle nostre (in)coscienze.
Ottobre 2018. Deve essere una di quelle mattine in cui una brezza dal mare tenta di mitigare l’aria afosa dell’interno della Turchia, sotto un cielo pallido che annuncia l’autunno. Quel flusso di vento che di notte cambia verso e, dal cuore caldo dell’entroterra, cerca respiro in mare.
Jamal Khashoggi e Hatice Cenzig parcheggiano la macchina vicino al consolato saudita a Istanbul.
Hatice aspetterà Jamal in auto mentre lui ritira i documenti necessari al loro matrimonio. Un orpello burocratico per dimostrare il proprio status di uomo celibe. Un lasciapassare che viene dal Paese che ha lasciato. Momentaneamente, si era detto. Un esilio che è ergastolo inconsapevole, in realtà.
All’ingresso viene accolto dal guardiano. Entra. Non uscirà mai più.
All’ingresso, Jamal varca la soglia dell’Arabia Saudita.
Il predatore inghiotte la preda che gli era sfuggita e che, con pazienza, ha atteso guardingo.
Il suo corpo è stato probabilmente smembrato con una sega. Nessuno l’ha ancora ritrovato.
Un’operazione chirurgica. All’apparenza perfetta. Nella realtà fallata.
Il consolato saudita a Istanbul è tappezzato di cimici piazzate dalla Turchia per controllare i movimenti della monarchia del petrolio.
Nei nastri è inciso il grido soffocato del martirio.
“The Dissident” è un film documentario. È un’inchiesta ulteriore che racconta questa fine. È il film in cui parla la procura turca, in un evidente gioco di collaborazione nello svelamento delle prove. È il film in cui parla l’ONU, nel volto e nella voce di Agnes Callamard, relatrice speciale per le esecuzioni extragiudiziali sommarie o arbitrarie. È lei a leggere le intercettazioni che raccontano l’assalto al corpo di Khashoggi. Lo smembramento violento. Il giallo della sparizione.
“The Dissident” racconta, come un’inchiesta potente, i meccanismi del potere dell’Arabia Saudita e denuncia le falsità che abbiamo dovuto berci fino a qualche settimana fa. Fino a quando – e qui torniamo all’inizio – l’amministrazione Biden ha mantenuto una delle promesse elettorali: svelare il rapporto dell’intelligence USA sull’assassinio del giornalista.
Colpisce l’umanità di Hatice Cenzig, fidanzata e infine mai moglie di Jamal. È anche la sua di voce che accompagna lungo alcuni passaggi della storia. È lei la donna che è prorotta in un pianto che è sfogo e accettazione del dolore, durante una telefonata in diretta con Christiane Amanpour su CNN:
“I’m [more] devastated than ever before,” Jamal Khashoggi’s fiancée Hatice Cengiz tells me in an emotional phone call, after the release of a US intelligence report into Khashoggi's murder. “Now I believe he will never come back.” @mercan_resifi pic.twitter.com/PqgVusMgzt
— Christiane Amanpour (@amanpour) February 26, 2021
È lei che oggi, a maggior ragione chiede che “il principe ereditario [Mohammed Bin Salman, ndr], cha ordinato l’omicidio di una persona innocente, sia punito immediatamente” (ANSA/AFP).
Perché ogni singola prova porta a lui, all’erede al trono saudita che da anni ha avviato una serie di riforme (apparenti?) per dare un volto di (apparente?) modernità al suo Paese. La parentesi è d’obbligo, leggendo la denuncia di Human Rights Watch che parla letteralmente di una strategia di ‘image laundering’ e ‘whitewashing’.
Negli ultimi anni – e anche, quindi, in seguito all’uccisione di Jamal Khashoggi – “il Governo saudita – spiega l’organizzazione che si spende in difesa dei diritti umani – ha speso milioni di dollari ospitando grandi eventi di intrattenimento ed eventi sportivi [nonché iniziative economiche come la Davos del Deserto, ndr] in una deliberata strategia di spostare l’attenzione dall’immagine di un Paese dove avvengono violazioni dei diritti umani” (HRW, Ottobre 2020). Ed è per questo che Human Rights Watch ha lanciato una campagna globale di contro-informazione per contrastare gli “sforzi del Governo saudita impegnato in una campagna di pulizia della propria immagine”.
Ecco. “The Dissident” è un film da mettere nel contesto. Questo. Quello appena raccontato e quello degli attivisti in esilio.
Lo spiega bene, in un’intervista, Madawi Al Racheed, antropologa saudita, visiting professor alla London School of Economics ed esule: “Il problema principale in Arabia Saudita, oggi, è la repressione nei confronti di attivisti, studenti, professori e femministe. In Arabia Saudita non c’è libertà di espressione, non esiste libertà di riunirsi”.
E lo spiega ancora meglio uno dei protagonisti principali del film-inchiesta “The Dissident”: Omar Abdulaziz, attivista saudita dissidente che vive in esilio in Canada. Avvisato dalle autorità canadesi di essere un bersaglio potenziale dell’Arabia Saudita, era legato a Jamal Kashoggi. Con lui era in contatto e lo aveva coinvolto nella sua battaglia di contro-informazione contro il controllo violento della rete messo in pratica dai sauditi.
La propaganda viaggia sul web, infatti, soprattutto su Twitter, uno dei social più usati nel Paese: in Arabia Saudita otto persone su dieci possiedono un account (in America sono due su dieci, si spiega nel film). E Twitter è stato letteralmente riempito di “postatori compulsivi” di contenuti volti ad attaccare chiunque parli contro la linea della monarchia. Sono troll. Li chiamano “le mosche”.
Abdulaziz aveva coinvolto Khashoggi nella sua creazione di un vero e proprio sciame – le Api – per andare a pungere questa strategia. Per contrastarla.
La ricostruzione grafica di questa mossa è forse un indugio un po’ troppo “alla americana”, nella resa cinematografica, ma rende perfettamente l’intento indubbiamente eroico. L’occupazione e la controccupazione delle piazze digitali.
“The Dissident” di Bryan Fogel (già vincitore di premio Oscar per Icarus) è disponibile su MioCinema da Febbraio 2021 ed è distribuito in Italia da Lucky Red.
E va visto, perché la consapevolezza e la memoria sono un’altra e un’ulteriore forma di attivismo.
“The Dissident è un documento fondamentale, perché non cambierà il mondo in cui viviamo, non cambierà l’attitudine dei governi al profitto, la propensione a ridurre al silenzio gli oppositori, ma cambierà noi, avremo nuovo strumento, per comprendere come il denaro tutto compra, tutto occulta, tutto compromette e nulla sembra resistere al di fuori del suo potere. Nulla, forse” Roberto Saviano, Corriere della Sera – Febbraio 2021
———
Grazie ad Ambra Orengo e Gregorio Romeo per aver condiviso informazioni, pensieri e competenze quando, dentro e fuori da un lavoro che condividiamo, ci siamo trovati a confrontarci su questa storia. Che ritorna.
———
Lettura consigliata:
L’intervista segreta di Jamal Khashoggi, by Rula Jebreal (Newsweek)