Santa Severa, Pyrgi e la pace
La senti salire da sotto, l’estate, mentre cammini in un pomeriggio di fine Aprile lungo il marciapiede che costeggia la spiaggia di Santa Severa. Sale dall’odore acre del legno verniciato e solleticato dal sole. Quel misto di chimica e salsedine che hanno riposato tutto l’inverno. Hanno aspettato. Hanno covato sotto la mareggiata. La senti accarezzando le schegge dei tronchi divelti dalle piene e accompagnati sul lungomare in un giorno di scirocco.
La senti all’ombra, che fa ancora freddo, e percepisci la precarietà di quell’aria frizzante cui invano anelerai tra qualche settimana. La senti nella crema solare dei primi coraggiosi, nelle prove generali, nell’odore di frittura e guazzetto che esce dalle finestre aperte delle cucine di un ristorante qualsiasi. La senti nella sabbia che si infila nelle scarpe. Nelle conchiglie che ancora abbondano sotto l’onda che si infrange. Nel sole che ti fa male agli occhi, riflesso sulle pagine bianche dell’unico libro che ti sei portato saltando su un treno all’improvviso, lasciandoti dietro le spalle una Roma silenziosa e deserta in un pomeriggio di derby. La quiete prima di una tempesta di traffico ed esultanze.
Santa Severa è forse uno dei luoghi più suggestivi e inattesi del litorale laziale. Mar Tirreno. Roma nord, geograficamente ed etnicamente parlando. Che solo chi vive nella capitale ha imparato a fare i conti con la distinzione. Alla stazione ci sono un asino che raglia in un campo, una casa e una distesa di papaveri e di quei fiori gialli che ogni anno ti dimentichi come si chiamano, ma hai deciso di smettere di litigare con Google. Se li segui con lo sguardo arrivi fino alle colline che hai appena attraversato.
Il castello è proprio in fondo alla stradina che parte da lì. Poche centinaia di metri a piedi, seguendo sparuti gruppetti di persone previdenti armate di cestino da picnic. Già, perché loro lo sanno che all’Isola del Pescatore, uno dei tuoi ristoranti preferiti e che sta proprio su quella spiaggia, se non prenoti non ci metti proprio piede. Ma tant’è che ci vai comunque a farti dire di no quando chiedi un tavolo per uno alle 2 della domenica in cui sei andato a fare pace con te, con Roma e con tutti. Almeno son gentili.
Il castello, appunto. Sorge sul sito di Pyrgi, la città portuale di quella che oggi è Cerveteri. Datazione etrusca e successiva romanizzazione (ovviamente) che l’hanno trasformata in un castrum. Mura possenti su tutti i lati. Una porta ad arco che mette in soggezione. Prima di entrare ti avventuri nella stradina sabbiosa sulla destra. Circonda tutta la struttura e attraversa quel piccolo lembo di terra che la separa dal mare. Un muro di 15 metri dietro, una distesa infinita d’acqua davanti. Prigione speciale.
Recentemente il Castello è diventato parte di un polo museale che include l’Antiquarium di Pyrgi, il Museo del Mare e della Navigazione Antica, il Museo del Territorio Manica Lunga e, appunto, il Museo del Castello di Santa Severa. Sono visitabili tutti i giorni e – udite udite – i biglietti si possono acquistare anche online: http://www.castellodisantasevera.it/
Istruzioni per l’uso: portatevi un libro e appoggiatevi al muro o a uno scoglio. Vi accorgerete all’improvviso che state ricominciando a respirare. Quando si fa sera e torni in città, scendi a Roma San Pietro, che Termini la domenica sera è l’anticamera dell’inferno pendolare. Pochi passi e va in scena l’ultimo atto in una piazza svuotata dalle orde dei pellegrini del mattino. Il silenzio è interrotto solo dai gabbiani in un inatteso trait-d’union.
“Dona nobis pacem” è la frase più ripetuta in quella piazza. Tant’è…