Rupi Kaur | milk and honey
trying to convince myself
i am allowed
to take up space
is like writing with
my left hand
when i was born
to use my right
*
Latte. Il primo cibo sulle labbra dell’intera umanità. Foce bianca di vita e rigurgiti. Tutti lì a ciucciare col moccio al naso, presidenti, eroinomani, premi Nobel e prostitute. Da bambini, col Nesquik, da grandi, la mattina distrattamente fissando uno schermo, il clink confortante del cucchiaino che mescola un cappuccino dalla panna afflosciata.
Miele, il nettare degli dei. L’alternativa sana allo zucchero per chi se lo può permettere. Sul muesli la mattina con mirtilli e frutti di bosco. Nel porridge quando a Londra fa freddo e le birre della sera prima pesano come la coscienza ti stesse premendo un tacco dodici in mezzo agli occhi.
Latte e miele. Da bambina, un bicchiere dolce per aiutarmi a dormire. Un cucchiaino bollente, in gola, per curare le ferite dell’inverno. Con cannella e zenzero, da grande, per consolarmi nelle sere di silenzio, di film già visti, di coperte fin sopra gli occhi per proteggersi dai mostri.
Una raccolta di poesie, un involucro di fragilità e coraggio: milk and honey. Un’immigrata indiana di seconda generazione, cosidetta Instagram poet, una donna, un’artista, una performer, una piccola ape rivoluzionaria dai lunghi capelli neri, con un nome che Nabokov ci avrebbe scritto infinite pagine estatiche – Rupi.
Rupi Kaur. Che potete seguire qui.
Mi sono imbattuta virtualmente in lei per un episodio che ha poco e molto a che fare con la sua poesia: qualche anno fa aveva pubblicato sul suo profilo Instagram una foto di sé stessa, dando la schiena all’obiettivo, i pantaloni macchiati di sangue mestruale. Instagram rimosse la foto (perché urtava la sensibilità della società patriarcale in cui tutti noi viviamo allegramente ogni giorno) – e scatenò così un inferno mediatico di proporzioni cosmiche, su cui non voglio dilungarmi in questa sede.
Prima di questo episodio, Rupi Kaur era una poetessa sconosciuta, e un’artista che non mostrava mai il proprio volto. Aveva scritto una raccolta di poesie intime, colloquiali, sussurrate come un segreto, quasi come un peccato a volte, a labbra strette, trattenendo le lacrime, a occhi bassi, ma coraggiose a volte invece, nel loro condividere il dolore senza chiedere scusa. Poesie vere, accompagnate da delicate illustrazioni, miele attorno a un bicchiere amaro. milk and honey – senza maiuscole e senza punteggiatura, un tratto rubato alla lingua punjabi di sua madre. Ogni frase un universo, breve e implacabile nel proprio svelare verità.
La raccolta è divisa in quattro sezioni: the hurting, the loving, the breaking, the healing. Ovviamente, parla d’amore. L’amore che si prova per chi non merita, e quello che si scopre di non riuscire più a dare. L’amore che non si sa provare per sé stessi. L’amore che non pensiamo di meritare, l’abuso che accettiamo con vergogna come una punizione per il peccato di esistere. Parla di scoprire la propria forza, inaspettatamente, guardandosi allo specchio e perdonandosi. Parla di silenzi, di carezze, di gentilezza, di accettazione, di tolleranza. Di un viaggio che siamo tutti destinati a fare, alla distruzione e ricostruzione di ciò che pensavamo a torto di essere. Alla scoperta di tutte le costellazioni di difetti che impariamo ad amare negli altri ma non in noi, e di tutti gli angoli bui in cui ci nascondiamo quando non sappiamo come smettere di ferirci.
i don’t know what living a balanced life feels like
when i am sad
i don’t cry i pour
when i am happy
i don’t smile i glow
when i am angry
i don’t yell i burn
the good thing about feeling in extremes is
when i love i give them wings
but perhaps that isn’t
such a good thing caus
they always tend to leave
and you should see me
when my heart is broken
i don’t grieve
i shatter
I poeti che amo – Prevert, Corso, Hikmet, con una manciata di parole semplici parlano di sé e di me. Ho aperto quel libriccino bianco e nero e pensato con stupore che ogni singola parola fosse stata scritta apposta per quello che stavo provando in quel preciso momento. Esiste un patto segreto, un’intimità, una fiducia disarmante nella fragilità con cui Rupi si concede allo sconosciuto che la tiene in mano, come a dire eccomi, mi puoi distruggere con uno sguardo. Lei si lascia scoprire, e ti dà qualcosa di raro, un biglietto di sola andata verso una casa di specchi che fa paura, ma che nasconde verità che forse non abbiamo mai saputo vedere, perché ci è stato insegnato a fingere la trasparenza di tutto ciò che non è bello, consono – normale. La sua poesia è generosa – di saggezza, di calore, di umanità, e di difetti –macchie rosse su un lenzuolo bianco, tracce della forza straordinaria di chi sanguina e non muore.
Emanuela Anechoum
Titolo| milk and honey
Autore| Rupi Kaur
Casa Editrice| tre60
Anno| marzo 2017 (2015)
Pagine| 207