Sex Education | un altro quasi-bingo per Netflix e la Gran Bretagna
Anno: 2019 – in produzione | Numero di episodi: 8 | Durata: 47-53 minuti (episodio)
Ogni tanto, in un mare di obbrobri, Netflix crea qualcosa di interessante; magari non un capolavoro ma comunque un prodotto migliore del pattume che sforna costantemente e di cui noi siamo ben felici di accontentarci.
Vuoi per coincidenza, vuoi per una strana abilità, capita quasi sempre con teen-drama e/o storie che hanno come protagonisti ragazzini in fase adolescenziale: 13 Reasons Why (la prima stagione), The End of the F***ing World, American Vandal.
E successo anche stavolta – di nuovo in Gran Bretagna – con Sex Education.
Sex Education ci porta in un liceo di un’Inghilterra piena di contraddizioni: rurale ma benestante, coloratissima ma conservatrice, ci sono scorci che rimandano ad Arancia Meccanica e altri ad Harry Potter (perché, la casa del protagonista non vi ricorda La Tana?). Qui due ragazzi, l’inetto Otis Milburn e l’emarginata Maeve Wiley, imbastiscono una sorta di ufficio consulenze (sullo stile di Lucy van Pelt: Psychiatric help 5 ¢ – the doctor is in) per aiutare – e guadagnare – sulle difficoltá dei loro compagni. Circondati da una pletora di casi umani (meravigliosa la ninfomane semi-sociopatica che disegna la sua vita sotto forma di fumetto erotico) i due avranno modo di affrontare i propri demoni e abbracciare il disagio come unico legittimo modus vivendi durante la propria crescita.
Sarà che guardare nostalgicamente ad un passato prossimo da cui scalpitavano tanto per uscire ma che in fondo già gli manca è lo sport nazionale degli albionici, ma in effetti gli inglesi sanno parlare piuttosto bene dell’adolescenza: Skins (2007-2013), Misfits (2009-2013), il sopracitato The End of the F***ing World…a pensarci bene anche Harry Potter può rientrare nella categoria.
A differenza quindi di quello che il nome potrebbe suggerire, Sex Education non è una serie sul sesso. È una serie sull’adolescenza e sui problemi che essa comporta, incluso ovviamente il sesso – inteso in senso lato e non come mero accoppiamento. Al centro della storia restano le dinamiche tra i protagonisti di cui il sesso è magari il motore, quello che spinge i ragazzi (e non solo loro) ad agire ma, a differenza ad esempio di quanto succede in Big Mouth, non diventa mai protagonista.
Grande plauso va perciò ad Asa Butterfield (che c’ho messo circa 7 puntate e mezzo per capire che non era Alex Lawther – quello di The End of the F***ing World appunto) e Emma Mackey (la sosia british e vagamente trash di Margot Robbie) che reggono lo show e, pur indugiando forse un po’ troppo nel cliché dello sfigato introverso o della bad-girl, riescono comunque a risultare credibili. Considerando che il teen-drama è un genere archetipico e che tutti gli archetipi rischiano sempre di diventare stereotipi, su questo fronte Sex Education se la cava meglio di molte serie sorelle (si 13, ce l’ho con te) e i vari personaggi non sono quasi mai delle macchiette prive di spessore.
Purtroppo però non sono tutte rose e fiori: l’ultima puntata e mezzo sceglie la via della comodità e tutto ciò che di banale o prevedibile poteva accadere, accade: chi doveva maturare matura, chi non doveva farlo non lo fa, le epifanie che dovevano arrivare arrivano.
Peccato. Sarebbe stato bello se, come successe appunto con Skins, si fosse riuscito a parlare di adolescenza senza far trapelare il messaggio che l’unica alternativa al dramma sia il lieto fine, soffermandosi invece su come questa meriti di essere vissuta nonostante le sue tragicità e difficoltà, che ne sono parte integrante e che devono essere superate ma non necessariamente ricompensate da finali pseudo-consolatori.