Sicilian Ghost Story, i pesanti fantasmi della Sicilia
Presentato (con successo) al Festival di Cannes, Sicilian Ghost Story è la seconda prova cinematografica dei registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza. Una pellicola bella e brutale, a tratti, come un pugno nello stomaco. La Storia recente di una terra arsa ed innaffiata di tragedia come la Sicilia, viene filtrata attraverso gli occhi di una ragazza di tredici anni (la strepitosa Julia Jedlikowska), che immagina, o forse percepisce, un mondo oltre la nostra realtà, dove la violenza di tutti i giorni viene ammantata di magia. Più che nel cinema italiano di genere mafioso, la regia prende spunto dal cinema surrealista spagnolo, che ha in varie epoche raccontato la guerra e la dittatura franchista (a partire da Fernando Arrabal, per approdare al recente Guillermo del Toro). Al contempo, mantiene le radici affondate nella propria terra, la Sicilia, con la bellezza e le contraddizioni che la distinguono.
L’approccio registico è tipico delle storie di fantasia, o di fantasmi: ampie riprese dal basso, importante contributo dei suoni ambientali. Ci sono i ruoli da favola dei protagonisti, a partire dal bel cavaliere (che cavalca, appunto), alla spalla (lo scudiero?) della protagonista, alla matrigna cattiva (cioè svizzera), fino ai luoghi incantati (il bosco, innanzitutto) dove si svolge l’azione. Ugualmente, il rapporto fra i giovani protagonisti e gli animali, che sono allo stesso tempo guida e presagio e marcano il limitare, mai definito, fra la realtà e ciò che sta oltre, visibile solo ad alcuni. E poi ci sono i fantasmi. Ma chi sono questi fantasmi? Nel titolo, infatti, risiede la domanda che attraversa tutto il film. Ci sono i fantasmi da romanzo fantastico, come farebbe supporre il finale, che incarna la parte più brutale ma al contempo più onirica del film. Si comportano, però, da “fantasmi” anche tutti gli adulti, invisibili, inconsistenti ed incapaci di agire, che non vengono scossi da nessuno degli atti di ribellione della protagonista. Ed infine ci sono i mafiosi, che si muovono irriconosciuti ed irriconoscibili, come fantasmi, capaci di terrorizzare e di compiere atti immondi.
Nonostante una parte centrale forse eccessivamente lunga, i due registi mantengono altissima sia la tensione che la presa sullo spettatore, in un climax che giunge alla inevitabile, quando brutale, parte finale. Difficile rimanere distaccati, colpiti così violentemente dalle scene che non vogliono nascondere nulla (forse anche troppo), pur non scadendo mai nel macabro o nell’indulgente, forse rendendolo non del tutto adatto ai palati più deboli.
Voto: 8