Prospettive: lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte

Prospettive: lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte

mark haddon

Spesso le molteplici disabilità fisiche o psichiche che possono colpire l’essere umano provocano, al loro primo impatto con l’esterno, reazioni di stupore, di titubante curiosità: le persone che ne sono afflitte appaiono come universi misteriosi e inaccessibili, i cui codici sono di difficile lettura e interpretazione da parte degli “altri”.

Ve ne sono alcune tra di esse che stupiscono più di altre, perché per le loro caratteristiche (o anche perché ancora si conoscono poco) rappresentano più vividamente questa immagine di imperscrutabilità: e la sindrome di Asperger ne è un esempio. È un disturbo “parente” dell’autismo senza ritardo mentale, nel senso che alcuni sintomi, tra cui scarsezza di empatia, poca abilità di formare delle amicizie e conseguente isolamento sociale, linguaggio monotono e pedante, scarsa comunicazione non verbale e profondo interesse in tematiche circoscritte come il tempo, i fatti di trasmissioni televisive, gli orari ferroviari o le carte geografiche – memorizzabili in modo meccanico – sono simili.

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Gianluca Nicoletti, giornalista di Radio24 che ha recentemente scritto un libro sul suo difficile rapporto con il figlio Tommaso, autistico, parla di “un gigante aggressivo, con un’interiorità profondissima che tu puoi sondare come chi vaga nella nebbia. Poi ci sono le chiusure, totali, improvvise. E tu non sai quando, perché accadono”.

Mark Haddon lo strano caso del cane ucciso a mezzanotteDi qui l’indecifrabilità pressoché totale. A meno che non ci sia qualcosa che, con la più assoluta naturalezza, squarci tale velo nell’unico modo possibile: ribaltando la prospettiva.

Questo è ciò che fa Mark Haddon ne Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte: dà voce a un ragazzino affetto dalla sindrome di Asperger, e lo fa a tal punto da renderlo protagonista di un romanzo in prima persona.

Nel libro si tacita qualsiasi altro punto di vista e si evita qualsiasi spiegazione esterna di che cosa sia la sindrome, perché Cristopher – questo il nome del ragazzo – è l’unico filtro alla realtà di cui il lettore dispone.

L’originalità della narrazione, il motivo per cui vale la pena di leggerlo è proprio questo: nonostante infatti l’autore si proponga – intelligentemente – di non incentrare il racconto sulla malattia del protagonista ma di trattarla come fosse un incidente di cui quasi non curarsi, ponendola in secondo piano, e di confezionare un giallo con tanto di omicidio (canino) e risvolti “inaspettati”, il risultato è che la trama è tutto sommato dimenticabile, o quantomeno prevedibile anche per chi non sia esattamente un fulmine di guerra. In poche battute, Cristopher decide di scoprire chi abbia ammazzato con un forcone il cane della vicina, e ciò lo porterà quasi subito a scontrarsi con la storia recente della sua famiglia, che forse non corrisponde esattamente a quel che gli avevano raccontato.

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Decisamente più interessante, invece, è prendere parte all’esperimento di Haddon, ovvero entrare nella mente del ragazzo. Di più: è comprendere maggiormente, con l’avanzare della storia, questi meccanismi, fino quasi a trovare del tutto naturali fatti quali l’assoluto terrore di Cristopher di trovarsi da solo a parlare con qualcuno che non sia un genitore o l’insegnante, la sua idiosincrasia per il giallo ed il marrone, il suo contare il numero di auto di uno stesso colore per decidere se la giornata sarebbe stata Straordinaria o Nera, il fastidio intollerabile verso ogni forma di contatto fisico.

Anche il linguaggio così ripetitivo e pedante, che non lascia alcuno spazio alle figure retoriche – nemmeno alle più comuni, ad esempio la metafora – di solito utili a rendere scorrevole e piacevole la prosa, non allontana per niente il lettore: semplicemente perché Cristopher non capisce le figure retoriche, e quindi neanche noi.

Il tema della disabilità non viene quasi mai esplicitato, per la scelta dell’autore di cui si parlava prima di lasciarlo in sottofondo; alcuni spunti vengono tuttavia distribuiti con grande nonchalance, quasi casualmente.

Parlando della sua scuola, Cristopher spiega che essa è riservata ad alunni che “hanno delle difficoltà nell’apprendimento o hanno delle esigenze particolari. Questa sì che è una cosa stupida, perché tutti hanno dei problemi nell’apprendimento, perché imparare a parlare francese o capire il principio della relatività è difficile, ed è altrettanto vero che ognuno ha delle esigenze particolari, come mio padre che deve portarsi dietro delle pillole di dolcificante da mettere dentro il caffè per non ingrassare, oppure la signora Peters che gira sempre con un apparecchio acustico color crema, o Siobhan che ha degli occhiali talmente spessi che ti fanno venire il mal di testa se li provi, e nessuna di queste persone viene classificata come Gruppo H, anche se hanno delle esigenze particolari”.

La bravura di Haddon nel calarsi in Cristopher a volte è tale da farci dubitare della sensatezza di tante abitudini comuni, di tanti modi di vivere socialmente: il suo guardare il mondo come chi osserva uno strano animale diventa il nostro. La sindrome di Asperger soprattutto lo rende un puro, incapace di adeguarsi ai compromessi, di dire le cosiddette bugie bianche che quotidianamente oliano i nostri rapporti con gli altri: scoprendo i suoi valori assoluti sveliamo la relatività, la caducità, a volte l’ipocrisia dei nostri.

Il finale de Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte non è forse memorabile, ma prima di chiudere il libro restano da risolvere i quesiti di matematica tanto amati da Cristopher, quasi come se volesse darci una piccola lezione, con ironia e ridendo un po’ sotto i baffi: dunque chi è il meno abile tra noi due?

Ginevra Ripa

 

Titolo| Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte
Autore| Mark Haddon
Editore| Einaudi
Anno| I edizione 2003



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