Richard Brautigan | Una donna senza fortuna
Viaggiando all’indietro con due camicie soltanto
Pennarello nero a punta fine scrive / su un pezzetto di nastro adesivo/ tagliato coi denti / appiccicato sul terzo scaffale (penultima mensola) / nella stanza sul retro / della solita libreria dell’usato:
“Letteratura beat”
“All’altro capo della panchina c’era seduto un beatnik. Accanto a sé aveva il suo bravo sacco a pelo e mangiava pasticcini ripieni di mela. Aveva un’enorme busta di quei pasticcini e ne ingozzava uno dopo l’altro come farebbe un tacchino. Probabilmente era una forma di protesta più valida del picchettaggio di una base missilistica.”
(Pesca alla Trota in America – R. Brautigan)
Mensola di mogano molto, molto scuro – appena un metro di mogano molto molto scuro – scorro per abitudine l’indice destro, e quello, sempre per abitudine, s’inzacchera di polvere:
– la guida stantia di San Francisco;
– le “gemelle” (alias le due stropicciate antologie della Pivano, Volume I e Volume II);
– una qualche edizione di “On the road”;
– Ferlinghetti;
– un qualcosa di Ginsberg;
– mai un Burroughs;
– di nuovo Kerouac;
(sembra il bar del quartiere, già buio alle due del pomeriggio, in realtà sempre buio, buio fin dal mattino, le solite facce stanche, rugose, c’è sempre qualcuno che mastica a vuoto)
– bingo! Un nuovo arrivato: m’avvicino, piego la testa per leggere la costa
una donna / senza fortuna / di ? / richard bro…brautigan
Apro.
“Ora siamo agli inizi di febbraio e i susini sono tutti in fiore nel quartiere giapponese di San Francisco dove mi trovo da una settimana a studiare questa breve cartina-calendario della mia vita. Quando ho iniziato a tracciare questo calendario, le gemme violette spuntavano appena dai rami scuri degli alberi. Le gemme erano punticini di viola e ora sono un fuggi-fuggi di colore.
Presto cominceranno a gocciolare a terra…”
Mi giro e vado alla cassa – venduto, signori! Venduto alla ragazza con quello stupido cappello! – “…e prima della fine di questa cartina-calendario, prima cioè di partire alla volta di Chicago, i fiori saranno morti e la loro breve primavera di febbraio sarà ridotti al silenzio e privata della sua immortalità.
Se dovessi far parola della loro esistenza a Chicago, che ha attraversato uno dei peggiori inverni del XX secolo, credo che dovrei ripeterlo due volte e forse non mi capirebbero comunque.
– Cos’è che dicevi già dei susini in fiore? – mi chiederebbe qualcuno molto educatamente.
– Non importa – risponderei io educatamente, ormai stanco di cercare di spiegare un minuscolo evento primaverile nella lontana San Francisco, una città che la gente fatica a capire, me incluso, peraltro.
Probabilmente a Chicago era meglio lasciar perdere i susini in fiore a febbraio. Ci sono un sacco di altri argomenti di cui potevo parlare senza turbare inutilmente la gente di Chicago.”
Baffoni gialli, un poco hippy un poco beat, soffici baffoni gialli, longilineo, biondi baffoni biondi capelli.
Richard Brautigan è un animo gentile. Questo libro è gentile. Voce delicatissima, ingenua e dolce – chiede permesso per entrare nella vita del lettore, chiede permesso per vivere.
Richard Brautigan è scrittore di genio e sperimentazione. In una libreria giapponese di San Francisco acquista due Pilot BP-S e un piccolo quaderno, e comincia a scrivere una specie di diario on the road – quello che lui chiama la sua “cartina-calendario” – annotando viaggi, incontri, ricordi, riflessioni serie semiserie e leggere, in un continuo balzo temporale e spaziale, alla rinfusa a casaccio a flusso di coscienza (di tanto in tanto pure metaletterario). Parlando al lettore, parlando a se stesso, non parlando a nessuno, a volte non parlando affatto. Non rilegge mai.
Richard Brautigan è un po’ tocco. Tocco, strano. Ma strano a regola d’arte, eh: cioè vertiginosi picchi di frasi strampalate, su di giri, sulle placide onde di normalità minuta, piccina – quella dell’osservazione attenta (e lirica) del dettaglio, dell’insignificante, dell’ordinario e pacifico – strampalata per questo. Una scarpa abbandonata per strada, un cervo ostile, un tizio che mangia una ciambella che non dovrebbe.
Richard Brautigan è malinconico. Subisce il riflusso del dolore – la scia di detriti, i più vari, pietrucole conchiglie alghe, lasciati a riva dall’onda del dolore – e vi reagisce con un’altalena di malinconia e ironia, ironia e malinconia.
Malinconia dolorosa, per il lettore che si fa protettivo: perché malinconia-parassita in un viso dolce, un sorriso buono, un gesticolare imbranato.
Che cosa fa Richard Brautigan (a parte portarsi dietro sei paia di pantaloni e soltanto due camicie per un viaggio di due settimane)? Che cos’è questa cosa che scrive? Fiction, diario, poesia, filosofia, esercizio stilistico, gioco? Le definizioni scivolano come saponette, scivola via la stessa lettura, non la trattieni, non riesci a mantenere salda la presa: definire la scrittura di Brautigan è come pescare trote a mani nude.
Brautigan ci fa o ci è? Non ridete, è questa la domanda finale.
Ci prende tutti in giro – il gioco delle tre carte Mangiafuoco i birilli per aria – o si sta confessando?
Io mi fido. Mi fido di lui. Non razionalmente – razionalmente non lo si imbriglia! – ma d’istinto. Brautigan lascia una traccia, come le briciole di Pollicino, o il filo di Arianna.
Un cuore scoperto su una mensola di mogano molto molto scuro.
Stefania Trombetta
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Titolo | Una donna senza fortuna. Viaggiando all’indietro con due camicie soltanto
Autore | Richard Brautigan
Anno | 2007 (1982)
Casa editrice | ISBN
Pagine | 132