Sole Alto, di Dalibor Matanić
Non è mai facile raccontare la guerra che si è vissuto in prima persona; non è mai facile raccontare una guerra, specialmente se civile, senza scadere in pietismi o eroismi ugualmente sterili. Eppure il regista Dalibor Matanić realizza con Sole Alto qualcosa di raro e prezioso. Un film intimo sulle conseguenze della guerra, dove la guerra non è mai presente ma sempre sottesa. I sentimenti sono i protagonisti, quelli che la guerra distrugge. Soprattutto se una guerra fratricida, che divide fratelli nati nella stessa casa ed usciti uno dalla porta principale, l’altro dalla porta sul retro.
Il film si articola narrando tre storie d’amore fra due ragazzi di etnie differenti, in tre momenti differenti nella Storia dell’ex Jugoslavia: appena prima dello scoppio della guerra, appena dopo e dieci anni dopo. Ad interpretare le tre vicende sono sempre gli stessi due attori, bravissimi – su tutti, però, spicca la straordinaria e giovanissima Tihana Lazovic, col suo sguardo penetrante. Il regista ci chiede lo sforzo di immaginare le stesse persone come diverse; ed ugualmente persone diverse come identiche. Perché alla fine i personaggi, con storie e passati differenti, altro non sono che tre possibili traiettorie, tre possibili destini, quasi archetipici. Tutti distrutti dalla guerra. A ribadire l’uguaglianza anche nella diversità, la narrazione non fa mai aperto riferimento alle due etnie rivali: non sappiamo, se non da particolari, se i protagonisti sono serbi o croati. Sappiamo solo che, per qualche ragione sconosciuta a loro stessi e a noi (non si ragiona sulle cause specifiche, solo sulle conseguenze universali), le loro etnie sono contrapposte.
La ricorrenza dei due protagonisti non è l’unico dettaglio che fornisce l’intreccio inestricabile fra le tre vicende, moltissimi sono i richiami interni (i luoghi, il rapporto con la terra, il cane randagio, il bagno al lago) che scandiscono le tappe di una sceneggiatura concreta e forte, che non concede nulla alla facile pietà ed al sentimentalismo: anche i sentimenti passano sempre al vaglio delle necessità concrete. La regia riesce ad armonizzare movimenti a mano, raccordi paesaggistici (sempre funzionali al racconto) e bellissimi primi “sghembi”, visti attraverso buchi nel pavimento o fili d’erba, ed è capace di creare fortissimi crescendo di tensione, sia dinamica che emotiva.
Il film parla di giovani e parla ai giovani, che ormai vedono quel periodo storico come lontano, magari ricordato solo da qualche foro di proiettile nei muri, ancora visibile. E ci ricorda che sotto le macerie ancora sono sepolti quei sentimenti, quell’odio inutile e immotivato che porta alla guerra civile. È l’amore, ma ancor più il sentimento dell’Umanità che deve resistere, combattere, giorno per giorno, casa per casa.
Voto: 8.5