Sakuran, la bellezza di un fiore di ciliegio che prova a sbocciare
– PREMESSA – Questa volta volevo raccontarvi di qualcosa di ancora più ad est del solito e per farlo ho scelto Sakuran: anche se la sua trama non è solitamente considerata tra le più originali, a mio avviso, contiene lo stesso una carica emotiva particolarissima che lo rende unico nel suo genere e adatto al mio intento. Inoltre, mi permette di parlarvi di un film interamente realizzato da donne che parla di donne e in definitiva credo sia perfetto per i gusti particolari di tutti i miei lettori ♡
“Heaven says nothing, and the whole earth grows rich beneath its silent rule. Men, too, are touched by heaven’s virtue; yet, in their greater part, they are creatures of deceit. They are born, it seems, with an emptiness of soul, and must take their qualities wholly from things without. To be born thus empty into this modern age, this mixture of good and ill, and yet steer through life on an honest course to the splendors of success — this is a feat reserved for paragons of our kind, a task beyond the nature of the normal man.” — Ihara Saikaku, Book I, ch. 1.
見るところ花にあらずと云ふことなし、
There is nothing you can see that is not a flower;
思ふところ月にあらずと云ふことなし。
There is nothing you can think that is not the moon. – Matsuo Bashō.
“Sakuran” (さくらん) in giapponese significa “confusione”, ma grazie all’assonanza con la parola – forse la più famosa in occidente – “sakura” viene anche tradotto come “fiore di ciliegio selvaggio”, con un bel gioco di parole che rende molto bene la metafora esistenziale della protagonista.
Basato sulla serie manga di Moyoco Anno (moglie di Hideaki Anno, il creatore di Neon Genesis Evangelion), “Sakuran” racconta la storia di una bambina venduta a un bordello del famoso quartiere a luci rosse Yoshiwara (吉原, “il campo della buona fortuna”) e le sue difficoltà ad accettare la vita come Oiran (花魁, “regina dei fiori”) alla quale è stata destinata.
Le Oiran, ovvero le più famose “donne di piacere” del periodo Edo (1600–1868), erano delle prostitute di lusso, tanto istruite quanto belle, apprezzate a tal punto che alcune di esse divennero delle leggende anche fuori dai quartieri del piacere.
All’interno di questi quartieri era possibile trovare veri e propri “ranghi” di cortigiane e prostitute:
• tayū (徂彿), il rango più alto delle cortigiane;
• kōshi (駟敕), il livello leggermente inferiore a quello delle tayū;
• sancha (豌Ⲕ o anche 樅Ⲕ) e umecha (姜薩Ⲕ o anche 髷Ⲕ), cameriere dei chaya, ma
anche cortigiane di terzo livello;
• tsubone (楡), ordinarie prostitute;
• hashi (ヨ), altro rango di prostitute inferiore alle tsubone;
• kirimise (勉コ達), le prostitute “da mezz’ora”.
Bisogna infatti precisare che per “piacere” si intendevano però tutti i tipi i piaceri, non solo quello sessuale e Yoshiwara stesso divenne in breve tempo il più importante centro culturale dell’intero Giappone. Proprio grazie al “mondo fluttuante”, magico e misterioso che prese vita all’interno di questi luoghi, nacquero le famosissime stampe Ukiyo-e ( appunto “immagine del mondo fluttuante”) di Utamaro, Hokusai e Kunisada e le opere letterarie di Ihara Saikaku.
Sakuran non è però una fedele rievocazione storica del tardo periodo Edo in cui prende vita la vicenda, anzi il film reinterpreta la storia in modo squisitamente attuale e personale. Stilisticamente parlando, potremmo definirlo come la controparte orientale di Maria Antonietta di Sofia Coppola, uscito per altro nello stesso periodo.
Come Maria Antonietta infatti, Sakuran è sì ambientato nel passato, ma è reso assolutamente contemporaneo dalle scelte della regista Mika Ninagawa, che grazie all’utilizzo di musica j-pop, l’uso della lingua corrente e l’attenzione tutta giapponese per la moda ci presenta il periodo Edo come un grande spettacolo visivo stracolmo di sfarzo e colori.
Nel video al minuto 1:06 è possibile osservare il famoso passo “hachimonji“, il complicato modo di camminare inventato dalla leggendaria Katsuyama e utilizzato poi da tutte le cortigiane giapponesi di alto rango.
Anche la scelta della modella Anna Tsuchiya come protagonista, è una scelta anti-convenzionale che segna una rottura con i canoni del passato. Anna infatti, essendo nata da madre giapponese e padre polacco, incarna una bellezza diversa da quella classica che ci si aspetterebbe di trovare in un film ambientato nell’antica Edo.
Ma Kiyoha (uno dei nomi che le vengono dati) – la protagonista di Sakuran – seppur con un volto e un atteggiamento contemporanei, incarna fedelmente lo spirito di una vera Oiran.
Per diventare una tayū, infatti, non era necessario avere soltanto bellezza e talento ma anche e soprattutto una smisurata forza di carattere e tanto orgoglio: il cosiddetto hari (甍三) che rappresentava appunto la forza di volontà a non piegarsi a niente e nessuno al fine di mantenere la propria posizione: di fatto una ragazza molto popolare doveva essere pronta a ricevere su di sé la gelosia di tutte le altre e i rischi e le conseguenze che questo poteva comportare.
“Più una ragazza riceve cose, più le altre la odiano. Visto che tu non piaci a nessuna, è perfetto.”
Del resto, i quartieri del piacere non erano altro che dei grandi “villaggi chiusi” abitati principalmente da donne, le quali dipendevano in tutto e per tutto dai propri clienti e pertanto la rivalità femminile era più che spietata.
Ma nonostante tutte queste difficoltà, vedremo Kiyoha raggiungere l’agognato obiettivo di diventare la stella più luminosa di Yoshiwara, anche se questo non servirà certo a placare il suo desiderio di libertà; infatti, nonostante “Sakuran” possa sembrare la messa in scena di un manga erotico e nulla di più, in realtà fa molte riflessioni sottili sul sistema di classe e affronta il tema della libertà e del coraggio di scegliere a dispetto delle aspettative e restrizioni imposte dalla società.
La società del periodo Edo rappresenta un ottimo esempio della rigidità delle gerarchie sociali giapponesi e le Oiran – considerate da tutti come donne dall’inestimabile valore – ne occupavano un posto invidiabile e molto desiderato. Per esempio, un uomo, per poter passare una notte con una tayū era obbligato a vederla per almeno tre giorni di fila e in caso non fosse gradito poteva sempre essere rifiutato. Inoltre, i clienti più fedeli erano obbligati a trattare la propria Oiran al pari di una moglie e non potevano quindi frequentare nessun altra all’interno del quartiere, nemmeno per una sola notte.
A causa di tutti questi privilegi erano spesso viste come donne libere e potenti ma in realtà pure loro erano progioniere di un mondo solo apparentemente dorato poiché impossibilitate a lasciare le case del té a causa del debito contratto per le spese sostenute per la propria istruzione, le lezioni di danza, le acconciature e gli abiti: proprio come i pesci rossi nelle loro bellissime bocce.
Ma la cosa più preziosa di Sakuran è che, pur svolgendosi in un contesto estremo come quello di un bordello, non dipinge mai le sue protagoniste come vittime sfortunate (nè del fato, nè del patriarcato o delle fantasie erotiche maschili, né di chicchesia) ma le mostra come donne vive e desideranti, piene di sogni, contraddizioni e aspirazioni uguali a quelli di una ragazza del XXI secolo e così facendo lancia un messaggio di emancipazione femminile senza epoca e retorica. Probabilmente ogni tanto lo fa in un modo confusionario, ma resta comunque forte e bello come ogni fiore di ciliegio che prova a sbocciare.
古池や | 蛙飛び込む | 水の音 –
“Breaking the silence Of an ancient pond, A frog jumped into water. A deep resonance.” – Matsuo Bashō, The Narrow Road to the Deep North and Other Travel Sketches (Translation: Nobuyuki Yuasa).
Titolo originale | Sakuran
Anno | 2007
Durata | 111 min
Regia | Mika Ninagawa