Sapiens – L’uomo raccontato da Harari
In Sapiens, Harari propone una visione d'insieme della storia umana, identificando i trend secolari che ne guidano il corso. Un campo lungo sul passato per ampliare il nostro sguardo sul presente e sul futuro.
E se vi dicessero che la rivoluzione agricola è una fregatura?
Esatto, quella avvenuta nel neolitico che ha dato un taglio al nomadismo per farci stanziare felici e pasciuti intorno a preistorici campi di grano. Proprio lei: una colossale fregatura!
Ma vaaaaa, che assurdità! E chi lo ha detto? Un terrapiattista che segue la paleo diet?
Ehm… Non proprio… Si chiama Yuval Noah Harari, PhD in Storia ad Oxford, probabilmente uno dei divulgatori più noti degli ultimi anni (solo Sapiens ha venduto oltre 5.000.000 di copie).
Riconsiderare l’impatto della rivoluzione agricola è solo uno dei numerosi spunti che troviamo in “Sapiens – Da animali a dèi”. Pensiamoci un attimo: rispetto ad un’economia di raccolta l’agricoltura è vincolante in termini spaziali (devi stanziarti in prossimità della coltivazione) e temporali (devi sottostare ai cicli biologici di ciò che coltivi); una dieta monocoltura è poverissima di macro-nutrienti rispetto ad una dieta onnivora, il che, ad esempio, ti rende più debole a livello immunitario.
Una plausibile quanto paradossale conclusione è che, da un punto di vista genetico (ovvero di diffusione della specie), ci abbia guadagnato di più il paleo-grano a farsi addomesticare piuttosto che l’uomo ad addomesticarlo.
Naturalmente non è mai tutto bianco o nero quando si parla di storia, ma questo breve esempio basta per farci udire il sinistro scricchiolio dell’edificio culturale che lega storia e progresso.
Dell’ars scricchiolandi Harari è un vero maestro: come a Jenga, smonta e rimonta qua e là pezzetti di storia, fino a mostrarne la sola struttura portante, evitando però la conclusione facilona che la torre sia destinata a crollare. Ciò non significa che quest’ultima non sia una possibilità concreta, tutt’altro; sta tuttavia al Sapiens decidere “dove andiamo?” e l’unico modo per evitare scelte suicide è capire “da dove veniamo?” e “chi siamo?”. In tal senso, Sapiens è una lettura fondamentale.
“Circa 70.000 anni fa Homo Sapiens era ancora un animale insignificante che si faceva i fatti propri in un angolo dell’Africa. Nei successivi millenni si trasformò nel signore dell’intero pianeta e nel terrore dell’ecosistema. Oggi è sul punto di diventare un dio, pronto ad acquisire non solo l’eterna giovinezza, ma anche le capacità divine di creare o distruggere.”
Ma è dalle elementari che studio ‘sta benedetta storia, perché dovrei accollarmi altre 500 pagine di libro? Oltre al validissimo argomento “ne parlavano su SALT”, la ragione principale è di natura prospettica: quello di Harari è un campo lungo, lunghissimo, della storia umana, tale da palesare quei macro-trend che è facile perdersi se l’attenzione è posta sull’aneddoto o sulla data esatta di una decapitazione illustre.
La storia oggi è scandita da tempi televisivi, cronaca e politica si giocano nell’istante, l’eterno presente rende oscuri ed incerti anche i piani per il prossimo weekend. Ma se il nostro orizzonte temporale si accorcia, quello della Storia continua a misurarsi in secoli, millenni. Ed è nella longue durée che Harari coglie l’unicità del Sapiens, unica specie capace di autonarrativa e “pettegolezzo”, base su cui si fondano un linguaggio e un “ordine immaginario condiviso” (leggi, convenzioni, culture), condizioni essenziali per cooperare in grandi gruppi.
Nei millenni, questa cooperazione ha mostrato tre principali direttrici: ordine imperiale, ordine monetario e ordine religioso. Non solo Dio non è morto, ma si lega a filo doppio con il capitalismo e l’estensione di scala del potere.
Il capitalismo crea il concetto di crescita, quindi di futuro, entrambi estranei all’economia pre-moderna. Ciò richiede sviluppo, tecnica, che a sua volta nasce dalla consapevolezza di di essere ignoranti, un passo avanti non da poco rispetto alle società teocratiche che avevano nascosto l’ignoranza dietro la formula “se bisogna saperlo, è nel testo sacro – se non è nel testo sacro, non bisogna saperlo”. Inutile dire che sviluppo e tecnica possono leggersi benissimo come “conquista” o imperialismo.
Le direttrici storiche si intersecano in rivoluzioni agricole, industriali, cognitive, sociali, e di nuovo Harari ci regala pagine da leggere avidamente, in cui lenti storiche, economicistiche ed antropologiche si sovrappongono in una visione caleidoscopica sull’evoluzione di Homo Sapiens.
Vi gira la testa? Vorrei vedere voi condensare qualche buon millennio in un paio di righe!
Certo, Harari ha più spazio di me a disposizione, ma ne fa un uso eccellente, impaginando un discorso sulla storia che impressiona per sintesi, densità e coerenza, 100% emicrania-free.
Non da ultimo, il ragazzo si lascia leggere molto bene, questione per me assai delicata, dato che aborro il “saggio che si legge come un romanzo”. No! È un dannato saggio, e si deve leggere come un saggio!
Ebbene, Sapiens si legge come un saggio, ma senza farvi crashare i neuroni coprendovi di numeri o farvi dilatare le pupille con massimi sistemi allucinogeni (un possibile effetto collaterale de “L’innominabile attuale”). Sapiens espone teorie storiche con chiarezza, declinandole, qualora servisse, in esempi concreti; pone interrogativi e dà risposte, mostra talvolta l’ironia o il pessimismo dell’autore, mai stonando rispetto al contesto. È un libro non pesante, ma solido.
Lascio frasi tipo “la Storia come non l’avete mai letta” alla quarta di copertina di un editor di dubbia competenza. La Storia di Harari è la storia dei “driver” secolari che ne guidano il corso, tutti indissolubilmente collegati a questa specie unica che è il Sapiens; un’interessantissima “visione d’insieme” del passato per ampliare il nostro sguardo sul presente e sul futuro…
…o comunque un modo elegantissimo per cavarsi d’impiccio se, come il sottoscritto, faticate a ricordarvi pure la vostra data di nascita.