Road trip to Borgogna
No Future, Just France
Anni fa mi è capitato di leggere, su un muro della stazione di Lipsia, questo messaggio: No Future, Just France.
Tra i tanti graffiti, murales o semplici scritte che mi siano capitati di leggere (un giorno vi racconterò di come la sconfitta di Teutoburgo sia stata vendicata da una scritta trovata – caso curioso – sempre in Germania), questo è di gran lunga il più sconcertante. Sono passati anni, ma la notte ancora mi sveglio a pensarci.
Cosa voleva dire l’autore con queste poche parole? Era forse un messaggio patriottico: “non ci interessa il futuro, ma solo la Francia”? E, in questo caso, sarebbe legittimo immaginare gruppi di carbonai francesi che vanno in giro nottetempo a imbrattare i muri della Sassonia? O era una previsione – minacciosa o augurale fate voi – del tipo: “non c’è futuro ma solo un’unica, sterminata, Francia”?
Qualsiasi interpretazione del messaggio apre scenari che tolgono il fiato.
Pur essendo un anglofilo convinto, ogni tanto sento il richiamo della Francia e decido di tornarci, anche solo per un weekend. In questa occasione la meta è stata la Borgogna: terra di castelli, borghi e piatti sublimi.
Siamo a novembre e sotto una leggera pioggerellina atterriamo…in Svizzera. Plot twist! Si, la prima cosa da dire sulla Borgogna è che, salvo atterrare a Lione, è più velocemente raggiungibile da Basilea che non da Parigi. Affittata la macchina iniziamo a dirigerci verso ovest e, superata Besançon, il paesaggio muta: morbide colline, sinuosi fiumi, campi d’un verde accecante e boschetti in pieno tripudio autunnale, qualche casina di pietra. Sembra di viaggiare nell’immaginazione di un bambino di 10 anni quando gli chiedi di disegnare la campagna. Va benissimo così.
Inebriati d’idillio pastorale, decidiamo dunque di fare tappa a Dole, primo di mille borghi che vivono rannicchiati sulle sponde di un qualche torrente caratterizzati dalla presenza di: strade acciottolate, un castello diroccato, una cattedrale sproporzionata rispetto alle dimensioni del paese. In realtà Dole, a differenza di molti altri villaggi francesi, è ben più grande di come appare e la sua topografia non si limita al centro storico da cartolina. Ma ai nostri occhi, interessati solo al movimento delle pale di un mulino ad acqua, la cosa non importa e così, dopo un breve pranzo in un ristorante vietnamita (LOL) proseguiamo verso Digione.
Digione è il capoluogo della Borgogna ed è, sinceramente, una delle città più piacevoli che abbia visitato. Ha tutto ciò che si possa voler chiedere ad una cittadina di analoghe dimensioni: un centro storico ben conservato ma non – eccessivamente – gentrificato, una vivace vita locale, sobborghi moderni e funzionali senza palazzoni-alveari per pendolari. Insomma, la sensazione che ho avuto passeggiandoci è quella di una città che, nonostante la fama e i 200.000 turisti che la visitano ogni anno, ha mantenuto una propria vitalità, senza piegarsi alle esigenze del turista ma neppure risultandogli ostile.
A fare da contraltare c’è, invece, l’altro polo del turismo borgognone: Beaune, circa mezz’ora più a sud, epicentro della viticoltura francese (e qualcuno direbbe mondiale). Beaune è – in mancanza di una definizione migliore – un puttanaio. Raccontata come la capitale del vino, sembra invece la capitale del turismo molesto. Il vino buono, infatti, è per il 2-3% dei visitatori e la stragrande maggioranza è ben felice di trangugiare vinaccio da supermercato in bicchieri di plastica – letteralmente ogni bottega ne offre – e fa impressione vedere migliaia di francesi, americani, tedeschi e olandesi alticci di vino di bassissima qualità ingombrare le strade in un tentativo più che riuscito di imitare Monaco durante l’Oktoberfest. Noi italiani dobbiamo fare molta attenzione che Montepulciano non faccia la stessa fine.
Ci sarebbero diversi monumenti e attrazioni da visitare (come lo spettacolare Hôtel-Dieu, proprio a Beaune; se riuscite a evitare la calca) ma mi sento di dire che il modo migliore per visitare la Borgogna – almeno stando alle mie impressioni maturate nell’arco di tre giorni – è quello di girare del tutto casualmente per le campagne, senza avere una meta prefissata, magari lasciandosi guidare dalla simpatia dei nomi, dall’appetito o dal meteo.
La vera bellezza di questa regione, così affine alle campagne umbro-toscane, risiede nei mille borghi che non offrono nulla per giustificare una deviazione ma tutto per costituire una sosta. Arrivare in un posto come Arnay-le-Duc, o Semur-en-Auxois, a malapena presenti sulla cartina, ed entrare in un’anonima patisserie è un’esperienza molto più emozionante che andare in pellegrinaggio nei meravigliosi palazzi dei Duchi di Borgogna o nella grandiosa cattedrale di Autun. Il che vuol dire che le patisserie di Arnay-le-Duc siano migliori di quelle di qualunque altro paesino borgognone al punto da dover andare proprio lì?
Probabilmente – anzi, sicuramente – no, ma mi piace pensare che viaggiare non sia la contemplazione dello straordinario bensì la ricerca della normalità in contesti extra-ordinari.
E ora veniamo alle cose importanti: la pappa!
Facciamo un patto: la cucina italiana è, in termini generali e quantitativi, migliore di quella francese MA se dovessi scegliere un ultimo piatto da mangiare prima di morire penso che propenderei verso la cucina d’oltralpe. E in particolare per le escargot…non è vero, forse sarebbe comunque la pasta e fagioli, ma ci siamo capiti.
È difficile da spiegare l’armonia gustativa che una singola lumaca farcita di burro, aglio e prezzemolo possa avere ma, quando ben fatte, questi piccoli gioielli – servite nelle canoniche terrine da sei – sono la cosa più simile alla sensazione di “fuochi d’artificio in bocca” di Ratatouille. Purtroppo riuscire a gestire questi pochi ingredienti credo sia una delle prove più difficili per un cuoco e, nella maggior parte dei casi, si rivelano una tragedia agliacea; ma, generalmente, in Borgogna non mi è mai capitato di rimanerne deluso (sebbene le migliori in assoluto le abbia mangiate a Parigi).
Naturalmente la Borgogna, culla della gastronomia francese, offre anche altro se l’idea di ingollare un lumacone vi blocca. Già solo provare la senape giustificherebbe un viaggio nella regione, ma poi c’è lo stufato alla Borgognona (bœuf à la Bourguignonne), la zuppa di cipolle (soupe à l’oignon), il pollo e le uova col vino (coq au vin e œufs en meurette), il pane speziato (pain d’épices)…non proprio un paese amico dei vegani, comunque.
Fatevi un regalo: andate al mercato coperto di Digione – aperto ogni mattina dal martedì al sabato – e incantatevi davanti ad ogni bancarella di questa cattedrale culinaria (nel vero senso del termine: ha proprio la forma di una cattedrale). I formaggi sono probabilmente il top di gamma che questo luogo offre e per pochi spiccioli potete rimediarne in quantità, comprate poi una pagnotta, una bottiglia di vino rosso e il pranzo è servito. Se è un sogno, non svegliatemi.