Ratatouille
Una decina di anni fa, nella notte delle statuine dorate che tiene sospese le stelle di L.A., accadeva qualcosa di straordinario: un roditore made in Disney veniva proclamato a furor di popolo – e di critica – nuovo eroe del cinema. Non che suoni una gran rivoluzione, visto che Mickey Mouse ha i suoi buoni novant’anni di gloria. Ma il fatto è che quella volta non si trattava del più famoso topo di tutti i tempi, bensì di un piccolo ratto francese di nome Remy, il cui merito è aver riportato Hollywood al compito che le spetta, ovvero alimentare sogni.
Cosa c’è di più schifoso, scandaloso, pericoloso in una cucina se non un topo? Peccato che Remy voglia fare proprio lo chef. Anzi, lui non lo desidera…lo è. Il suo olfatto ipersensibile e il suo palato sopraffino lo rendono già di per sé un esemplare atipico: la spazzatura tanto ambita dai suoi simili lo fa inorridire e mentre la sua famiglia si preoccupa di tenersi (e tenerlo) sempre a debita distanza dagli umani, lui invece è attratto dai profumini che le loro pentole emanano, dall’abilità con cui tagliano, bollono, rosolano e dall’ingegno con cui combinano i sapori. Purtroppo però, a parte che per qualche piacere clandestino – un pezzetto di toma di capra, un fungo champignon e un paio di lamponi trafugati da una cucina -, il destino di Remy sembra essere inchiodato al suo “impiego” nella colonia: valutare il rischio di cibi potenzialmente avvelenati, come un vero assaggiatore di corte.
Ma il nostro Remy è un ribelle nato (un po’ tipo il Marco Pierre White dei topi, per intenderci) e, contrariamente a quanto ci si aspetta da una classica storia Disney, non si farà poi troppi scrupoli a rinnegare le proprie radici per mettere in luce il talento che lo contraddistingue.
“Chiunque può cucinare” sente ripetere dalla tv della casa che frequenta per rubacchiare cibi freschi. “Chiunque può cucinare” è il titolo del libro che impara a leggere e che diventerà per lui il lasciapassare per un destino diverso. “Chiunque può cucinare” è il motto dello chef Gusteau, il più grande chef francese (che è come a dire il più grande chef al mondo) morto poco dopo essere caduto in disgrazia per via della valutazione dello spietato quanto autorevole critico gastronomico Anton Ego. Questo “Chiunque può cucinare” suona davvero fiabesco a noi altri al di qua dello schermo, assuefatti come siamo alla figura dello chef – superuomo, essere non solo superiore ma superbo, inarrivabile, che ha il potere di lanciare piatti nei secchi umiliando cuochi magari dotati ma non illuminati dal genio, che non possiedono cioè, a differenza sua, quel tocco metafisico con le salse ed i ripieni che al mondo d’oggi dà più poteri della criptonite. Insomma, scatta inevitabilmente il Cracco che è in noi, alziamo il sopracciglio e sorridiamo sornioni pensando che sì, ai bambini è giusto raccontare che “chiunque può cucinare”.
In ogni caso, vero o falso che sia, il fatto è che il piccolo roditore Remy non riesce a togliersi dalla testa quelle parole di Gusteau. Tant’è vero che quando si ritroverà solo e affamato nelle fogne di Parigi dopo aver perso la sua colonia, sarà proprio il faccione paffuto di Gusteau con l’immancabile toque blanche a comparirgli come uno spettro della sua fantasia e a convincerlo a seguire il suo istinto, il suo intuito di chef. “Il cibo trova sempre chi sa cucinare”. Invasato dal misticismo culinario del suo idolo, Remy riesce presto, seppur tra mille peripezie, a dare prova delle proprie capacità. Ma chiaramente nessuno crederebbe mai ad un piccolo topo ai fornelli, anzi nessuno lascerebbe mai neppure entrare in cucina un lurido abitante delle fogne. Per fortuna però, sulla sua strada Remy farà un incontro che cambierà le sorti non solo della sua ma anche di molte altre vite.
Un imbranatissimo sguattero delle cucine del vecchio ristorante di Gusteau, Alfredo Linguini (rassegnamoci, la pasta dopo Ventimiglia è sempre in “-ini”), proprio in virtù del mantra “chiunque può cucinare” viene scambiato per il grande cuoco che non è e, in una serie di spassosissimi errori, diventerà per Remy le sue gambe e le sue braccia, la sua faccia e la sua voce. Insomma, il suo burattino umano in cucina. Inutile aggiungere che da quel momento li aspetta una carrellata di equivoci che tra furti, fughe, amori e testamenti porterà sia il ragazzo che il suo “piccolo chef” – cioè Remy -, davanti al giudizio del gelido Anton Ego.
È la resa dei conti, non solo con la stellata gastronomia francese, ma con sé stessi. Non si può fingere in eterno. Remy è un topo di talento, coraggioso e capace di zuppe speciali per davvero, ma non basta. Non basta saper cucinare per essere davvero uno chef. Il vero ingrediente essenziale è la fiducia. E infatti solo quando il piccolo chef si sarà guadagnato fino in fondo la fiducia del suo amico Linguini, degli altri chef di cucina, della sua famiglia di ratti e soprattutto di sé stesso sarà pronto ad affrontare il critico Ego, servendogli un piatto povero, anzi poverissimo, talmente semplice che solo un pazzo potrebbe inserirlo nel menù di un ristorante stellato: la raratouille. Melenzane, pomodori, peperoni, zucchine. Nient’altro. Ma la cucina riserva sempre sorprese, diciamocelo, quel certo non so che di magico di cui tanto si pavoneggiano gli chef la buona cucina ce l’ha eccome. Ed è davvero il più stupefacente dei superpoteri: la memoria delle emozioni.
Ratatouille di Remy
Niçoise o ratatolha in Provenza, poi caponata, ciambotta, tiella in Italia, pisto in Spagna, briami in Grecia, lecsò in Ungaria, imam bayaldi in Turchia, sataras nei Balcani. La ratatouille non è poi così francese, o almeno non lo è esclusivamente. La base in ogni caso è sempre la stessa: ortaggi ed erbe mediterranee, olio extra vergine d’oliva. Come tutti i piatti molto poveri e molto antichi ha innumerevoli varianti, tutte potenzialmente “autentiche”, ma tra queste di sicuro una soltanto canta fuori dal coro: quella commissionata allo chef stelle e strisce Thomas Keller dalla Pixar in persona (anche se qua la spacciamo per la ricetta di Remy, per non rompere l’incantesimo di quel “chiunque può cucinare”).
Ingredienti per una teglia per circa 4/6 persone e nessun topo (si spera):
- 2 melanzane di varietà lunghe e sottili
- 6 pomodori sammarzano
- 2 zucchine gialle
- 2 zucchine verdi
- 2 patate a pasta gialla
- 1 peperone rosso
- Cipollotto fresco
- Basilico, timo e maggiorana
- Olio, sale e pepe
N.b.: gli ortaggi dovrebbero avere tutti più o meno lo stesso diametro.
Come qualsiasi chef francese vi suggerirebbe, iniziate sempre dalla salsa. Tagliate il peperone e rosolatelo in padella col cipollotto a pezzetti, olio, sale, pepe ed erbe aromatiche. Lasciatelo cuocere dolcemente e nel frattempo affettate con la mandolina (o a mano se volete fare er Cracco de’ no’antri) tutte gli altri ortaggi. A questo punto frullate il sugo di peperone e mettetelo sul fondo della teglia, disponendoci sopra le fette delle altre verdure facendo attenzione all’alternanza dei colori e delle consistenze. Finite con un giro d’olio e qualche fogliolina di basilico, rametto di timo e maggiorana e un giro di salsa, sale e pepe. Coprite con un foglio di carta forno tagliato in modo che ricopra precisamente il contenuto della teglia e informate a 180 gradi per una ventina di minuti. Togliete poi il foglio e lasciate rosolare qualche altro minuto la superficie delle verdure. E quando impiattate, mi raccomando, cospargete con ancora un po’ di salsa come fa Remy, che sa davvero il fatto suo.
[…] Ratatouille […]