Se questo e’ un hipster
Norman Mailer e "The White Negro – la solitudine dell’hipster"
Di cosa parliamo quando parliamo di hipster?
Andiamo per libera associazione: alternativo; musica indie; Chet Faker – che, tra le altre cose, ora figura come Nick Murphy; barba; Shoreditch; vegetariano; e via dicendo – segue pratico riassunto grafico:
C’è chi riconoscerà nell’immagine un collega, un amico o, perché no, sé stesso. Eppure, in questo gioco associativo, resta un’importante questione aperta: qual è l’origine di questa mitica creatura urbana?
Volete saperlo? Ecco una lettura per voi: “The White Negro – la solitudine dell’hipster”; un breve saggio di fine anni ’50 – ebbene sì, l’hipster non è un figlio degli anni zero – scritto da un gigante della letteratura americana come Norman Mailer. Per inciso, l’autore ha vinto 2 Pulitzer, ha anche accoltellato la seconda moglie, è stato bevitore agonistico, padre di 9 figli, e persino improbabile candidato sindaco di New York.
Insomma, con un curriculum così, possiamo dargli credito quando parla di anticonformismo!
Mailer ritrae l’hipster come l’esistenzialista americano, un uomo che dopo la seconda guerra mondiale convive con “la minaccia di una morte istantanea per guerra atomica”, immerso in una costante sensazione di annichilimento, paranoia e paura. Peggio ancora, attribuisce la paternità di questa condizione alla propria società, indirizzando ad essa il proprio, forte, dissenso e la sua ribellione.
Il suo nemico giurato? Lo square, ovvero il “quadrato” conformista, spersonalizzato ed imprigionato nella società totalitaria americana dell’epoca.
Il suo modello? L’uomo di colore, per il quale l’anticonformismo è una scelta obbligata della società sua nemica. Il nero americano è un perseguitato storico, capace però di resistere alla minaccia sociale vivendo una vita ai margini, violenta, talvolta criminale.
L’hipster mutua dall’American negro il carattere violento di chi lotta per la sopravvivenza cercando conseguentemente di esacerbare i propri istinti naturali e primitivi, cercando sé stesso in esperienze fisiche e psichiche/psicotiche borderline. Non è un caso che la marijuana sia stata definita l’anello di fidanzamento tra la cultura “nera” e quella bianca hipster. Allo stesso modo, la sfera sessuale non poteva non essere un’altra area di ricerca della propria quidditas. E infine il jazz, che con il suo linguaggio destrutturato, l’improvvisazione, la fisicità della performance è un altro must per l’hipster in fasce.
FERMI TUTTI!
Ma non si parla mai di camicie a scacchi?
E un capitolo sulla cura della barba?
Niente. Dei simboli dell’hipster contemporaneo nemmeno l’ombra.
L’archetipo maileriano sembra aver progressivamente perso quel peculiare vitalismo anarchico; si è ammorbidito trovando comodo rifugio in una nicchia di società.
Nei decenni, la paura della Bomba è svanita – anche se un’occhiata occasionale alla Corea del Nord è bene pur darla – e la società ha dismesso i panni di un totalitarismo conformante per vestire quelli di una democrazia che incoraggia diversità e originalità. Come gli Indiani d’America, gli hipster sono stati privati del proprio “territorio” culturale, trovandosi nella curiosa condizione di “rivoluzionari in cerca di nemico”, parafrasando Pirandello. Non trovandolo, l’hipster abbandona la violenza dell’East Village non rifiutandone però l’estetica e conservando un marcato individualismo.
Il rigetto della società evapora nel momento in cui essa non perseguita più gli hip, ma li ingloba nella classe media, quella creative class che chiama il loro anticonformismo “out-of-the-box thinking”. L’esistenzialistica ricerca di identità si sposta dalle esperienze borderline al meno rischioso acquisto di prodotti simbolici con i quali tale identità può essere assemblata – ammettiamolo, nessuno mangerebbe seitan se non avesse un valore simbolico, diffidate di chi afferma che abbia un buon sapore! Derivati della soia a parte, il nocciolo della questione è il totale cambio di paradigma dall’escluso all’esclusivo: habemus hipster-consumatore.
Il risultato è sostanzialmente un viveur vestito da bohémien.
In pochi decenni, la mutazione della nostra creatura post-romantica da quadro notturno di periferia è completa. Ammiratela nella prossima immagine:
Dopo questa veloce panoramica da Mailer agli anni 2000, ora, posso anche smetterla di essere così severo con gli hipster, rischierei di perdere lettori!
…e, per onestà intellettuale, devo anche confessarvi che, mentre scrivevo questo pezzo sul mio MacBook, stavo lì a lisciarmi la barba rigorosamente finto-incolta.
Lo scopo non è aprire una questione sociale del resto, bensì (provare a) parlare di letteratura ed in questo campo Mailer si fa largo come fine analista e conoscitore della società americana del suo tempo. “The White Negro” è infatti un breve ma notevole ritratto sociale, essenziale per capire un’epoca ma altrettanto utile per capire l’oggi (o se non altro per rifletterci su). Alla peggio, potete sempre citare il libro all’ora dell’aperitivo – accompagnandolo ad un bianco bio o ad una birra artigianale – la citazione colta è dannatamente hipster!