Maura, Somoria e gli scimpanzé | Racconto di tre mesi in Guinea

Maura, Somoria e gli scimpanzé | Racconto di tre mesi in Guinea

“Quando ero alle medie, tra i dodici e i tredici anni, conobbi la storia di Jane Goodal e questa donna mi colpì così tanto che mi feci regalare dai miei genitori il suo libro. Una volta arrivata alla fine, avevo già deciso cosa avrei fatto nella mia vita”

Inizia così il racconto di Maura Misia Galli, 21 anni, cremonese, interessata di etologia e con alle spalle già diverse esperienze di volontariato in ambito naturalistico, dal Centro tutela fauna esotica e selvatica del Monte Adone a due fattorie autosufficienti, una in Francia e una a Bedonia, fino all’attuale lavoro presso un centro di attività assistita con asini.

Da tempo leggo i suoi racconti di una recente esperienza in Guinea, nel Centre de Conservation pour Chimpanzes – CCC,  vedo foto di piccoli scimpanzé accompagnati nella foresta da lei e altri volontari. Mi sono sempre domandata come e perché fosse capitata laggiù.

Oggi mi racconta la storia di quei tre mesi di vita con gli scimpanzé sulla riva del Niger.

Per tutti gli anni delle superiori mi sono documentata e informata sulle grandi scimmie e in quarta superiore ho iniziato a capire che avevo bisogno di un primo contatto con quegli animali, fino ad allora visti solo tramite foto, video e racconti. Per me era diventato fondamentale capire se era questa la specie a cui volevo realmente dedicarmi.

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scimpanze 14 anni

Mata (14 anni) si dondola su un albero all’interno di uno dei grandi recinti per gli adulti

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Maura mi racconta della delusione alla scoperta di dover aspettare i vent’anni per intraprendere il viaggio nel centro in Guinea, da lei scelto dopo anni di ricerche. Poi finalmente, la partenza per i tre mesi di volontariato a Somoria, nel Parc National du Haut Niger.

Tre mesi sono un periodo difficile da descrivere. Poteva sembrare tanto prima di partire, soprattutto perché sapevo fin da subito che sarei stata distante fisicamente e non avrei avuto possibilità di comunicare a casa.
Dopo uno scalo a Parigi sono atterrata nella capitale, Conakry. Da lì ho preso il TaxiBrousse per 15 ore fino a Faranah, la città dove ho fatto il primo vero incontro con quel nuovo mondo e con le persone legate al Centro di conservazione per gli scimpanzé.
Da Faranah sono servite altre cinque ore di viaggio su strada sterrata, in questo percorso ci sono undici villaggi di cui l’ultimo dista un’ora e mezza dal centro, che si trova isolato in un luogo incontaminato nella foresta, all’interno di un parco nazionale.

Il luogo chiamato Somoria non è altro che l’insieme dei villaggi dei volontari e dei lavoratori locali. Nel Centro ci sono 64 scimpanzé divisi per età: i piccoli (più o meno il nostro asilo-elementari), poi il gruppo dei più grandi (fine elementari-medie) e infine gli adulti, individui di età molto diverse che a quel punto imparano a vivere all’interno di un gruppo di soli conspecifici.

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La faccenda degli scimpanzé divisi per classi scolastiche mi apre un mondo. Mentre nella mia mente inizia a crearsi una geografia immaginaria del Centro di Somoria, Maura mi aiuta a capire da dove arrivino questi scimpanzé e come siano finiti lì.

Il Centro, chiamato “Santuario”, come molti altri in Africa, ha lo scopo di raccogliere le vittime del commercio illegale. Gli scimpanzé che arrivano sono stati recuperati mentre stavano per essere venduti al mercato nero come animali da compagnia o perché qualcuno li deteneva come tali. Molto spesso i bracconieri fanno delle battute di caccia nel tentativo di recuperare un piccolo e può succedere che una decina di individui vengano uccisi perché gli scimpanzé vivono in una struttura sociale molto complessa, sono delle vere e proprie famiglie e come tali proteggono i propri componenti, a maggior ragione se sono piccoli.

Lo scimpanzé piccolo può essere erroneamente ritenuto un animale da compagnia ma in realtà già verso i cinque anni ha più forza fisica di un uomo. Crescendo, spesso gli individui vengono rinchiusi in gabbie o liberati, ma essendo cresciuti con l’uomo non sono più in grado di ritrovare la via selvatica.

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gruppo di scimpanze adolescenti
Alimou, keeper guineano, con il gruppo degli adolescenti: Missy, Adi, Sierra e Ali

Gli scimpanzé del Santuario sono tutti orfani e non sono quindi in grado di badare a loro stessi.
In natura sono dipendenti dalla madre fino ai quattro, cinque anni d’età, e vivono a stretto contatto con questa fino agli otto, nove anni. Il Centro cerca, per quanto possibile, di sostituire il ruolo della madre, quindi quando un cucciolo arriva, dopo un periodo di quarantena, viene inserito nel gruppo dei più piccoli per i quali vengono organizzate attività specifiche che consistono in escursioni nella foresta.

Queste escursioni avvengono un po’ portando i piccoli in braccio, un po’ facendoli camminare.
Arrivati nelle radure li si lascia liberi di salire sugli alberi in modo che acquisiscano le capacità di muoversi in natura.
La stessa cosa viene fatta con il gruppo degli adolescenti, più difficili da gestire perché iniziano ad avere un atteggiamento da bulli… Dopo una certa età queste escursioni si devono interrompere perché diventa complicato per i lavoratori del posto gestire gli scimpanzé che, sfidandone l’autorità, possono avere atteggiamenti aggressivi. A quel punto vengono integrati in un gruppo di adulti e si hanno contatti con loro solo attraverso i fili dei recinti che circondano tutto il centro.

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Più volte ricorre nel racconto di Maura la citazione di questi recinti che mi lascia inizialmente perplessa. Ma quindi, per questi scimpanzé, non è prevista la liberazione?

L’espressione recinto forse non rende l’idea perché sono spazi molto grandi in cui gli scimpanzé sono liberi. Il Centro di Somoria è il secondo e ultimo santuario ad essere riuscito a rilasciare alcuni individui.
Anch’io pensavo che il rilascio in natura fosse banale, come avevo visto con altre specie sul monte Adone.
Con lo scimpanzé è molto complicato, innanzitutto non può essere liberato da solo ma all’interno di un gruppo e quindi occorre di base un gruppo che funzioni, e già questo non è semplice.
Serve inoltre una zona per il rilascio che abbia abbondanza cibo, in cui siano presenti scimpanzé selvatici ma non troppi in modo da non creare conflitti e in cui non ci siano troppi babbuini che risultano essere una minaccia per gli scimpanzé.




Dev’essere un posto dove non c’è l’uomo, cosa impossibile. Avevano trovato un posto con queste caratteristiche ed è stato liberato un gruppo a qualche decina di chilometri da Somoria. È andata bene, alcune femmine sono migrate in altri gruppi, altre hanno avuto dei piccoli, ma rimane comunque un mezzo successo perché quando il fiume Niger si abbassa e si può attraversare, gli scimpanzé sulla sponda opposta trovano un villaggio di uomini.
E diventa pericoloso perché essendo cresciuti con l’uomo sanno che dove c’è l’uomo, c’è cibo. È quindi necessario, in questi giorni riportarli nei recinti. In questi momenti si prova però a integrare nel gruppo nuovi individui, come è successo quest’anno con due esemplari.

Il progetto di rilascio è ancora in fase sperimentale, per questo gli spostamenti degli scimpanzé vengono quotidianamente monitorati a distanza, grazie a dei collari.

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Perse in questi appassionanti racconti sulla vita e le complicanze del mondo animale passano quasi due ore al termine delle quali mi accorgo che Maura ancora non mi ha raccontato di come sia stato, alla fine, quel primo incontro con gli scimpanzé.

Quando ho potuto finalmente toccarli ho pensato “sono veri!”.
È stato veramente emozionante, anche la sensazione profonda di guardarli negli occhi, questo credo mi rimarrà per sempre. Alcuni avevano uno sguardo così profondo e penetrante che non riuscivi quasi a sostenerlo, sembrava volessero leggere tutte le cose più intime che avevi dentro.

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scimpanze 2 anni
Simon (2 anni e mezzo) durante una delle quotidiane escursioni nella foresta

È incredibile avere a che fare con loro perché ti riconosci. È interessantissimo imparare a parlare la loro lingua e a giocare con loro, anche se devo dire che alla fine è stato molto spontaneo perché c’era una certa corrispondenza di emozioni.
Sono animali più impulsivi di noi, si fanno prendere da un’emozione che è una vampata fortissima e due secondi dopo è già passata. C’è una complessità incredibile all’interno di un singolo individuo ed è bellissimo quando si inizia a conoscerne uno.
Per questo alla fine dei tre mesi io volevo rimanere, tre mesi sono pochi. Tuttora spero di riuscire a tornare con un progetto apposito per gli scimpanzé isolati per ragioni di salute o di comportamento o per ferite che si sono procurati. Sono animali con cui noi volontari dovevamo avere un contatto diretto durante la nostra permanenza.

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Chiedo infine a Maura di raccontarmi della natura guineana, delle persone con cui ha condiviso l’esperienza a Somoria.

Eravamo circa 10 volontari, quasi tutti francesi, erano presenti inoltre i lavoratori locali e i manager che si occupano della gestione del Centro. Mi sono trovata subito benissimo perché eravamo veramente immersi nella natura, con il Niger a due passi che non pensavo di poter vivere così tanto, un fiume con cui ora io sento di avere un legame.
Era un tipo di vita davvero essenziale, una cosa di cui io avevo proprio bisogno. Ho scoperto, una volta arrivata, che uno dei lavoratori locali aveva tra le mansioni l’incarico di farci da cuoco, ci cucinava solitamente riso con varie salse preparate da lui. Con il tempo è diventato uno dei miei più cari amici e devo dire che le amicizie che ho stretto in Guinea sono la sorpresa più grande che mi sono portata a casa. Immaginavo che gli scimpanzé avrebbero preso tutto il mio tempo ma non immaginavo che mi sarei portata a casa un bagaglio umano di questo tipo.

C’è voluto del tempo perché io mi aprissi e lasciassi da parte alcuni pregiudizi che avevo, ad esempio riguardo alla religione e alla spiritualità, essendo io non credente. L’esperienza mi ha aperta alla possibilità che ci siano altri modi di vedere le cose, altri modi di pensare alla propria esistenza. Vedere tutta questa diversità che non avevo neanche concepito mi ha veramente rivoluzionata e mi ha permesso di costruire dei legami completamente diversi da quelli che ho qua, fondati su altre basi.

Una volta tornata mi è mancata spesso la presenza di grandi alberi, sono diversi gli alberi della foresta, sono maestosi. E il caldo, sono tornata e qui era inverno. Mi è mancata l’aria aperta, là quasi non c’erano spazi chiusi a parte la mia stanza. La cucina era all’aperto, si mangiava in uno spazio comune che era una capanna, si faceva la doccia all’aperto con il secchio. Percepisci il tuo corpo in modo diverso perché sei molto più a contatto con il mondo esterno, ancora ricordo il sapore del cibo cotto sul fuoco…

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Potete trovare foto e racconti di questa esperienza nell’account instagram Makourasise ispirato al soprannome in malinké di Maura.

“Makoura” è infatti il nome locale con cui per assonanza Maura è stata chiamata fin da subito a Somoria. “Sisè” è invece la traduzione in malinké del cognome Galli, e significa “polli”.

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