Qualche buon motivo per andare a vivere a Glasgow

Qualche buon motivo per andare a vivere a Glasgow

“I would like to leave this city, this old town doesn’t smell too pretty” recita Half the World Away degli Oasis. E forse è stata proprio una prolungata esposizione all’indie rock e britpop anglosassone, una naturale inclinazione alla lingua inglese e la costante sensazione di dover vedere altro probabilmente ispirata dalla lettura di Jack Kerouac che mi ha spinto a considerare sin dall’inizio della mia adolescenza l’idea di proseguire i miei studi altrove. Dapprima la fissa era Londra, la Mecca degli esterofili nostalgici, fan di Oasis e Arctic Monkeys e amanti della pioggia come me, ma le cifre da capogiro delle rette universitarie mi hanno fatto presto cambiare idea.

Tra una ricerca e un’altra sono arrivata a conoscenza del fatto che in Scozia l’università è completamente pagata da un ente governativo chiamato SAAS e ho pensato, perché no? Alla fine il sistema è sempre britannico, si parla sempre inglese (o almeno questa era la mia convinzione in partenza) e Glasgow è la seconda città del Regno Unito. Così mi sono avventurata nel processo di iscrizione (lungo, ma si fa tranquillamente tutto online, viva la tecnologia), mi sono iscritta a UCAS (l’ente che gestisce tutte le iscrizioni), ho scelto 5 corsi universitari, ho scritto il mio personal statement (una overestimated descrizione di me stessa per sembrare una gran persona, degna di essere accettata all’università), mi sono fatta scrivere una lettera di raccomandazione dalla mia prof di inglese e ho mandato il tutto.

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Sono stata accettata con una conditional offer a tutti i corsi per cui ho fatto domanda: avrei potuto frequentarli se avessi incontrato determinati requisiti richiesti dall’università. Alla fine ho scelto International Business alla Glasgow Caledonian University, dovevo prendere 75 alla maturità e una media di 6,5 all’esame IELTS (certificazione del livello d inglese rilasciata dal British Council). A Luglio avevo in mano il mio diploma di maturità (sudatissimo, ricordate sempre, fate l’amore non fate il liceo scientifico tecnologico, che tanto non esiste più quindi non avete neanche questo problema voi potenziali indecisi 14enni che state leggendo questo articolo) e la mia certificazione di inglese e il 9 Settembre sono partita.Glasgow

Il proposito di questo articolo non è spiegare come sono arrivata a Glasgow e a fare l’università in Scozia (per quello ci sono tanti bellissimi siti che vi consiglio: www.ciaomamma.it ad esempio) ma fare un resoconto dei miei primi 6 mesi qua e magari invogliarvi a intraprendere questa strada o chiarivi le idee sul fatto che non fa per voi.

Punto primo, la lingua. Prima di partire avevo sentito dire che lo scozzese fosse un accento abbastanza arduo da comprendere, ma un eccesso di self-confidence mi aveva convinta che sarei riuscita ad adattarmi in poco tempo. Poi sono arrivata a Glasgow e ho capito che la tattica migliore quando si interagisce con la gente del luogo è quella del pinguino di Madagascar, ovvero sorridi e annuisci. Dopo 6 mesi qua non riesco ancora a comprendere del tutto Mary (o Meeeeeeri, detta appunto alla Glaswegian), la donna che fa le pulizie nel mio appartamento all’interno della residenza universitaria. Il Glaswegian è veramente a tratti impossibile da decriptare ma per fortuna non tutta la Scozia è così. I miei coinquilini che vengono da altre parti, infatti, sono completamente comprensibili.

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Punto due, l’università. Dimenticate i 30 e lode, dimenticate le sessioni di esame con gli appelli, dimenticate l’andare in università tutti i giorni per 6 ore. Di solito si è in università per 15/16 ore a settimana, metà delle quali sono lectures (lezioni con 300/400 studenti) e l’altra metà seminars (classi da 20 persone in cui si approfondiscono i temi trattati nelle lezioni). Qui i voti sono in percentuale, non ti giochi tutto in un esame. Il voto finale, infatti, è composto solitamente al 40/50% da un esame e il restante da cosiddetti courseworks, ovvero presentazioni, essays e class tests che si svolgono durante l’anno. Sembra un po’ di tornare al liceo, hai costantemente qualcosa da fare e trovo questo metodo particolarmente utile, dato che arrivi all’esame finale (il cui voto non puoi rifiutare) dopo aver studiato progressivamente. Tutto è molto più pratico: dal primo anno ti mettono in relazione col mondo del lavoro (io seguo un corso che ti aiuta a migliorare la tua employability, ad esempio insegnandoti come scrivere un CV) e ti ricordano sempre che la tua carriera non sarà mai determinata solo dai voti, “usually the employers prefer average marks but a wide range of experiences” mi ha detto una volta una mia seminar tutor.Glasgow3

Punto tre, Glasgow. Glasgow è una città bellissima, cosmopolita ed offre molto. Le due strade principali sono invase dai buskers tutto il giorno (e anche il sabato sera da quelli stonati ubriachi che di solito cantano pezzi da sing along tipo Wonderwall e come pubblico hanno altri ubriachi che li trovano grandiosi), la scena musicale è molto attiva, ci sono un sacco di ristoranti vegani nei quali potete fare gli hipster quanto volete senza essere giudicati da nessuno e la vita notturna, beh.. è straeconomica. Il Regno Unito, si sa, è molto costoso, ma Glasgow, essendo città universitaria, è alla portata delle tasche degli studenti: giovedì scorso al Firewater ho pagato 90p. per un vodka lemon (che qui è vodka lemonade, non chiamatelo vodka lemon che se no poi vi guardano strano). Certo, questo ha un downside: Glasgow è anche una delle città scozzesi dove il fenomeno del binge drinkin (consumo di 10 unità alcoliche per un uomo e 7 per una donna in una sola sessione di bevuta) è più diffuso, ma questa è un’altra storia.

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In conclusione, quello che vorrei dirvi non è “Se hai vent’anni vattene dall’Italia”, perché se c’è una cosa che ho capito è che questa esperienza non è adatta a tutti, neanche a chi pensava di essere pronto. A volte trovo non sia adatta nemmeno a me. Non è tutto oro quello che luccica infatti, e devo ammettere che come ogni expat ho i miei drammi. Ogni tanto impazzisco e passo intere giornate a leggere blog di expat come me e a monitorare i prezzi dei Ryanair per vedere quando posso tornare a casa per mangiare una pizza e fare un aperitivo decente, stanca dei pre-drinks dopo cena composti da “cocktail approssimativi fatti da te” (Lo Stato Sociale, n.d.r. La fissa per l’indie italiano non se l’è portata via il Regno Unito). Non è facile adattarsi a un paese con stili e ritmi di vita completamente diversi dal tuo, ma è sicuramente un’esperienza che apre la mente. Poi c’è sempre la consapevolezza che “nessun viaggio è definitivo” (J. Sramago), non sono ancora pronta a mettere le radici da nessuna parte, ma intanto mi godo questi 4 anni e quando tornerò in Italia non potrò vantare una conoscenza fluente solo dell’inglese, ma  anche dello scozzese. Se comprendi lo scozzese, l’inglese non ha più segreti.

Link Utili per saperne di più

https://riruinglasgow.wordpress.com

http://ciaomamma.it/2013/12/18/perche-studiare-in-scozia/

 

Domiziana Manfredini

 

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5 COMMENTS

  1. Grazie per i tuoi consigli ma sapresti dire qualcosa anche sull’alloggio? dove hai vissuto? come hai trovato casa? io sto impazzendo non riesco a trovare nulla di decente e ad un prezzo abbordabile. Sapresti aiutarmi?

  2. Ciao Elena!

    Perdona il ritardo, abbiamo ricontattato Domiziana perchè rispondesse alle tue domande. “Il mercato immobiliare britannico è abbastanza indecifrabile, ne sono consapevole. I prezzi non sono bassi, bisogna avere spesso garanti in UK se si vogliono fare le cose legali e affidarsi a delle agenzie per farsi aiutare è dispendioso. Da studente è molto comodo alloggiare nelle halls universitarie come ho fatto io l’hanno scorso e come rifaró quest’anno. È una soluzione molto pratica per avere i meno problemi possibili!!”

    Continua a seguirci, a presto 🙂

    La redazione

  3. […] A Glasgow fa freddo. Non fa più freddo che nella mia Pianura Padana in inverno, ma fa costantemente freddo. Eppure, in una qualsiasi serata piovosa e in cui il termometro non va sopra i 4 °C le vedi camminare (o almeno provarci) per Sauchieall Street sui loro tacchi pagati 20 pound da Primark, con addosso la loro gonna e un crop top. Fine. Niente giacca. Niente sciarpa. Niente calze. Per quanto io piano piano stia cominciando ad abituarmi alle usanze scozzesi non riuscirò mai a comprendere come accidenti fanno le locals a non congelare. Una parziale spiegazione in realtà esiste, ed è tutto l’alcol che hanno in circolo dopo il pre drink consumato prima della night out. E poi ci sono quei 2 pound da pagare per la cloackroom, soldi che “potrebbero essere benissimo risparmiati e reinvestiti in un vodka e coke” . […]

  4. […] Poi sono arrivata a Glasgow ed è stato impossibile non convertirsi alla religione delle coffee chains. Ci ho provato, lo giuro. Ho fatto resistenza, mi sono portata la mia moka e il caffè da casa, ma dopo qualche settimana ho dovuto cedere. Tutto è iniziato con Pret à manger, poi è stata la volta di Costa. Ormai non mi vergogno più a mostrare la mia tessera fedeltà da brava Costa lover e rabbrividisco ogni volta che qualche connazionale ha il coraggio di dirmi “si vabbè ma il caffè lì non sarà mai come il caffè italiano”. Lo avete mai provato? No. Dunque mettete da parte il vostro etnocentrismo e credetemi se vi dico che un cappuccino buono come quello di Costa faccio fatica a trovarlo persino quando torno in Italia per le vacanze. Quello che funziona più di tutto però per me è il concept di queste catene. Non ti vendono un semplice Americano, ti vendono un ambiente, un tipo di servizio, ti fanno quasi sentire parte di una setta. E si sa che uscire da una setta è qualcosa di abbastanza complesso. Ma tornando a noi, fino a qualche mese fa, Starbucks per me restava la peggiore coffee chain che avessi a disposizione. Poi in un pomeriggio uggioso dopo 3 lectures di fila sono entrata e ho ordinato un Chai Latte. Ed è stato amore. Dopo quel punto di svolta ho cominciato a frequentare Starbucks più assiduamente (nonostante custodisca ancora gelosamente la mia Costa reward card) ed è diventata una addiction. […]

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