Rebuild of Evangelion | La rottura del cerchio
“Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi”.
Eh sì, perché l’aura di santità che circonda certe opere le rende, per quanto ampiamente discusse, difficilmente attaccabili da chicchessia, finanche dagli stessi autori. E Neon Genesis: Evangelion può tranquillamente finire tra i santi del detto.
È giusto precisare quanto sia difficile scrivere un articolo simile (un po’ di autoindulgenza preventiva non guasta) ma soprattutto indirizzarlo. Pertanto, come disclaimer iniziale, posso dire di aver cercato di parlare della nuova veste di quest’opera, ovvero la tetralogia di film che compone il Rebuild of Evangelion, limitando il più possibile gli spoiler, ma risultando in ogni caso in un parere potabile per chi non è del tutto a digiuno del lavoro di Anno e di più difficile fruizione per chi ha poca dimestichezza con la serie originale.
Inizialmente trasmesso in Italia su MTV, durante le storiche anime night del martedì sera, questo anime di robottoni umanoidi (mecha per gli amici) ha fatto breccia nel cuore di un numero incalcolabile di appassionati.
Opera di Hideaki Anno e dello studio Gainax, già noto per collaborazioni varie con Hayao Miyazaki e per lavori come Nadia e il mistero della pietra azzurra, nasce come serie televisiva di 26 episodi dalla travagliata produzione, con problemi di tempistiche e di budget. Problemi che hanno portato alla chiusura della serie stessa con due episodi finali estremamente controversi, per quanto, a parere di chi scrive, in realtà di valore ed estremamente coerenti. A seguire, due film: Death & Rebirth prima, The end of Evangelion poi.
Poteva questa serie finire con gli ultimi meravigliosi e agrodolci minuti di questo film? Ovviamente no. Anno ha quindi deciso, con il suo nuovo studio di produzione Khara, di mettere in piedi il progetto di cui parliamo oggi: quattro film per ripartire dal concetto alla base della storia e darle una nuova evoluzione e, soprattutto, un nuovo finale. Il lavoro è terminato circa un anno fa con 3.0+1.0: Thrice upon a time, pubblicato solo poche settimane fa in Italia, in esclusiva su Amazon Prime Video.
I primi tre film della tetralogia presentano nomi molto emblematici, soprattutto in relazione al concetto stesso di rebuild, che è stato chiaramente inteso come un remake più che un sequel del lavoro originale: Evangelion: 1.0 You Are (Not) Alone, Evangelion: 2.0 You Can (Not) Advance, Evangelion: 3.0 You Can (Not) Redo. Soprattutto i concetti di avanzamento e di rifacimento, che erano del tutto improponibili per i personaggi della serie originale, incancreniti nelle loro dinamiche, delineano una volontà da parte di Anno di andare oltre ciò che è stato, nel bene e nel male.
Il primo film ricalca in modo piuttosto fedele gli avvenimenti dei primi episodi della serie originale, come l’approccio agli Eva, enormi robot umanoidi dalla non chiara origine, e ai loro piloti – il giovane protagonista e pilota dell’Eva-01 Shinji Ikari, affiancato da Rei Ayanami e Asuka Shinikami Longley – alla scoperta dei segreti dei misteriosi nemici chiamati Angeli, il cui intento al di là del fare danni alla città di Neo Tokyo non è inizialmente definito, e della NERV, organizzazione sovranazionale guidata da Gendo Ikari, padre di Shinji, il cui compito è eliminare gli stessi Angeli e mettere in pratica un misterioso progetto di perfezionamento dell’uomo in accordo con la ben più misteriosa setta Seele.
Già con il secondo film, invece, la trama inizia a prendere una direzione diversa. Questo si nota sicuramente nello sviluppo narrativo e nella rappresentazione del pianeta, molto più provato di quanto ricordassimo dall’avvento degli Angeli e dalle catastrofi – chiamate Impact – a loro collegate.
Una differenza ancora più sostanziale riguarda la crescita e lo sviluppo dei personaggi: lo stesso Shinji, insicuro e protagonista di infiniti fermo immagine di riflessioni introspettive, diventa rapidamente più risoluto e in grado di lottare per imporsi. Stesso discorso dicasi per Rei, pilota dell’Eva-00 dall’atteggiamento glaciale e dal passato oscuro, che però nel secondo film prova a superare se stessa e ad essere una normale ragazza della sua età.
Proprio la fine di questo secondo film rompe definitivamente la continuità con la serie originale: il gesto finale di Shinji durante la lotta con il decimo Angelo scatena il così detto near third impact. E il mondo, almeno quello di Evangelion, non sarà più lo stesso.
3.0 è stato invece il film forse più controverso della tetralogia. Le lunghe scene iniziali, che riprendono la narrazione 14 anni dopo la fine del secondo film, sono un marasma di combattimenti e tecnologia, che rendono lo spettatore spaesato quanto il povero Shinji, che nel frattempo era rimasto in coma in una bara orbitante nello spazio, per essere poi riportato sulla Terra per motivi poco chiari da Asuka.
Il protagonista, giustamente turbato dallo spettacolo che gli si para davanti, non può fare altro che fuggire con la sempre adorata Rei e rifugiarsi nella ormai distrutta base della NERV, che adesso pare essere il nemico pubblico numero uno, in particolare della neonata associazione Wille, della quale Asuka e altre vecchie conoscenze fanno parte. Qui Shinji riesce però ad allacciare un forte legame con un altro pilota di Eva, già noto ai vecchi fan, Kaworu Nagisa, assieme al quale, manovrato dal Gendo, non si esimerà dal creare involontariamente un altro disastro.
Come dite? Fino ad ora non ci avete capito granché? Manco io, ma non è importante.
L’ultimo film si apre con Shinji, Asuka e Rei che tentano di inserirsi in un piccolo villaggio di sopravvissuti ai cataclismi occorsi fino a quel momento, con scenari bucolici e scelte sia narrative che di regia che risultano quasi un tributo al già citato Miyazaki. La pace è destinata però a durare poco, perché il pilota, affronta una perdita che distrugge l’idillio e lo spinge a tornare a combattere a bordo del suo Eva, affrontando i suoi errori, il rancore di persone un tempo amiche e altre fondamentali perdite, fino allo scontro/confronto finale col padre Gendo, deciso ad attuare fino in fondo il progetto di perfezionamento dell’uomo per i suoi scopi.
Ma perché Neon Genesis: Evangelion è diventato letteralmente un prodotto di culto?
Questo se lo è chiesto lo stesso Anno, stupito del successo di un’opera molto più introspettiva e cupa di quanto non potesse sembrare. Ma forse il motivo è proprio lì, nonostante si parli apparentemente solo di robottoni giganti.
Evangelion presenta diversi strati di lettura: lo strato più superficiale riguardante gli scontri tra gli Eva e gli Angeli con misteri annessi risultava estremamente avvincente nella serie originale, unendo un mondo futuristico a quello dei mecha tipici delle serie animate del Giappone, farcendo il tutto con quintalate di simbolismo di matrice ebraica e cristiana, in realtà molto funzionale e affascinante.
Già negli episodi originali, l’intreccio narrativo era molto complesso e reso ancora più ermetico dalla tendenza a rivelare dettagli fondamentali in dialoghi di poche parole inseriti talvolta anche in momenti inaspettati. In questo senso, probabilmente anche per necessità di tempo (non banale condensare ventisei episodi e due film in quattro lungometraggi), alcuni dettagli vengono del tutto omessi o dati per scontati in questo Rebuild. Altri vengono drasticamente cambiati: è il caso del capostipite degli Angeli Adam, qui diviso in quattro Adams e sostituito dalla chiave di Nabucondonosor nel processo che porterà Gendo ad evolvere nel corso del perfezionamento.
Lo sviluppo narrativo non è comunque il punto di forza di questi quattro film: tanta carne al fuoco e tanti buchi di trama, che lasciano spazio a momenti visivamente meravigliosi, come i combattimenti iniziali di 3.0, ma confondono le idee dello spettatore. Non che la narrativa fosse l’aspetto che Anno avesse più a cuore, evidentemente.
Ci sono poi strati più profondi. Se da un lato c’è un maggior risalto del messaggio ecologista tanto caro a Hideaki sin dall’epoca di Nadia, a farla da padrone è sempre l’introspezione del protagonista così come dei comprimari, soprattutto altri piloti di Eva, ovvero Rei, Asuka e Kaworu, e di altre figure di spicco della NERV, Misato Katsuragi su tutti, adorato capitano dell’associazione, nonché figura di riferimento per Shinji.
Nella serie originale, i vari personaggi erano molto più bloccati nelle loro dinamiche personali, che erano ancora più marcate nel momento in cui si relazionavano tra loro, mentre nei Rebuild la loro evoluzione, talvolta anche in negativo come nel caso di Misato, è estremamente più marcata. Come dicevamo, il caso di Rei è quello più emblematico. Se all’epoca della serie Anno ha voluto creare una allegoria della sua stasi e della sua clausura sociale, comune a quella di tanti giovani giapponesi, oggi ci troviamo alla rivisitazione dell’opera da parte del suo autore ormai sessantenne, che si trova in una fase della vita probabilmente lontana da quella più cupa degli anni ’90.
In questo senso, spicca il personaggio di Mari: figura femminile e pilota di Eva, imposta ad Anno dalla produzione, estremamente sessualizzata ma anche molto lontana caratterialmente dai suoi colleghi. È una macchietta, fuori di testa e decisamente intraprendente. Un vero personaggio di rottura che, per quanto risulti poco contestualizzato e inserito maluccio nella linea narrativa, è comunque simbolicamente rilevante per Shinji, come per Anno. Non a caso pare simboleggi proprio la moglie dell’autore, una vera rivoluzione positiva nella sua vita.
Anche in senso allegorico, molto è cambiato rispetto alla serie originale.
Il ruolo dell’elemento femminile e materno, strettamente collegato alla natura degli Eva, così come a Lilith, il secondo angelo è molto ridimensionato. Proprio quella di Lilith era una figura interessante: capostipite della razza umana e prima consorte di Adamo nella cultura ebraica, cacciata dal giardino dell’Eden per la sua pretesa di non farsi sottomettere da Adamo stesso.
In questo Rebuild, il femminile è meno idealizzato, anzi reso molto concreto, come nel caso di Mari o di Yui, madre di Shinji, la cui condotta è molto meno egoista e sognatrice che nella serie. Al contrario, si pone più attenzione sull’aspetto paterno: Gendo diventa il vero protagonista, perché oggi Hideaki Anno è chiaramente più Gendo che Shinji.
Nel corso dello scontro finale nell’antiverso, dal forte sapore metacinematografico, Gendo si apre, finalmente riesce a comunicare con il figlio come con il mondo intero. Rivela a se stesso e agli altri il suo vero scopo e, di conseguenza, la sua grande fragilità. Il tutto avviene sempre su un treno, simbolo di viaggio e di astrazione dalla quotidianità nel linguaggio di questo anime. Questo è sicuramente il momento più significativo dell’opera, è qui che Anno supera se stesso e le sue catene e riesce probabilmente a dire addio ai suoi Eva per avviare una vera e propria Neon genesis nel mondo reale.
È probabilmente questa la sfera più affascinante nel senso più intimo nel termine, quella che, all’epoca della prima visione della serie, me ne ha fatto innamorare nonostante tanti dettagli mi fossero sfuggiti e avessi le idee così confuse.
Questo Rebuild è un’opera che mi ha colpito molto. Non è perfetta, come del resto non lo era la serie stessa. Forse non ha lo stesso impatto emotivo dei ventisei episodi originali o di quel capolavoro indiscusso e irripetibile (fortunatamente per Anno) di End of Evangelion, ma è probabilmente il punto finale migliore che un’opera del genere potesse meritarsi. Non è un sequel, anche se alcuni dettagli come le numerose tombe lunari viste al momento del risveglio di Kaworu lasciano pensare il contrario, con la teoria del loop sempre in agguato. Ma non è neanche una tetralogia a sé stante, trovo impossibile goderne e capirne senza aver vissuto dall’inizio la storia di Shinji. Questi quattro film sono comunque un tassello fondamentale di questo universo, che rivedrò più volte, sicuro di scoprire nuovi dettagli e nuove sfumature.
Ma lo spazio è tiranno e anche noi dobbiamo tornare alla vita reale, dove forse, girando per Ube, potremmo incontrare uno Shinji ormai adulto e più vicino a ciò che noi e Anno siamo oggi.
Titolo | Rebuild Of Evangelion
Regista | Hideaki Anno (chief director)
Anno | 2007 / 2021
Durata | 464′
E’ un sequel. Punto.
Gli elementi per comprenderlo sono esplicitati fin dal primo film.
Nell’ultimo film lo esplicita pure Kaworu.
Serve altro?