La Macchia Umana: moderna tragedia americana
"La Macchia Umana" squarcia il velo dell'ipocrisia americana, mostrando come il liberalismo non sia altro che il candido intonaco su una struttura sociale costruita su puritanesimo, politically correctness e discriminazione razziale. Roth riscrive la tragedia in chiave moderna ed americana.
No alla tirannia del “noi” e alla prima persona plurale con cui essa si esprime e a tutto ciò che il “noi” ti vuole ficcare nella testa. Non era per Coleman la tirannia del “noi” che muore dalla voglia di assimilarti, lo storico inevitabile noi morale coercitivo e assorbente col suo insidioso E pluribus unum. (…) L’io nudo e crudo, invece, con tutta la sua agilità. (…) La singolarità. La lotta appassionata per la singolarità.
Coleman Silk è un professore di lettere classiche, un ultrasettantenne ebreo (?) abitante della piccola comunità di Athena. Detta così, difficilmente lo immagineremmo nei panni dell’uomo in lotta, fino al giorno in cui una parola gli scatena contro la ferocia repressiva della comunità di Athena. Quella stessa parola è la mano che spunta minacciosa dalla terra, il segreto che Coleman Silk aveva tenuto sepolto per cinquant’anni e che sta tornando alla luce.
La parola in questione è “spook” e significa fantasma, ma ha anche il significato secondario, gergale ed ovviamente dispregiativo di “negro”.
Accade allora che il professor Silk, notando due studenti mai presenti ad un suo corso, chieda alla classe se queste persone esistano o se siano degli spooks. Peccato che gli studenti in questione fossero proprio di colore…
All’accusa di razzismo e alla conseguente estromissione da quell’ambiente accademico al quale egli aveva personalmente ridato lustro, si aggiunge il crucifige nei confronti della relazione che intraprende, in seguito al licenziamento, con Faunia Farley, umile lavoratrice analfabeta (?) di una trentina d’anni più giovane di lui.
In poche parole, anzi in una parola, il mondo di Coleman è improvvisamente scosso, e dalle crepe della vita ideale che si era faticosamente costruito inizia a filtrare la verità.
Chi è davvero Coleman? Non ve lo anticipo per non privarvi del piacere letterario di un fenomenale colpo di scena; posso però dirvi che cosa è Coleman.
Coleman è il grimaldello con il quale Roth forza la società americana di cui Athena riflette l’immagine, mostrando come il liberalismo non sia altro che il candido intonaco su una struttura sociale costruita su puritanesimo, politically correctness e discriminazione razziale.
Coleman è l’individualismo; è la promessa americana di potersi reinventare un’identità, è il successo raggiunto grazie sì al talento, ma soprattutto attraverso ferrea determinazione e pesantissimi sacrifici. Ma Coleman è anche il sogno americano che, se poco appropriato, ineluttabilmente si infrange contro il “noi morale coercitivo e assorbente”.
“Appropriato. La parola in codice corrente per frenare ogni deviazione dalle sane linee di condotta e mettere così ognuno “a suo agio””.
Una definizione che dà l’idea di comodità, di uno spazio che deve essere confortevole e inclusivo anche a costo di essere distorto, illogico.
Gli studenti che Coleman critica sono effettivamente dei lavativi oltre che degli assenteisti, ma sono prima di tutto di colore; si assume quindi – paradossale in una società sedicente multietnica – che abbiano una situazione personale ed identitaria problematica che li giustifichi per le loro pessime performance accademiche. Ed ecco la distorsione per cui non è più lo studente ad essere incapace, ma è il sistema scolastico ad essere troppo esigente, o il professore ad essere razzista.
Ancor meno appropriato è che un 70enne frequenti una 35enne e che con essa ancora pratichi l’attività sessuale che, alla fine anni ’90, era freudianamente rimossa dall’ideologia americana. Non dimentichiamoci che siamo nel post scandalo Clinton, in quella “estate in cui il pene di un presidente invase la mente di tutti e la vita, in tutta la sua invereconda sconcezza, ancora una volta disorientò l’America”.
Coleman e Faunia diventano bersaglio di malelingue, ridicole minacce da paesino, gelosie, ma anche della malcelata invidia verso chi ha il coraggio di affrancarsi del decoro per assecondare il cuore o l’istinto carnale animato dal viagra, trovando, lontano dal modello sociale prevalente, qualche attimo di riposo in quella corsa a ostacoli che è la vita.
Questa strana coppia spezza l’associazione bacchettona “purezza = castità” affermando che la purezza di una relazione umana (da non leggersi necessariamente amore) risieda invece nella libertà.
“È da uomo che tu vieni da me. E allora io vengo da te. È molto. Ma è tutto qui. Io ballo davanti a te, nuda e con la luce accesa, e nudo sei anche tu, e tutto il resto non conta. È la cosa più semplice che abbiamo mai fatto: è il massimo. Non rovinare tutto pensando che sia qualcosa più di questo. Non lo fare, e non lo farò io. Non dev’essere per forza più di questo.”
Coleman (con Faunia) ha inevitabilmente la peggio – non vale come spoiler, sono le primissime pagine del romanzo a dircelo – portando a compimento quel meccanismo vittimario tanto caro a Girard: Coleman diviene il capro espiatorio per i mali che affliggono la comunità, Coleman soccombe, la comunità può infine stringersi intorno a lui riabilitandolo (sacralizzandolo, direbbe Girard) per continuare ad esistere in maniera coesa ed appropriata.
Coleman è l’eroe della moderna tragedia americana e Roth ne fa latore di una penetrante critica sociale e simbolo di libertà e forza, costruendogli attorno un’opera splendida per struttura narrativa e acutezza di visione letteraria.
Secondo alcuni critici, il miglior romanzo di Roth. Io non mi sbilancio difronte ad un corpus tanto ampio; certo, gli elementi per ritenerlo tale non mancano.