The Colour in Anything: la sorpresa di James Blake
Qualcuno ha detto electro-soul?
Ormai è chiaro. Nemmeno il mondo della musica può sfuggire alle regole non scritte e in continua evoluzione del digital marketing, che costringe le case discografiche a cercare sempre nuove strategie di lancio per riuscire a sorprendere ancora i propri fan e conquistare il cuore di altri. Pensate anche soltanto alla recente trovata dei Radiohead per promuovere il nuovo singolo Burn The Witch.
Poi invece arriva il ventisettenne James Blake, che fa una scelta curiosa e apparentemente controcorrente. Il cantante londinese non è un veterano, almeno anagraficamente parlando, eppure è già al terzo disco in pochi anni e, invece di creare hype (comunque notevole per chi già lo conosceva), decide di farlo uscire così, con una manciata di ore di preavviso, una notte di Maggio, tanto per costringerti a passarla in bianco ad ascoltare d’un fiato tutte le diciassette tracce. Sì, diciassette. Ché le sorprese o si fanno bene o non si fanno.
Ho conosciuto la voce di James Blake durante l’estate di un paio d’anni fa, vivida memoria di una vita precedente. Ricordo Overgrown a ripetizione, senza tregua, proprio come quando si trova la colonna sonora di un sentimento implacabile. Che poi, diceva Time passes in the constant state o Time passes and the constants stay? Chissà. Forse non ha più importanza. O forse le parole cambiano a seconda del momento in cui le si ascolta.
Tutti erano convinti che il nuovo album si sarebbe chiamato Radio Silence che, invece, si è limitato ad essere il titolo della traccia di apertura. Poco male, diciamo. E’ un ruolo di serie B di tutto rispetto, perché sin dai primissimi secondi si intuisce che il buon James ci ha fatto un (altro) regalo incredibile. Points è semplicemente una versione legalizzata di droga sotto forma di musica. Tiè, una striscia di “no longer, no longer her” e non ne uscite più.
La qualità del suono è pazzesca, ipnotizzante, e il testo lascia trasparire un senso di amara rassegnazione nel constatare quanto la persona che si amava sia cambiata e, sostanzialmente, non esista più. Vedrete, finirete per esserne dipendenti pure voi. Ma contrariamente alle previsioni, è un palliativo a buon mercato.
Questa qui sopra, invece, è la meravigliosa copertina di The Colour in Anything firmata Quentin Blake, famoso illustratore inglese specializzato in libri per bambini. Vi dice niente un certo Roald Dahl? Ecco, Blake (stavolta non James, ma Quentin) è conosciuto in tutto il mondo per le sue illustrazioni di Matilda, del GGG e de Gli Sporcelli, tanto per citare alcuni pilastri della mia (e probabilmente anche della vostra) infanzia. Insomma, un Blake al quadrato. Come non adorare la combo? Le tonalità di colore rivelano in anteprima l’atmosfera dell’album.
E, infatti, eccoci qui. Tirate fuori il pacchetto di Tempo, avanti. Premete play, chiudete gli occhi e ascoltate F.o.r.e.v.e.r.
La delicatezza di questo brano sintetizza tutto quello che probabilmente avete già realizzato da soli sull’amore e sullo strano concetto di commitment che richiede una relazione. Però stavolta ve lo dice James Blake, spogliandosi delle armature elettroniche, accompagnato solo dalla base al piano e dalla sua incredibile estensione vocale.
Don’t use the word, “Forever”
We live too long to be so loved
E i brividi lungo la spina dorsale ai versi finali. How wonderful, how wonderful, how wonderful you are. Maledetti umani composti da acqua e nostalgia.
Se non vi siete ancora tagliati le vene (no, nemmeno al momento di While you were away, I started loving you), vi siete meritati I Hope My Life – 1 – 800 Mix. Dimenticatevi almeno in parte i dolori del giovane Werther, vi aspetta praticamente un James Blake in versione techno. Il testo al minimo, in loop, la base strumentale-elettronica al massimo. Attendiamo impazienti il remix e poi si va insieme a ballarla al Distortion a Copenaghen?
Where do we
Where do we
Where do we
Where do we
The Colour In Anything è un album malinconico, solitario, direi quasi romantico nel senso più letterario e struggente del termine. E la sua bellezza è racchiusa nella modernità della composizione, da frasi spezzate, interrotte, a ripetizione, da sintetizzatore e campionatore. Eppure l’intensità emotiva che trasmette è così tangibile che sembra di avere il disco tra le mani, con un livello di umanità che ti colpisce dritto alla cassa toracica in un’unica, armonica composizione di generi musicali opposti. Come se Blake volesse trasmettere tutto il proprio dolore non per farci del male, ma per aiutarci. Va tutto bene se ti hanno spezzato il cuore.
Godetevela. Tutta, dall’inizio alla fine. Prendetevi 4 minuti e 17 secondi di pura bellezza. Forse ce lo meritiamo davvero, un “forest fire”, che si porti via le ombre e i fantasmi rimasti intrappolati nei meandri della nostra scatola cranica e lasci il terreno fertile per un nuovo inizio.
E l’album prosegue in un climax ascendente di riscoperta di sé, di valorizzazione dei propri bisogni, della propria felicità. È come se Blake ci sussurrasse: “Lo so, fa male, ma tornerai a sorridere, vedrai”. Notevole la chiusura con Meet you in the maze dove, ancora una volta, Blake sfodera il cavallo di battaglia: spegne (quasi) tutti i marchingegni elettronici e canta a cappella una sorta di malinconico inno, di invito all’accettazione di sé. Ci confessa che “Music can’t be everything” e ci lascia in attesa di quando verrà un nuovo amore.
Esclusi un paio di pezzi eccezionali, credo che per apprezzare The Colour In Anything non basti un singolo ascolto. Non penso che James Blake sia venuto meno allo stile che lo ha caratterizzato così fortemente nei primi due album, dalle tonalità così grigie e blu, così metalliche e ardenti. Al contrario, penso che siamo di fronte allo stadio successivo del suo percorso di crescita e di sperimentazione.
Ancor più che negli album precedenti, in queste tracce esplode la versatilità di un artista che riesce a spaziare con incredibile naturalezza dalla freddezza elettronica al caldo soul, combinando innovazioni strumentali a corde vocali fuori dal comune. Prendete Timeless (bella), Noise Above Our Heads, My willing heart. Ma davvero fanno parte dello stesso disco? Blake inizia ad ampliare lo spettro dei colori, dipingendo un album intimo e, soprattutto, incredibilmente vivo.
E qual è il fine ultimo di un album musicale se non quello di riuscire ad emozionare profondamente chi lo ascolta? Prendetevi del tempo da soli con The Colour In Anything, ascoltatelo da vicino.
album | The Colour in Anything
artista | James Blake
etichetta | Polydor
anno | 2016
durata | 76:13
[…] Faker | Cigarettes And Loneliness James Blake | My Willing Heart Sohn | Lights Sigur Ros | Von Bon Iver | […]