L’estate sta arrivando: rifugiarsi al Parc des Buttes Chaumont, Parigi
Quando Ned Stark, con la sua fierezza stoica di uomo del nord pronto a morire pur di non piegarsi alle ingiustizie, guardava in lontananza e pronunciava il suo leggendario “L’inverno sta arrivando”, non stava prendendo in considerazione una cosa. Certo, [spoiler alert!] gli zombie dagli occhi di ghiaccio che resuscitano draghi mezzi morti dal fondo di un lago oltre la Barriera sono terrificanti, così come lo è la prospettiva di aspettare un’altro anno per l’ultima stagione del Trono di Spade. Ma sapete cos’altro è almeno altrettanto spaventoso? Ve lo dico io. Passare l’estate in una capitale europea senza climatizzatore.
Anche se è una di quelle capitali europee che fino all’altroieri erano annaffiate quotidianamente da una pioggia fastidiosa quanto costante e che, appena prima, erano state colpite da una di quelle nevicate moleste che sono belle da fotografare i primi dieci minuti, prima di accorgerti che il tragitto fino al lavoro o all’università con i mezzi pubblici sarà ancora più ostico del solito.
Ecco, passare l’estate in una capitale europea senza climatizzatore è un po’ come scegliere volontariamente di abitare in un microonde che ti cuoce lentamente mentre arranchi, passo dopo passo, tra l’asfalto – bollente -, le auto parcheggiate – bollenti -, le facciate dei palazzi storici – bollenti…e via così, fino a Settembre. Vuol dire afa, vuol dire guardare le foto dei tuoi amici al mare e pensare alla radioattività dello specchio d’acqua a te più vicino, vuol dire chiedersi se proprio valeva la pena lasciare quell’idilliaco paesino nel mezzo del nulla da cui sei emerso per “farcela” da qualche altra parte. Vuol dire infilare l’asciugamano in borsa, assaltare il supermercato e precipitarsi a fare un pic nic nel parco più bello ad una distanza accettabile. A Parigi, quel posto è il Parc des Buttes Chaumont.
Come ve lo spiego Buttes Chaumont? Mettiamola così. Avete presente quei bei parchi parigini classici, con le aiuole ordinate e coordinate, gli alberi in fila indiana, gli anatroccoli che sguazzano in una fontana rotonda che spruzza ritmicamente, con grazia, dell’acqua qua e là mentre le scarpe si impolverano tra i ciottoli bianchi e dei severi cartelli ti ricordano ogni pochi metri che è altamente vietato calpestare l’erba? Tipo il Jardin des Tuileries che si apre di fronte al Louvre o il Jardin de Luxembourg con le sue palme e i suoi vasi di fiori quotidianamente annaffiati?
Ecco, dimenticateveli, perchè il Parc des Buttes Chaumont è quanto di più vicino alla natura selvatica che possiate trovare nella Parigi intra muros. Un sali e scendi di sentieri e colline, strapiombi ed alberi secolari, il parco sorge sulla più grande tra le storiche cave di gesso che hanno contribuito a costruire i distinti palazzi di più di mezza città, nel cuore del 19esimo arrondissement – quell’angolo multietnico della mappa di Parigi che hai ogni probabilità di ignorare teatralmente le prime volte che visiti la città. A qualche centinaio di metri scorre il Bassin de la Villette, con le sue barche strambe e colme di vita e quella sua aria che dice più Berlino che Francia. Ma, varcata la soglia del parco, la sensazione di essere catapultati in un quadro di Caspar David Friedrich – se fosse ambientato in una realtà parallela con molto più sole e gente in short stesa a leggere un libro all’ombra di un pino – spazza via ogni coordinata spazio-temporale. Siete tu, la tua baguette, il tuo libro ed un parco a mezzaluna che sembra non finire mai. E, dopo giorni di afa ed asfalto, un’immersione in un idillio del romanticismo tedesco è quanto di più desiderabile ci sia.
Il tocco di classe superiore che trasporta Buttes Chaumont all’apice di un’ipotetica lista di parchi migliori in cui perdersi in un caldo pomeriggio estivo parigino dev’essere, necessariamente, il suo tempietto. Ora, ditemi che senso ha un tempietto minuscolo, squisitamente neoclassico, piazzato quasi per caso sulla cima di un’enorme scogliera a strapiombo su un laghetto, raggiungibile soltanto tramite un paio di ponti sospesi nel vuoto. Chiedetelo ai francesi. Io non lo so, ma si chiama Tempietto della Sibilla e ne sono innamorata – anche se devo necessariamente condividere la vista mozzafiato che c’è sulla Basilica del Sacro Cuore da lassù con l’ovvia coppia di adolescenti (o di asiatici in luna di miele, o di amanti di mezz’età) che limonano illuminati dalla luce del tramonto.
Cosa dicevamo? Ah, sì: fermatevi a prendere la vostra baguette, scegliete un libro da eroe romantico dell’Ottocento, camminate oltre alle stalattiti impressionanti della grotta di Buttes Chaumont e trovatevi uno di quegli angolini baciati dal sole, vicino al lago, dove tira un venticello miracoloso e si scorgono, oltre le fronde degli alberi, le punte dei palazzi parigini in tutto il loro estivo, eccessivo calore. Ispirate, espirate. E smettete, per un po’, di pensare ai vostri amici nelle loro mete esotiche.
C’è un tempio della Sibilla molto simile (nella forma e nell’ubicazione a strapiombo) a Tivoli, vicino Roma. Magari è un tributo.