Come sopravvivere al Drive-in senza farsi mangiare vivi | Joe R. Lansdale
Restammo zitti per un po’ di tempo. – Il film è buono? – chiesi poi.
– Non è male, – rispose Bob, – ma l’ho già visto.
Mettiamo subito le cose in chiaro: io dei Drive in non ne so proprio niente. Ma Joe R. Lansdale sì.
Vivo in Italia (ciao ciao mamma) un buon 99,5% del mio tempo (lo 0,5% è per via degli spritz a Monte Carlo, ça va sans dire) e l’evento più vicino a un Drive in a cui abbia mai partecipato è, credo, il cinema all’aperto ma, anche qui, un buon 99,5% delle volte proprio pochi minuti dopo l’inizio del secondo tempo sei condannato alla fuga per colpa dell’irruzione sempre puntualissima di uno di quei temporali estivi che dimostrano un self-control paragonabile grosso modo, non esagero, a quello di Jack Torrance dopo 48 ore all’Overlook senza alcolici e in piena crisi inventiva e matrimoniale (lo 0,5% qui è dovuto alla fuga precoce causa invasione massiva e vorticosa di zanzare, celebre perfetta ineliminabile deliziosa invenzione del demonio – senza offesa, eh).
In aggiunta alla mia scarsissima preparazione iniziale sull’argomento – che comunque mi affascina da sempre, lo ammetto – c’è il fatto che cercare di raccontare La Trilogia del Drive-in di Joe R. Lansdale è un po’ come quando eri piccolo e cercavi, durante un sofferto e terrorizzato pianto singhiozzante, di dimostrare ai tuoi genitori l’esistenza dell’enorme entità gelatinosa e aracniforme che eri sicurissimo provenisse da qualche lontano pianeta molliccio di colore verde evidenziatore, non ancora identificato se non nella tua fantasia galoppante, e che vivesse ora proprio sotto il tuo letto aspettando il momento più opportuno per rosicchiare le tue sicuramente succulente caviglie: non ci riuscivi.
Sì, questa trilogia sarà senz’altro una delle cose più disturbanti che vi capiterà di leggere. Inquietante. Un B-movie cartaceo estremamente trash e affascinante.
Un B-movie, esattamente. Uno di quei filmacci rumorosi e a bassissimo budget con formule e lacerazioni di carni o strambe irruzioni aliene in cartapesta talmente fisse e prevedibili da risultare tremendamente comiche, uno di quegli horror demenziali – we believe in blood – che guardi in compagnia il venerdì giusto per farti due risate, niente di più, niente di serio.
La narrazione scorre fluidamente, ti sembra addirittura di distrarti facilmente e di esserne totalmente innocuo e non ti rendi conto di quanto tu sia invece spaventato se non quando ti allontani da solo per andare in cucina a prendere i pop-corn e davvero non puoi fare a meno di guardarti alle spalle, così, non si sa mai. Istinto.
Ora, provate a immaginare H. P. Lovecraft e Carlo Collodi strafatti di LSD – e come immagine non è ancora abbastanza surreale, credetemi – che danno vita ad una giovane creatura senziente a due teste e arti a volontà che a sua volta, sotto l’effetto di una qualche specie potentissima di fungo allucinogeno rosso brillante, si sieda e si metta a scrivere un libro. Qualcosa del genere.
Leggere questa trilogia sarà un’esperienza che vi farà totalmente schifo e sarà, allo stesso tempo, la cosa migliore che possiate leggere.
Si vedeva alla perfezione Saturno, il simbolo dell’Orbit, che ruotava azzurro e argenteo fra le ombre del tramonto.
Parte 1: Un film di serie B con sangue e popcorn, made in Texas
Il Drive-in Orbit, collocato in qualche parte non ben precisata del Texas – non che per noi faccia differenza, ovviamente – ci dà il suo più cordiale benvenuto. La scena si svolge in un venerdì sera e siamo nel drive-in più grande mai esistito finora sulla faccia della terra. È affollatissimo, l’atmosfera è asfissiante come ogni venerdì, colma di spettatori, pop-corn con una dolce salsa rossa schizzata sopra (specialità della casa) e Coca-Cola. Sullo schermo sta iniziando una lunga nottata horror e i film sono pronti a susseguirsi a ripetizione: Non aprite quella porta, Utensili per l’omicidio, La casa. Tra la folla, anche i protagonisti Jack, Bob, Willard e Randy, decisi a passare una tranquilla serata al drive-in a seguito di una precedente fastidiosa scazzottata da bar sempre utile a rafforzare le amicizie, quelle vere.
In un lampo, letteralmente, mentre il primo film è da poco iniziato, le cose si misero dal brutto allo schifoso, senza che te lo aspettassi minimamente: nel cielo notturno una cometa color rosso sanguigno – come nella migliore delle tradizioni – sovrasta interamente l’Orbit rivestendolo di una fitta oscurità fatta di una sostanza molliccia e nera come la pece, impenetrabile. Le tenebre misteriose sono invalicabili, tutti gli spettatori sono intrappolati nel drive-in fino a data da destinarsi, e forse quella data non esiste nemmeno. Panico, immediatamente.
Ma a quel punto, le cose non andavano ancora male. Era il momento di sospensione fra gli hot dog e gli orrori. L’attimo in cui la gente cercava ancora di reagire, di stringere i denti, come in tutti i vecchi film di fantascienze dove una minaccia aliena costringe la popolazione a collaborare per sconfiggere il nemico, e alla fine il pianeta Terra vince e tutti imparano a vivere assieme, e a Mosca si apre qualche McDonald’s e una filiale di Disneyland.
Ciò che segue è una sorta di agonizzante Signore delle mosche versione adulta e pulp, un istinto di sopravvivenza cannibale tremendamente gore a seguito dell’iperglicemia nauseante causata dall’abuso di bibite chimicamente zuccherine e l’arrivo della feroce dittatura del Re del Popcorn, orrenda creazione nata grazie alle onde elettriche scaturite da un fulmine. Ci vorrà un intervento miracoloso a far ritornare la situazione sui giusti binari, o almeno a provare a salvare il salvabile.
Il film ci possedeva tutti e non si poteva cambiare canale o spegnere. Era un film con sangue e budella e un mostro folle, il Re del Popcorn. Lui era straordinario. Predicava la violenza e la religione. Se avesse infilato anche il wrestling nei suoi discorsi, avrebbe coperto le tre maggiori manie televisive. Lo amavo.
Parte 2: Non uno dei soliti seguiti o Il giorno dei dinosauri
Lo scenario cambia, siamo nella
C
I
T
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Perfetto, cosa chiedere di meglio.
Siamo catapultati in uno scenario apocalittico primordiale, stile amazzonico, selvaggio, ancora indomato, circondati da Tyrannosaurus Rex gonfiabili. Esattamente, mi sembra più che logico, proprio quello che stavo aspettando trepidante seduto comodo sulla mia poltrona.
I superstiti cercano cibo e cercano altri superstiti e le due cose a volte coincidono. Il despota nemico è Popalong Cassidy. Umanoide con un sangue gelido a scorrergli nelle vene. Anzi, no, non ha sangue, in realtà. Non ha neanche le vene. Ha dei mollicci fili elettrici a scorrergli dentro. E la sua faccia è una televisione. Un cranio-TV.
Una televisione. Un teledipendente cinefilo che viveva con la testa attaccata alla televisione fino al giorno in cui la sua testa TAAAC è diventata una televisione, elementare, disumano.
Questo personaggio dal profilo psicologico non indifferente mi ha fatto pensare a due citazioni più o meno colte a tema che ci stanno in questo contesto proprio come il concentrato di pomodoro sul tofu scottato in padella (è una meraviglia, so già che siete corsi di volata a prepararvelo):
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“La TV è un media freddissimo perché non può essere di sfondo, ci impegna e ci assorbe, ma non perché offra alta definizione, ma perché sentiamo una necessità di completarla e parteciparne” (Marshall McLuhan);
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“Volevo fare la TV e sono diventato TV” (Homer Simpson).
E qui mi fermo.
Parte 3: La gita per turisti
Siamo in mezzo all’oceano. Galleggiamo. Siamo nella pancia della balena (un pesce gatto enorme, in realtà). Una pancia densamente popolata da creature malvagie, malvagie come solo può esserlo un essere umano messo alle strette e che non ha alcuna intenzione di arrendersi, soprattutto ora, ora che ha intravisto uno spiraglio di luce. Delirio.
Il finale sarà orrendo ma sarà anche, tra le altre cose, un meraviglioso omaggio a Philip K. Dick.
A lettura ultimata, mi fanno malissimo gli occhi. Grazie Joe R. Lansdale! C’è una sensazione di spossatezza, come essere diviso tra due mondi, in bilico, diviso equamente tra le due parti. So che ho la lavastoviglie ancora da azionare e allo stesso tempo non sono sicuro che il mostro se ne sia veramente andato. Devo controllare ripetutamente di avere ancora i vestiti intatti addosso e sbirciare fuori dalla finestra che tutto stia procedendo nel migliore dei modi, come sempre, controllare che una qualche apocalisse non sia ancora arrivata e nessuno mi voglia letteralmente strappare la carne di dosso per mangiarsela. E che io non sia costretto a fare lo stesso.
Solo adesso, solo in questo momento, ad accertamenti ultimati, posso finalmente tirare un sospiro di sollievo. Un respiro di sollievo che porta inevitabilmente con sé, a braccetto, anche un po’ di tristezza e di rimpianto.
Ancora una volta, non si torna indietro. È ormai impossibile cancellare every sick, disgusting thought we’ve got in our brain.
titolo | Drive-in (La Trilogia)
autore | Joe R. Lansdale
anno | 2012 (1988, 1989, 2005)
pagine | 539