Stoner | La vita immobile e commovente di un uomo ordinario
Esistono molti modi per scegliere un libro. Affidarsi ai consigli di lettura, alle recensioni, approfondire la biografia dello scrittore. Ma, ultimamente, per cogliere qualche spunto, ne ho sperimentato uno nuovo (di certo, non un metodo infallibile): la quarta di copertina.
“Stoner parla di resistenza ed è tra i migliori romanzi per tempi incerti che mi sia capitato di leggere. E questo, il nostro, è un tempo incerto” (Paolo Giordano)
Mi sono detto: “Quale momento migliore?”
La trama sembra essere poco coinvolgente, eppure l’opera in questione suscita tutte quelle minutissime sensazioni che soltanto una storia emozionante è in grado di far provare. William Stoner, protagonista dell’omonimo romanzo di John Williams, ha una vita piatta: nasce in un paese rurale, aiuta i genitori nella fattoria, si iscrive all’università per studiare Agraria, ma in seguito riconosce la propria vocazione per la letteratura. Diventa professore nella facoltà in cui ha studiato, si sposa con Edith, dalla quale ha una figlia, e perde la testa per una sua studentessa.
“Non superò mai il grado ricercatore, e pochi studenti, dopo aver frequentato i suoi corsi, serbarono di lui un ricordo nitido. Quando morì, i colleghi donarono alla biblioteca dell’università un manoscritto medievale, in segno di ricordo.”
Inizia tutto così, quasi per caso. La morte viene subito messa davanti agli occhi del lettore. Non serve alcun avido sensazionalismo o indizio, né tantomeno una mappa. Perché le mappe non sono affatto utili per avviarsi verso questo racconto, servono unicamente per muoversi in superficie, per cogliere la minima ricostruzione degli eventi; l’autore, invece, ha una missione ancora più ambiziosa: rivendicare la bellezza della semplicità.
Pubblicato nel 1965, senza riscuotere particolare successo (alla sua uscita vendette soltanto 2mila copie), Stoner viene riproposto nel 2003, poi nel 2006 per The New York Review of Books Classics, e infine nel 2011, quando la scrittrice e giornalista francese Anna Gavalda lo tradusse in Francia. Quasi quarant’anni di silenzio, quindi, prima di trasformarsi in un vero e proprio fenomeno letterario negli Stati Uniti e in molti paesi europei.
La qualità della scrittura, lineare e semplice, ci sprona non solo a mantenere l’attenzione viva, ma anche a cogliere i valori di un romanzo apparentemente statico: l’amore, l’amicizia, la famiglia, il lavoro, la ricerca del proprio “Io”.
Nessun retroscena, ma tanta vita, tanta voglia di scoprire l’uomo nella sua interezza. Mi sono chiesto a chi o a che cosa si debba attribuire l’ineluttabile apatia di Stoner, dalla mente brillante e dalla sensibilità tanto dolorifica. Non c’è alcun dubbio: fu vittima delle sue riflessioni, delle sue domande. Nient’altro che una preda, dunque, una valvola di sfogo per alcuni; come la moglie, Edith, instabile e frustrata, o come il rettore universitario, Hollis Lomax, che gli ostacola la carriera accademica.
E poi ci sono i suoi due amici, Gordon e Dave, ques’ultimo morto durante la prima guerra mondiale, entrambi perfetti nella loro imperfezione; la figlia, Grace, una figura anonima, frammentata dai continui litigi dei genitori; la giovane ricercatrice, Katherine Driscoll, l’unica a tirar fuori la vera identità di Stoner: fantasticano sul futuro, fanno l’amore, parlano con passione. Ma la voglia di viversi fino in fondo, alla fine, si arrende alle convenzioni sociali del tempo.
Aveva sognato di mantenere una specie d’integrità, una sorta di purezza incontaminata; aveva trovato il compromesso e la forza dirompente della superficialità.
John Williams traccia una nuova dimensione, pretenziosa e non nostalgica, di appagamento. Non serve armarsi di curiosità, lo straordinario risiede in ogni singola pagina. Insomma: “perché viviamo? Che cosa conferisce valore e significato alla vita?”, scrive Peter Cameron nella postfazione. Ci si lascia felicemente travolgere da questi interrogativi e, forse, la sola risposta che ci è data è secca: non lo so. E va bene così.
Un po’ come il giovane Holden, Stoner è considerato un diverso, distante dagli altri e incompreso. A differenza della creatura di Salinger, tuttavia, Williams mette persino lo spazio in secondo piano. La campagna del Missouri viene sommariamente descritta come un luogo in pieno sviluppo; la storia, infatti, si svolge tra gli anni Dieci e gli anni Cinquanta del Novecento. Non si avverte quel dovere di immaginarsi distese di verde, grandi nuvole bianche, steccati di legno; il necessario sta nell’ordinarietà delle azioni, delle cose, degli sguardi, di un banale “fecero l’amore”.
Leggere Stoner, allora, potrebbe considerarsi come una confessione priva di assoluzione, una confessione a cuore aperto per liberarsi della presenza ingombrante di interrogativi amletici. Perché non tutto vuole o merita una risposta. Perché servirebbe più coraggio per fermarsi, malgrado la velocità del mondo. Perché bisognerebbe sempre fare i conti con quei libri che ci rendono migliori.
Accettarsi e accettare le proprie delusioni: una presa di coscienza graduale. John Williams, inconsapevolmente, ci aiuta in questa impresa. E questi, permettetemelo, sono miracoli che solo la letteratura può e sa fare.
Titolo | Stoner
Autori | John Williams
Casa editrice | Fazi Editore (2012), Mondadori (2020)
Anno | 1965
Luigi Affabile