Sixto Rodriguez | Searching for Sugar Man
Potrei scrivere un incipit brillante e a effetto, raccontandovi che Sixto Diaz Rodriguez era, negli anni ’70, una promessa del folk americano dello spessore di Bob Dylan. Meno conosciuto, o meglio, più ispanico o semplicemente più sfortunato, è stato amato solo in quelle periferie del nostro immaginario che sono Australia e Nuova Zelanda, per essere investito nel ruolo di profeta in Sud Africa, dove i suoi testi contro l’establishment hanno fatto da sottofondo alla lotta all’apartheid.
Potrei anche raccontarvi che Rodriguez ha fatto il manovale e il magazziniere, senza riuscire, per tutta una vita, a imboccare i sentieri battuti che conducono a fama e gloria i cantautori americani. Rodriguez è diventato la voce della lotta contro l’establishment rimanendo ignaro di tutto, a scolarsi casse di birra in serate dimenticate da Dio.
Preferisco raccontarvi del grumo di dolore, incastrato all’altezza del diaframma, che avvelena i sognatori.
Un veleno dolce e roco, dal sapore oppiaceo di morfina e fantasie, perché questo è il cuore pulsante che muove e corrode i testi della colonna sonora di Searching for Sugar Man, il documentario del 2012, girato da Malik Bendjelloul e incentrato sulla ricerca del pubblico sudafricano per il suo profeta anonimo.
Un dolore gratuito, nato da chissà dove, che non vuole nulla ma semplicemente fa sudare chi, da sempre e per sempre, vuole libertà. I sognatori nomadi, gli indipendenti liberi e le voci scomode hanno una personale metabolizzazione del male che si prova nell’osservare un mondo incentrato su consumo e spreco. Di amore. Di grazia. Di buoni sentimenti.
Il mio cuore (e quello di Rodriguez) è diventato davvero una squallida camera di albergo stipata di sesso e mordi e fuggi, di distanze e silenzi incolmabili, di cose ed esperienze ammucchiate e ammassate mentre ci ripetevamo che comunque tutto sarebbe andato bene e che saremo abbastanza forti, per questo e per tutto. E nonostante tutto, nonostante la stupidità del mondo, nonostante le casalinghe annoiate, la spazzatura ammucchiata agli angoli delle strade, le ragazze trofeo e la tredicesima, il rincaro del riscaldamento e l’establishment blues, noi andiamo avanti e continuiamo a sperare.
Testi come Cause e Crucify your mind hanno la stessa lucidità di Grace di Jeff Buckley, ma hanno anche un’amarezza più polemica che mistica. Se in Grace la sensibilità si ripiega sulle sue ferite e le lenisce con più di un bicchiere di vino, Rodriguez riempie i suoi testi di ironia e lucidità. Se Grace è l’album della crisi adolescenziale (almeno la mia, affogata in Liliac Wine e negli Smith) brani come Searching for Sugarman danno voce a chi ha guardato fino in fondo nel pozzo della propria sensualità, dei propri peccati –“corruzione” e “cattive intenzioni” come concetti estremamente old fashioned- uscendone stanco e scettico, ma non abbattuto. Faticosamente e giorno per giorno impariamo a venire a patti con i nostri insaziabili e scimmieschi appetiti.
I testi di Rodriguez fanno pensare che nonostante tutto il dolore e la fatica che ciò che è brutto abbandona nella risacca dei cuori sensibili, c’è quella piccola parte, quella spiaggia pulita o quell’atollo vergine che si salverà dall’orrore del mondo. Dove saremo noi stessi, liberi e finalmente pacificati e al riparo da noi.
Rodriguez si interroga sulle esperienze e sulle vite che girano e sulla piccolezza che ci circonda in brani estremamente ricchi e al contempo caratterizzati da tre semplici accordi di chitarra classica.
Album | Searching for Sugar Man
Artista | Rodriguez
Etichetta | Light in the Attic / Legacy records
Anno | 2012
Durata | 51:03