Plastica, addio! Diventare (quasi) Zero Waste in 30 giorni
Porre attenzione alle nostre abitudini è la chiave per ridurre la produzione di rifiuti
È già da tempo che ho cominciato a sentire l’impellenza di ridurre il mio impatto ambientale, per quanto riguarda inquinamento e produzione di rifiuti, in particolar modo della plastica. La plastica è il materiale più usato per la produzione degli oggetti usa e getta e degli imballaggi data la sua resistenza, leggerezza ed economicità. Tuttavia, questo concetto è proprio sbagliato alla base, perché stiamo usando uno dei materiali più durevoli che abbiamo sviluppato proprio per costruire prodotti intrinsecamente destinati a diventare facilmente rifiuti. E riciclare la plastica non è una soluzione del tutto soddisfacente, perché questo materiale si può riciclare solamente un limitato numero di volte e solo tramite altri processi industriali (inquinanti), al contrario, ad esempio, di vetro, acciaio e alluminio, riciclabili virtualmente un numero infinito di volte. Inevitabilmente, inoltre, una parte di questa plastica finisce in discariche o nell’ambiente dove non si degraderà mai se non sbriciolandosi e formando quelle microplastiche che stanno entrando addirittura nel nostro ciclo alimentare senza che le conseguenze siano ancora ben chiare.
Con questa consapevolezza, quindi, desideravo davvero fare la mia parte, ma con un lavoro faticoso full-time ho sempre pensato che cambiare le mie abitudini fosse una cosa impossibile soprattutto per la supposta necessità di tempo e energie personali. Devo dire anche che mi sono lasciata scoraggiare nel leggere di diverse persone che riuscivano nell’intento di produrre pochissimi rifiuti, venire presentati come delle specie di reietti della società, degli eremiti fricchettoni con un mucchio di tempo da perdere e un sacco di soldi da spendere.
Ci sono tantissimi libri, tantissime regole, tantissime filastrocche, tantissime metodologie che possono aiutare nel ridurre la propria produzione di rifiuti. Questi mantra, però, li ho scoperti dopo, quando ormai stavo già trovando la mia strada in questo percorso. Io sono sempre stata una persona molto pratica e ho deciso che avrei cercato il mio metodo un passo alla volta, con curiosità e pazienza, ma soprattutto con molta indulgenza con me stessa. Perché non è assolutamente vero che il percorso “zero waste” sia riservato a ricconi annoiati dalla vita, ma in un mondo dominato dalla filosofia dell’usa e getta i passi falsi sono dietro l’angolo. Effettivamente non tutte le soluzioni efficaci sono alla portata di tutti, soprattutto in termini di tempo da investire e, secondo me, in questo caso scendere a compromessi con i propri ideali è l’unico modo per perseverare.
Quindi ho cominciato a cercare modi accettabili per me per ridurre questi maledetti rifiuti. E sono stata davvero molto sorpresa nel riuscire a fare progressi in davvero pochissimo tempo, perché una volta trovata la soluzione adatta a me il passo successivo era davvero dietro l’angolo e altrettanto applicabile con semplicità. In un solo mese sono riuscita a fare passi da gigante, con moltissima soddisfazione personale (soprattutto quando non c’è stata necessità di discutere con il mio compagno su chi avrebbe dovuto portare in strada la spazzatura della settimana!). Alla fine le vecchie abitudini che pensavo fossero insostituibili semplicemente sono state rimpiazzate da altre più consapevoli.
Mi sono resa conto che il posto dove producevo più rifiuti in casa era la cucina. Provate a fare mente locale e a pensare quanta plastica è presente nei supermercati. Se il moderno packaging sicuramente ha un ruolo nella conservazione dei cibi e nel loro trasporto, tuttavia nelle nostre case non tutti i cibi hanno bisogno di una lunga conservazione. E non tutti i cibi devono necessariamente venire da lontano. Mi sono guardata intorno e ho scoperto inaspettatamente moltissimi mercati a vendita diretta, negozietti locali, produttori a km0 dove riesco a comprare quasi tutto quello che mi occorre sfuso, in sacchetti di carta (o stoffa ora che me li sono procurati) o in contenitori che mi porto da casa. E soprattutto ho scoperto che in tutti questi posti le persone che ci lavorano mi salutano per nome e non mi conoscono attraverso una tessera punti. Ho scoperto che molte di queste persone lavorano con passione per il proprio progetto e magari la prima volta sono incuriosite dai miei sacchetti e i miei barattoli, ma poi mi supportano e sono i primi a chiedermi se mi sono ricordata di portarli.
Accorciando la filiera del cibo e facendo attenzione a comprare solo quello che mi serve per quella settimana non ho più bisogno di alimenti a lunga conservazione, non rischio più di sprecare e mangio cibo di qualità migliore (e decisamente più buono). Inoltre non compro più un mucchio di roba superflua solo perché sopraffatta dalle mirabolanti offerte del supermercato e non torno più a casa con dodici pesantissime borse della spesa. Sicuramente il costo di questi prodotti è leggermente più alto, ma personalmente l’insieme dei comportamenti che sto adottando, cioè comprare meno e meglio, ridurre, anche se non eliminare al momento, il consumo di carne (che è davvero molto inquinante) e autoprodurre alcuni prodotti, tipo i dolci per la colazione, mi porta al netto a un risparmio rispetto alle spese che sostenevo prima. Non posso tralasciare, comunque, la soddisfazione nel pensare che questo piccolo investimento possa portare anche a una retribuzione più equa per i piccoli coltivatori e allevatori e non all’arricchimento delle multinazionali della distribuzione.
Un altro passo molto semplice è stato rinunciare all’acqua in bottiglia di plastica. Le alternative ci sono e sono moltissime, io ho scelto di bere direttamente l’acqua del rubinetto che dalle mie parti è buona e sempre fresca; ora le mie coloratissime bottiglie in vetro di Snoopy abbelliscono la tavola durante le cene con gli amici. Sul territorio ci sono le case dell’acqua che forniscono acqua potabile gratuitamente, a Milano fino a 6 litri al giorno a persona, oppure esistono i depuratori osmotici o ancora qualche sopravvissuta marca di acqua con il vetro a rendere. Ho rinunciato anche al latte in bottiglia di plastica perché ho scovato un distributore proprio sulla strada per il lavoro e bollirlo velocemente a casa non è poi una gran fatica (e il latte è buonissimo e costa molto meno). Inoltre sono diventata inseparabile dalla mia borraccia in acciaio, l’unico vero “investimento” (15 euro) che ho fatto all’inizio di questo percorso, ma velocemente diventata indispensabile nelle mie giornate al lavoro o durante le gite: la riempio ovunque e non rimango mai senza acqua fresca.
Il secondo comparto che riempie i sacchi delle nostre spazzature è quello delle confezioni in plastica di saponi e detersivi per la casa. Praticamente tutti questi prodotti esistono sfusi anche in grandi catene di supermercati, mentre i saponi per corpo e capelli sono facilmente reperibili anche in versione solida con imballaggio in carta (non fatevi ingannare dal costo iniziale, perché durano molto a lungo). Ma nel momento in cui ho cominciato a cercare delle alternative ecologiche ho scoperto che forse non tutti questi prodotti sono davvero necessari e, soprattutto, ottenerli da materie prime meno inquinanti è veramente semplice. Come primo passo ho acquistato dell’acido citrico in polvere, sì proprio quello del limone, e comincerò a testarlo come anticalcare, ammorbidente, brillantante e come risciacquo acido per i capelli (ovviamente diluito in soluzioni a diversa concentrazione). L’autoproduzione di questi prodotti, in ogni caso, deve essere accompagnata da molta prudenza, perché intrugli mal congegnati possono rovinare gli elettrodomestici o anche provocarci seri problemi di salute (penso a chi si lava i denti con il bicarbonato che, sì, li rende bianchi ma solo perché corrode lo smalto…).
Questa cura che sto mettendo nello scegliere i cibi che consumo e i detergenti che utilizzo mi ha portato a farmi qualche domanda anche sui capi di abbigliamento che ho nell’armadio. I brand di fast fashion ormai ci permettono di acquistare qualsiasi capo di abbigliamento a prezzo stracciato, ma tutto questo alle spese dell’ambiente e dei lavoratori attraverso il meccanismo odioso delle aste al ribasso. Come per l’industria agro alimentare stiamo riempiendo le nostre case di prodotti di bassa qualità, economici sì ma comprati “a credito” perché creati senza calcolare il costo ambientale e umano del processo produttivo e stiamo cominciando a fare i conti solo ora con questo enorme debito che abbiamo accumulato, cercando di fronteggiare l’ormai ineluttabile cambiamento climatico e la quantità spropositata di rifiuti che contaminano terra e mare.
Recentemente ho visto un documentario di cui mi ha colpito molto un concetto semplice. Siamo diventati sempre più materialisti, nel senso che abbiamo bisogno di sempre più cose e oggetti per essere felici e sentirci appagati, ma dovremmo esserlo nel senso più profondo e letterale del termine, cioè dovremmo dare importanza al materiale di cui sono fatte le cose che ci circondano, utilizziamo e consumiamo. Mi sono resa conto che la vera differenza nel mio atteggiamento, ora che sto facendo questo percorso, è proprio questa attenzione. E così viene naturale anche “Rifiutare” (ovvero evitare l’usa e getta magari non prendendo la cannuccia per un drink), “Ridurre” (gli oggetti superflui), “Riutilizzare” (inteso anche regalare o vendere cose che non ci servono più), “Riciclare” (separando i vari componenti di un packaging oppure trovando un nuovo utilizzo a qualcosa), “Ridurre in compost” (l’umido può essere trasformato in fertilizzante). Se ve lo state chiedendo quella che vi ho appena illustrato è la regola delle 5 R, uno dei capisaldi del movimento “Zero-Waste”.
Il mio percorso è ancora molto lungo e sono stata aiutata, perché ho trovato dei gruppi in rete dove tante persone si scambiano consigli e idee sempre volte a migliorarsi e mai a criticare gli eventuali fallimenti. Online, inoltre, si trovano facilmente le indicazioni per i mercati a vendita diretta, le mappe delle case dell’acqua, dei distributori del latte e anche una supermappa di tutti i negozi che vendono articoli sfusi grazie al sito di “Rete Zero-Waste”, dove ho finalmente individuato un negozietto nella mia città dove reperisco alcuni prodotti che non trovo al mercato.
Proprio ora si sta svolgendo il “Plastic Free July” una sfida proposta dall’associazione australiana Plastic Free Foundation, in cui vengono proposte ogni giorno soluzioni per ridurre il proprio consumo di plastica. Magari potreste approfittarne per provare anche voi, oppure potete cercare la vostra strada da soli, sono sicura che non ve ne pentirete.