Samuele Bersani | Giudizi Universali

Samuele Bersani | Giudizi Universali

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Giudizi Universali è tra le canzoni che hanno fatto da sfondo alla mia adolescenza, di quelle cantate con lo slancio fanatico e un po’ alticcio dei sedici diciassette anni sociali e Fluorescent Adolescent e Jack Frusciante è uscito dal gruppo, ma senza la capacità di capirne davvero il messaggio.

Pur percependone delicatezza e  profondità nei momenti di malinconia, i tempi non erano maturi per la consapevolezza di una predisposizione (un richiamo) ai grandi spazi, ai silenzi e al lontano delle autostrade e dei Treni a Vapore di Ivano Fossati.

Giudizi Universali me la fece ascoltare un’amica perché era una canzone che io dovevo per forza ascoltare e in effetti, il “Troppo cerebrale” di Bersani si è depositato nella consistente zona di non interferenza (un personale Iperuranio) insieme a certi libri, ai numeri, agli elementi chimici, al cinema di Virzì e a Transformer.

Giudizi Universali dà voce alla questione irrisolta di tendenza all’astrazione, alla razionalità e alla percezione della libertà come quella di una confortevole, insondabile bolla personale.

Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza complicare il paneCi si spalma sopra un bel giretto di parole vuote ma doppiateMangiati le bolle di sapone intorno al mondo e quando dormo taglia bene l’aquiloneTogli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace
Liberi com’eravamo ieri, dei centimetri di libri sotto I piediPer tirare la maniglia della porta e andare fuoriCome Mastroianni anni faCome la voce guida la pubblicitàCi sono stati dei momenti intensi ma li ho persi già
Troppo cerebrale per capire che si può star bene senza calpestare il cuoreCi si passa sopra almeno due o tre volte I piedi come sulle aiuoleLeviamo via il tappeto e poi mettiamoci dei pattini per scivolare meglio sopra l’odioTorre di controllo, aiuto, sto finendo l’aria dentro al serbatoio
Potrei ma non voglio fidarmi di teIo non ti conosco e in fondo non c’èIn quello che dici qualcosa che pensiSei solo la copia di mille riassuntiLeggera, leggera si bagna la fiammaRimane la cera e non ci sei più
Vuoti di memoria, non c’è posto per tenere insieme tutte le puntate di una storiaPiccolissimo particolare, ti ho perduto senza cattiveriaMangiati le bolle di sapone intorno al mondo e quando dormo taglia bene l’aquiloneTogli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace
Libero com’ero stato ieri ho dei centimetri di cielo sotto ai piediAdesso tiro la maniglia della porta e vado fuoriCome Mastroianni anni fa, sono una nuvola, fra poco pioveràE non c’è niente che mi sposta o vento che mi sposterà
Potrei ma non voglio fidarmi di teIo non ti conosco e in fondo non c’èIn quello che dici qualcosa che pensiSei solo la copia di mille riassuntiLeggera, leggera si bagna la fiammaRimane la cera e non ci sei più, non ci sei più, non ci sei e non ci sei
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Liberi com’eravamo ieri dai centimetri di libri sotto i piedi per tirare la maniglia della porta e andare fuori

"La fortuna che abbiamo"

Samuele Bersani torna a ottobre nei teatri con l’album di successi live “La fortuna che abbiamo”, per questo me lo passano alla radio a tradimento. Oggi i testi e le collaborazioni di Bersani fanno pensare più che mai al precariato, a un post Dalla (Anna e Marco, En e Xanax per concludere la quadratura di un cerchio e un ventennio) e all’amore ambiguo per una provincia denuclearizzata a sei eterni km di curve dalla vita, che fa definitivamente perno a una sospiratissima Bologna che potrebbe Milano, come Roma o Firenze e che scorre lungo le ferrovie, dando voce al desiderio di una realtà più grande, una nebbia indistinta e padana di tendenza al traguardo, all’arrivo, alla posizione.

Una certa voglia ostinata di libertà in quell’aerea nuvola inamovibile e da sempre (e per sempre) sul punto di piovere.

Giudizi Universali è una canzone senza tempo di amore irrisolto, una canzone che esprime i pensieri, i silenzi, la tendenza consolidata e domestica a (lasciarsi) scivolare via, a non pretendere spazio.

Richiama quella nostalgia per ipotetici tempi più spontanei e tutta la vivisezione sentimentalmente scettica del Chimico di De Andrè, così familiare a chi tende a razionalizzare i sentimenti. I libri, i pensieri, la riflessione assumono la connotazione ambigua di rifugio e di ripiegamento su se stessi, in una fuga dalla realtà e dal rischio di un coinvolgimento sentimentale. Un sentimento affrontato con delicatezza che spesso ha spaventato prima ancora di ferire.

Il sogno, la fantasia e il vagheggiare utopico proteggono e isolano certe persone, cullate dagli arpeggi, dal pianoforte e dal bolognese caldo di Bersani.

 

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