Suspiria, di Dario Argento
La magia è quella cosa che ovunque, sempre, da tutti è creduta – Il Ramo d’Oro, J. Frazer (e pure il cinema, eh…)
Dario Argento, il maestro del brivido italiano che ancora oggi tutti ci invidiano, in più interviste ha dichiarato che da bambino era terrorizzato da fiabe come Biancaneve, Hansel e Gretel e precisamente in Suspiria – che a 40 anni dalla prima uscita proprio in questi giorni torna sul grande schermo – ha scelto di regalarci la sua particolare interpretazione di queste favole sotto forma di vero e proprio capolavoro del cinema, da paura.
Siglaaaaa:
Suspiria rappresenta il debutto ufficiale di Dario Argento nel mondo dell’Horror. Uscito nel 1977 non riscosse molto successo in Italia ma non impiegò molto a diventare un film di culto nel resto del mondo, a tal punto che in Giappone fu proiettato dalla Sony in un anfiteatro di fronte a oltre 30 mila spettatori, e tra i grandi fan del film si possono nominare personaggi del calibro di Quentin Tarantino, Diablo Cody, Nicolas Winding Refn.
Per ideare il soggetto del film, Argento, passo vari mesi in giro per l’Europa trovando la sua ispirazione tra i racconti sulla stregoneria sentiti a Basilea e una musica oscura suonata con uno strano strumento chiamato Bouzouki ad Atene. Ma come confessa il regista stesso, il film nasconde dei punti oscuri anche a lui stesso e, a conferma di questo, a differenza degli altri suoi film dove le mani dell’assassino sono sempre le sue, nella scena dell’omicidio in bagno questo non avviene.
Secondo la visione originale di Dario Argento, il film si sarebbe dovuto svolgere in una scuola per bambine, ma sia il distributore italiano che la Fox si opposero fortemente a questa idea e per questo fu costretto ad alzare l’età di tutti i protagonisti, riuscendo comunque a tenere fede al suo progetto iniziale tramite l’utilizzo di ingegnosi escamotage, come ad esempio la scelta di Jessica Harper per “i suoi occhi grandi da bambina”, il comportamento infantile delle protagoniste che più volte si fanno i dispetti e le smorfie o le maniglie delle porte posizionate molto più in alto del normale, capaci di rendere un effetto estraniante nei confronti dell’ambiente.
Si racconta inoltre, che durante le riprese avvennero una serie di fatti strani come orologi nuovi che smettevano di funzionare, oggetti di scena spariti nel nulla, scene girate correttamente ma non impressionate sulla pellicola senza motivo fino ad arrivare ai racconti di Barbara Magnolfi (Olga) su una trave caduta sul set durante un temporale non atteso. Episodi inquietanti che crearono certamente non pochi disagi a tutta la troupe, tanto da convincere la segretaria di edizione a tenere un diario nel quale annotarli tutti (diario che speriamo tanto un giorno venga pubblicato… o quanto meno inviato a noi di Salt Edition per un’attenta analisi PER FAVORE).
Il film rappresenta uno stacco netto nei confronti sia della precedente produzione di Argento, che nei confronti del panorama cinematografico di genere. Innanzitutto, è fra i primissimi film a diffusione massiva a spostare l’attenzione sul femminile. Non solo la protagonista, ma anche la sua nemesi sono donne (così come avverrà in tutti e tre i film dedicati alle Tre Madri, di cui Suspiria è il primo). In un mondo horror in cui la donna è (stata) spesso relegata al ruolo di screaming queen, inseguita da nerboruti assassini, il ribaltamento è totale. Gli uomini sono solo pedine o al massimo comprimari. Lo stesso avverrà in Inferno, il film sulla seconda Madre (La terza Madre lasciamola stare, va, che appartiene all’ultima produzione di Argento ed il confronto non regge proprio). La stregoneria è, per sua natura, femminile; ma quindi anche guerra ad essa mossa deve essere femminile. Non la repressione di una femminilità, come troppo spesso la lotta alla stregoneria è stata, ma affermazione di una femminilità alternativa.
Inoltre il film porta allo stremo, fino ad un livello mai raggiunto né prima né dopo, il cardine della poetica di Dario Argento. La completa, assoluta, compenetrazione fra le parti del film. La musica, che già era fondamentale parte integrante nei precedenti film (soprattutto Profondo Rosso), qui diventa insostituibile e si fonde perfettamente con le folli scenografie. Le strutture fisiche della scuola, poi, sono fonte di alienazione e creatrici di tensione, non solo nella protagonista, ma soprattutto nel pubblico. Ugualmente, la scelta di usare i colori saturati, violenti. Suspiria non potrebbe esistere senza la colonna sonora ed il colore, che da orpelli diventano parte integrante. La tensione è creata da questi elementi, più che da una storia che sul piano narrativo è volutamente lacunosa. La musica produce paura; il colore ansia, quasi infastidisce; la scenografia rende straniati. Questo idea di commistione delle parti a creare qualcosa di più grande della loro somma, verrà ampiamente riutilizzata negli anni a venire, sia dal cinema di genere (Rob Zombie, che della narrazione se ne è sempre fregato altamente), che dalla rappresentazione più “colta”, fino all’ultimo remake (perché sì, è in pratica un remake di Suspiria) The Neon Demon.
Se già questo potrebbe bastare a rendere Suspiria il film affascinante da morire che di fatto è, le sorprese non finiscono qui: nel film infatti non troverete una sola scena uguale ad un’altra tra tutte le 1.300 (avete letto bene) che lo compongono, ma la cosa che probabilmente lo rende davvero il capolavoro unico e irripetibile del suo genere che è resta senza dubbio la fotografia.
Una fotografia che evocando l’atmosfera irreale delle fiabe dalle quali si è originato, si muove tra i toni forti e pesanti del sogno e le colorazioni tipiche dei cartoni animati di Walt Disney, oscillando fra l‘estetica acida e Art Deco anni ’70 (per gli interni) ed i paesaggi metafisici di De Chirico per gli esterni.
Per creare questi incredibili effetti scenografici il regista scelse di utilizzare una particolare pellicola della Kodak ricca di gelatina, in modo tale che questa potesse dare una luminosità e una profondità di campo che altrimenti non si sarebbero in nessun modo potute ottenere.
Il film fu montato in soli 10 giorni, in un’epoca in cui non esistevano i ritocchi al computer e gli effetti speciali di post produzione ai quali siamo abituati. Tutto ciò che si vede sullo schermo è stato girato in presa diretta ed è frutto della mente malata di Dario Argento e della maestria creativa di Luciano Tovoli, al quale si deve la scelta del colore del sangue, il più strano probabilmente mai apparso nella storia del cinema. E forse anche il più bello, quindi grazie Tovoli per aver reso, il rosso neon conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo.
Se non sapete di cosa stiamo parlando, siete nel posto sbagliato… correte subito al cinema!
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