Starbucks in Italia (questa volta davvero)
O di come l’apertura di Starbucks cambierà le vostre vite ma non la cultura italiana
In Italia, l’espresso è quello che si può definire uno state of mind. Le giornate non iniziano senza un caffè, ma di quelli veri, non uno di quei beveroni americani tutta acqua.
La pensavo così anche io. Quando andavo all’estero era cool fare la foto al mio nome scritto sbagliato su un frappuccino preso in quel simbolo del capitalismo americano che è Starbucks, ma nulla di più. Col tempo ho cominciato a considerarlo un rito troppo turistico, come andare all’ Hard Rock cafè e comprare la maglietta e perciò l’ho cominciato a evitare come evito la minestra in brodo, l’ombretto fucsia e i pantaloni a zampa di elefante.
Poi sono arrivata a Glasgow ed è stato impossibile non convertirsi alla religione delle coffee chains. Ci ho provato, lo giuro. Ho fatto resistenza, mi sono portata la mia moka e il caffè da casa, ma dopo qualche settimana ho dovuto cedere. Tutto è iniziato con Pret à manger, poi è stata la volta di Costa. Ormai non mi vergogno più a mostrare la mia tessera fedeltà da brava Costa lover e rabbrividisco ogni volta che qualche connazionale ha il coraggio di dirmi “si vabbè ma il caffè lì non sarà mai come il caffè italiano”. Lo avete mai provato? No. Dunque mettete da parte il vostro etnocentrismo e credetemi se vi dico che un cappuccino buono come quello di Costa faccio fatica a trovarlo persino quando torno in Italia per le vacanze. Quello che funziona più di tutto però per me è il concept di queste catene. Non ti vendono un semplice Americano, ti vendono un ambiente, un tipo di servizio, ti fanno quasi sentire parte di una setta. E si sa che uscire da una setta è qualcosa di abbastanza complesso. Ma tornando a noi, fino a qualche mese fa, Starbucks per me restava la peggiore coffee chain che avessi a disposizione. Poi in un pomeriggio uggioso dopo 3 lectures di fila sono entrata e ho ordinato un Chai Latte. Ed è stato amore. Dopo quel punto di svolta ho cominciato a frequentare Starbucks più assiduamente (nonostante custodisca ancora gelosamente la mia Costa reward card) ed è diventata una addiction.
Tutto questo per commentare le reazioni dei miei connazionali all’aperture di Starbucks in Italia. Ho letto di gente che sostiene fallirà, che avrà vita breve, che è inutile. E Mc Donald’s allora? L’Italia è anche il paradiso del buon cibo ma questo status non ha impedito alla catena di fast food più famosa del mondo di sbarcare anche da noi. Non c’è nulla di diverso in Starbucks, anzi, il prodotto in questione ha ancora più potenziale in quanto andare da Starbucks è ritenuto ancora qualcosa di cool non qualcosa di cui vergognarsi. E poi penso a città turistiche come Roma e Milano e trovo assurdo il fatto che ne siano ancora sprovviste. E pensate alle fashion blogger, a tutte le foto che potranno fare e a quanto tutto questo le renderà felici (ok no, forse questo non è un punto a favore, mi dispiace già per le vostre bacheche di instagram che saranno invase da foto di Pumpkin Spiced Latte e Frappuccini con panna tenuti giusto il tempo di essere modificati con un filtro di vscocam e poi gettati nella spazzatura in quanto ahimè ipercalorici).
Si potrebbe obbiettare che l’apertura di Starbucks coinciderebbe con un altro passo nella direzione dell’omologazione globale e conseguente perdita dell’identità culturale italiana che si concluderà con l’aggiunta dell’ananas come topping per la pizza. Ma tornando a Mc Donald’s, il Big Mac ha forse preso il posto della pizza nella top 10 dei cibi preferiti dagli italiani? La cultura italiana è qualcosa di ben radicato dentro tutti noi, certe abitudini sono difficili a morire. Nessun vero italiano smetterà di fare colazione con caffè e brioches al bar dell’angolo ma ciò non toglie che se ne avrà la possibilità farà merenda con un brownies e un frappuccino da Starbucks.
Con questo concludo chiedendovi di dare una chance a Starbucks, ma anche avvertendovi che anche se non gliela darete, sarete colti nella spirale di assuefazione che crea e a quel punto sarà difficile uscirne. Siete liberi di non credermi.
Ma è solo perché non avete provato il Chai Latte di Starbucks.
Domiziana Manfredini
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