Venite, o nubi, piene d’acqua
e cariche di pioggia,
portate il vostro cupo amore
sulla terra.
Venite a baciare le cime dei monti,
a coprire d’ombre i giardini;
con grande frastuono
venite a coprire il cielo.
Geme la foresta
e trema il fiore,
cariche di pianto traboccano
le sponde del fiume.
Venite a riempire il cuore,
venite a spegnere la sete,
venite a rasserenare le pupille,
venite a placare l’animo.
Da “Gitanjali”
Le nubi non impediscono il cammino, anzi, fanno vedere un verde più vivido sulle piante. Liberano le essenze di profumo. Alberi e animali stanno in silenzio a meditare. E’ per questo che Domenica, nonostante il freddo e il grigio del cielo, ci siamo messi in salita verso il Resegone.
La montagna è luogo d’origine. Silenzio primordiale. Salire verso la cima è tornare al grembo, nostos leggendario, e ritrovarsi piccoli. Erri de Luca ha detto: “Che ci faccio in montagna? Più ci vado più mi accorgo di essere scarso. Conoscere non mi incoraggia, anzi mi pesa. L’esperienza accresciuta misura la mia insufficienza.” Gli enormi spazi silenziosi rivelano la nostra insignificanza. La montagna è sempre stata luogo di rivelazione, fin dalle dieci tavole dei comandamenti di Mosè. La paura non è solo quella di perdere la lucidità a causa dell’altezza e del vuoto, o di farsi trascinare giù a valle dalle rocce, ma anche di arrivare a conoscersi troppo in profondità, rivelando al mondo nuove parti di te.
Come salire alla cima della montagna è trovare un amore. Desiderare il contatto fisico, cercare gli occhi dell’altro. Ci riscopriamo bambini, ci ritroviamo piccoli e indifesi. Se è amore, è sempre accompagnato dalla paura, la stessa che ci prende sul sentiero in cresta, di ritrovarsi faccia a faccia con il soffio di spirito che siamo, vicini e saldi dentro un respiro caldo, abbandonati e sospesi in un vuoto vertiginoso. Ma se abbiamo fiducia della montagna, a mettere un passo dopo l’altro, sarà la montagna stessa a portarci in cima.
Potendo troverò una volta ancora
il luogo nel cui grembo è sparso
l’amoroso messaggio d’una remota terra.
I sogni del passato
s’assieperanno ancora
e mormorando una tremula melodia
ricostruiranno il nido.
Rievocando felici memorie
sarà il risveglio dolce;
il flauto che s’è fatto muto
ritroverà la propria melodia.
A mani aperte ella
indugerà sul balcone;
nella buia notte,
lungo il profumato sentiero della Primavera
sarà udita l’orma del Grande Silenzio.
L’Amata della remota terra,
che con l’amore suo ha steso il tappeto,
serberà per sempre il suo messaggio
risonante nelle mie orecchie.
Ella, la cui lingua io ignoravo,
parlava solo con gli occhi –
il suo messaggio risonerà in soave musica
per l’intera eternità.
Da “Ali della morte”