“Piccoli racconti di un’infinita giornata di primavera” – Eijitsu Shōhin, il titolo originale – è una raccolta di venticinque racconti di Natsume Sōseki, il “sommo scrittore” della letteratura giapponese moderna.
Shōhin vuol dire “piccole opere”, mentre Eijitsu – letteralmente “giornata lunga” – indica sia una giornata di primavera sulla quale non tramonta il sole, sia il desiderio da parte dell’essere umano di trattenere una giornata meravigliosa, di non lasciarla morire, di dilatare il tempo.
Quel viso mi stava aspettando qui in piedi da cent’anni, così come quegli occhi, quel naso e quella bocca; è quello che per altri cent’anni continuerà ad andare in infiniti luoghi con me obbediente, al suo seguito; quello che mi parla in silenzio.
« Ho capito cosa intendi quando dici che ti è piaciuto ma non sai bene perché » mi scrive Paola, a cui ho regalato il libro dopo averlo amato senza averlo capito: le ho detto Spiegamelo!, ché io l’ho amato senza averlo capito.
« Credo sia il superpotere di Sōseki, quello di descrivere la dilatazione del tempo » mi spiega. « Il racconto Il caco, ad esempio, mi ha fatto venire in mente quella canzone di Guccini, Estate mi pare, che ad un certo punto dice “la religiosa sonnolenza degli orti”. I racconti di Sōseki fanno entrare nella dimensione dell’attimo che a guardarlo dura un battito di ciglia ma nella memoria e nella sensazione diventa eterno, come quando guardi un orto dopo pranzo in piena estate e l’aria è immobile. Lui riesce a spostare la tua attenzione dal generale al particolare un attimo prima che accada qualcosa…A volte però capita che si faccia prendere dalla ridarella e ti prenda in giro. Di solito succede proprio quando si accorge che sei rapito da ciò che va dicendo. Allora – secco – ti riporta al presente. Usa un po’ la stessa ironia bonaria di Guareschi, quando scriveva la rubrica “Osservazioni di uno qualunque” per il Bertoldo. Una comicità così come la intendeva il Devoto-Oli: “l’umorismo non deve implicare una posizione ostile bensì una profonda e spesso indulgente simpatia umana.” Non ci puoi fare niente, Sōseki è un tipo imprevedibile. Lo devi prendere così com’è. » Tutti noi abbiamo bisogno di un’amica appollaiata su rami più alti dei nostri.
In realtà questi venticinque piccoli racconti non celebrano soltanto la primavera: attraversano tutte le stagioni – ciascuno di essi è fortemente contestualizzato nella sua propria stagione: in alcuni si avverte l’alito gelido dell’inverno; altri si colorano del giallo e del rosso del languido autunno – ed attraversano molti sentimenti. Sōseki – nome d’arte che significa “colui che non sa ammettere i propri errori” – è un gentiluomo scorbutico: le sue contraddizioni di tenerezza e altezzosità, di morbidezza e ironia, si inseguono lungo tutta la raccolta.
Quello che, però, hanno in comune questi racconti è il battito del lettore: che rallenta, che si calma. È il suo respiro, che si rasserena, mentre qualcosa si scioglie.
« C’era bisogno di raccontarlo? » mi sono chiesta spesso durante la lettura: come se questi momenti narrativi – tanto piccoli, tanto inutili, tanto lenti ed evanescenti: il fruscio di un vestito, un rumore notturno, la fiamma di un braciere – non avessero una loro dignità autonoma di tempo, di importanza, di significato. Sōseki si scosta dal microscopio e chiama il lettore: vieni un po’ a dare un’occhiata, vieni un po’ a vedere questo universo infinito – di sensazioni, di memoria.
Se a Paola viene in mente Guccini, io penso a Lucio Battisti, ad una canzone di uno dei suoi album più belli – L’apparenza (1988) – che si intitola A portata di mano ed è sospesa nel tempo ed enigmatica proprio come un racconto di Sōseki:
Dicendo abbiamo tempo tu intendevi dire il contrario
vedevi necessario che quanto vai inventando oggi
non te lo ritrovassi sempre vivido tra i piedi tale e quale
esatto nel reale
con i particolari talmente precisi
un domani da non credere
che i fatti siano intrisi
di te così profondamente
Alcuni di questi racconti salvano dalla dimenticanza la sensazione del tepore di casa, del sonno, della propria intimità. Altri, invece, esorcizzano la sensazione della paura e di un labirintico senso di estraneità: prevale in essi un senso di solitudine quasi ostinata, e di nostalgia di casa. Ma tutti questi momenti – a prescindere dal contenuto e dallo stile narrativo – sono raccontati con una sorta di anestetico distacco: sono raccontati con lentezza, senza affanno. Ciascuno di essi è un racconto “non-umano”, che in Sōseki vuol dire questo: esercizio di non-attaccamento, di leggerezza quindi di imprendibilità, un’invincibile calma.
Mentre fisso il punto in cui batte il sole, una sensazione di primavera mi riempie dolcemente il cuore, come se davanti ai miei occhi una leggera onda di vapore si levasse dalla terra nel tepore del sole primaverile.
Abbiamo tutto il tempo, aroma di caffè.
Grazie a Paola Ruju
Titolo | Piccoli racconti di un’infinita giornata di primavera
Autore | Natsume Sōseki
Casa Editrice | Lindau
Anno | 2017 (1910)
Pagine | 144